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Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 05/03

Quando si interroga Google, la prima schermata spesso contiene una sorta di inciso intitolato “Le persone hanno chiesto anche” nel quale sono riportate alcune domande sull’argomento formulate di sovente. Se in questi giorni si digitano nello spazio di ricerca le parole Ucraina, adesione e UE, Google ci informa che le persone hanno chiesto anche “Quando l’Ucraina è entrata nell’Unione europea?”. C’è evidentemente molta confusione circa il significato di espressioni quali “il posto dell’Ucraina è in Europa”, “paese candidato”, “processo di adesione”, eccetera. In realtà, anche in presenza di una forte volontà politica di fare dell’Ucraina uno Stato membro dell’UE, molti anni saranno necessari affinché il paese sia pronto per l’integrazione nell’Unione. Spiega egregiamente lo statu quo e le prospettive un articolo pubblicato sul sito meridiano13.itleggi.
 

 

La Tunisia, il paese che ha dato il via al breve periodo delle cosiddette “primavere arabe”, sembra avviata a seguire il sentiero percorso da tante nazioni scivolate quasi per inerzia dalla democrazia alla dittatura. Nel 2019, elezioni democratiche hanno portato alla Presidenza del paese Kaïs Saïed, un professore universitario le cui parole d’ordine erano “diritto e giustizia”. Sfruttando la crisi indotta dall’emergenza del Covid19, Saïed ha successivamente depotenziato il Parlamento e modificato la Costituzione, salvaguardando le apparenze democratiche ma concentrando di fatto il potere nelle sue mani. La situazione economica è andata nel frattempo deteriorandosi, e sta mettendo a dura prova la popolazione. E così, come spesso succede ai regimi dispotici in difficoltà, anche la Tunisia di Saïed sta cercando si sviare l’attenzione dell’opinione pubblica verso un “nemico esterno”, individuato nei clandestini subsahariani presenti nel paese. Se solo pochi anni fa (2016) il Primo ministro dell’epoca invocava una legge contro la discriminazione razziale (ne ha scritto nel 2017 il periodico Dialoghi mediterraneileggi), ora il Presidente si scaglia contro i migranti neri gridando addirittura al “complotto per modificare la demografia della Tunisia”, come riporta Internazionale.itleggi.

 

La reale efficacia delle sanzioni occidentali imposte alla Russia dopo l’attacco all’Ucraina è oggetto di contestazioni e scontro politico in molti paesi. Nel nostro, il dibattito fu molto vivace già nel 2014 dopo l’invasione della Crimea, con Matteo Salvini che condannò le sanzioni persino dinanzi alla Duma di Stato russa (ne riferì anche Il Fatto Quotidianoleggi). Oggi, il massimo paladino di questa posizione in Europa è il Presidente ungherese Viktor Orbán, che non perde occasione per segnalare come, a suo avviso, le sanzioni danneggino solo chi le impone e in particolare l’Unione europea. Chissà se nel prossimo futuro Orbán non sarà indotto a cambiare parere, dopo che una banca ungherese controllata quasi al 50% da capitali russi è sul punto di fallire, dato che i suoi fondi sono stati congelati nell’ambito delle misure adottate dall’UE per punire l’aggressione all’Ucraina. Riferisce in merito alla crisi della International Investment Bank (IIB) di Budapest il sito d’informazione Telex.huleggi.

 

Il dibattito sull’emissione di debito sovrano da parte della Commissione europea dura da molti anni ed ha sempre registrato la ferma chiusura di quegli Stati membri i cui bilanci poggiavano (e poggiano) su solide basi finanziarie e, soprattutto, registrano un indebitamento contenuto ed un deficit sotto controllo. È risaputo che purtroppo l’Italia non rientra in tale novero, cosicché appare quasi un sillogismo constatare che proprio da parte italiana vengono più spesso le richieste di ricorrere ai cosiddetti Eurobond. La decisione di utilizzare questo strumento di indebitamento comune che fu presa per far fronte ai costi economici causati dalla pandemia del Covid19 è parsa aprire nuovi spiragli e più forti sono diventate le pressioni del nostro paese a favore di una generalizzazione della prassi. Ma fino a quando gli Eurobond saranno gravati da tassi d’interesse superiori a quelli dei titoli dei paesi economicamente più “sani”, sarà difficile prevedere nuove emissioni. La situazione è ben illustrata in un articolo de Lavoce.infoleggi.

 

Succedere ad Angela Merkel alla guida della Germania e, dopo due mesi e mezzo dall’assunzione dell’incarico, trovarsi confrontato ad una guerra scatenata da un partner economico storico e fondamentale come la Russia non è certo stato un buon viatico per Olaf Scholz. Quasi inevitabilmente, il cancelliere socialdemocratico si è trovato esposto a critiche sia nel suo paese che all’estero e accusato, tra l’altro, di aver indebolito l’asse strategico con la Francia per il coordinamento delle politiche europee. Ancora oggi è da molti giudicato negativamente per quella che viene percepita come una mancanza di carisma o un eccesso di prudenza nell’assumere (e comunicare) decisioni quali, ad esempio, il via libera alla fornitura di carri tedeschi all’Ucraina. Un’analisi meno superficiale della strategia politica che informa l’operato di Scholz offre tuttavia un quadro molto meno negativo: è quanto sostiene Paul Taylor, giornalista inglese esperto in questioni europee, su Politico.euleggi.

 

Dalle parti di Mosca, chi viene chiamato ad assumere l’incarico di Ministro degli esteri può legittimamente sperare di firmare un contratto a tempo indeterminato. Ai tempi dell’URSS e della guerra fredda Andrej Gromyko rimase in carica per quasi trent’anni; in questo scorcio di XXI secolo, Sergej Lavrov è a capo della diplomazia del Cremlino da ormai 19 anni. Fu nominato da Putin nel 2004 e da allora è sempre stato fedele interprete della politica del suo mentore. In questo anno di guerra all’Ucraina, Lavrov non si è risparmiato nel sostenere le (a suo dire) buone ragioni della Russia, ma soprattutto si è adoperato per ricercare il sostegno di tanti paesi in Africa ed Asia al fine di dare concretezza alla costruzione, propugnata dal Cremlino, di un nuovo ordine mondiale. Soffermarsi ad analizzare senso ed importanza dei molti viaggi all’estero di Sergej Lavrov nell’ultimo anno aiuta senz’altro a capire come, in un quadro geostrategico planetario, l’aggressione all’Ucraina non sia che una tessera del puzzle. Ripercorre con precisione le tante missioni diplomatiche del Ministro russo un articolo de Glistatigenerali.com: leggi.

 

Radio Londra durante la Seconda guerra mondiale e Radio Free Europe durante la guerra fredda hanno svolto un ruolo importante di propaganda e contro-informazione. Grazie a queste ed altre simili emittenti venivano raggiunti i cittadini che si trovavano dall’altra parte del fronte (militare o politico) in modo da contestare la narrazione ufficiale, suscitare dubbi, sgomento, ribellione. All’epoca, tuttavia, chi lanciava questo tipo di messaggi lo faceva in modo aperto e dichiaratamente partigiano. Oggigiorno, l’avvento dei social – base imprescindibile dell’ideologia dell’”uno vale uno” – qualsiasi utente può nascondere la propria partigianeria e proclamare sedicenti verità universali. È in questo cosmo presuntamente apolitico che si aprono spazi per forme nuove ed efficaci di condizionamento dell’opinione pubblica. Un articolo de Linkiesta riferisce in merito ad una ricerca sulla disinformazione russa in Italia volta a suscitare “comprensione” per l’attacco all’Ucraina: leggi.