Europa in controluce

Dietro il prezzo del petrolio e quello della benzina

In questi giorni è rimbalzata più volte la notizia del crollo del prezzo del petrolio. Il Brent, cioè il greggio internazionale che si consuma in Europa, è sceso a 20 dollari il barile rispetto al prezzo medio normale di 55-65 dollari, mentre il WTI americano (lo shale, ricavato dagli scisti bituminosi) è andato in negativo. Come dire che le compagnie, pur di non interrompere la produzione, stanno pagando perché i barili vengano portati via.

Come mai? La risposta è fin troppo ovvia. La pandemia ha fermato moltissime industrie e attività in tutto il mondo, la domanda di energia è crollata, i centri di stoccaggio dei barili rischiano la saturazione. Il rischio di una spirale involutiva è molto forte, e coinvolgerebbe Oil Companies, le banche collegate, e naturalmente migliaia di lavoratori. Per questo a metà aprile è intervenuta un'intesa in sede Opec Plus per ridurre la produzione di quasi 10 milioni di barili al giorno. La decisione scatterà in maggio, ma il suo annuncio non è stato sufficiente a frenare la caduta libera del prezzo al barile anche perché il taglio deciso sembra essere insufficiente.

È singolare che a suggellare l' intesa siano stati tre Paesi, USA, Russia e Arabia Saudita, i cui leader sono poco inclini a convergere, ma Trump è alla viglia delle presidenziali e non può permettersi la crisi di un settore come quelle petrolifero. Putin l'ha accettata come male minore per evitatre il crollo totale della domanda, ma la decisione è destinata a rendere più grave la crisi in Russia, che deve buona parte della sua forza economica proprio alla produzione e alla vendita del petrolio, e porta al limite i margini di guadagno della stessa Arabia Saudita, la cui ricchezza dipende quasi totalmente dal greggio. Questo per far capire quali siano gli interessi in gioco.

Si dirà: ma se la materia prima costa un terzo, come mai il prezzo al consumo della benzina non è cambiato?

La risposta ufficiale è che il 70% del prezzo della benzina viene prelevato dalle tasse, e il 30% rimanente lascia alle compagnie petrolifere margini troppo esigui per poter ridurre il prezzo al consumo, anche perché una cattiva organizzazione della rete distributiva tiene alti i costi fissi del servizio. Questo almeno sostengono i petrolieri. Che però sono pronti ad alzare il prezzo della benzina quando il barile aumenta anche solo di qualche dollaro rispetto la media. La finanza, specie quella internazionle, continua a essere un mondo a sé, con leggi interne proprie, fuori da qualsiasi controllo democratico pur interferendo pesantemente sul “nostro” mondo.

Lo sceneggiato “I diavoli” qualcosa ce lo fa capire, scritto com'è da uno – Guido Maria Brera – che quel mondo lo conosce bene.