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Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 12/02

Le elezioni presidenziali tenutesi a Cipro il 5 febbraio sono passate quasi inosservate in Italia e in molti altri paesi dell’UE. In effetti si è trattato del primo turno di una consultazione che, in assenza di un vincitore capace di conquistare la maggioranza assoluta, avrà uno strascico con il ballottaggio del 12 febbraio. Ad affrontarsi saranno un candidato centrista, Nikos Christodoulides, e uno sostenuto dalla sinistra, Andreas Mavroyiannis. In realtà entrambi i contendenti sono parte dell’establishment cipriota e hanno collaborato ai massimi livelli con il Presidente uscente, il conservatore Nikos Anastasiadis. Salvo sorprese dunque, anche dopo il ballottaggio non è immaginabile un cambio di rotta radicale nella guida del paese, nonostante Mavroyannis goda dell’appoggio del partito dei lavoratori, nato come “partito comunista cipriota”. (Ricorda questa ascendenza un articolo di USNewsleggi.) Restano gli enormi problemi cui Cipro è confrontata, ricordati in un testo pubblicato sul sito Insidertrend.itleggi

 

Non sono certo i Balcani un luogo senza contraddizioni: regione di faglia, fin dall’antichità ha visto il cattolicesimo, l’ortodossia e l’Islam ossessionati dalla necessità di “marcare” i propri territori, promovendo lo scontro tra etnie tanto vicine da confondersi. Fallito l’esperimento di Tito, conosciamo la storia recente. Ogni occasione, ogni evento capace di rompere o almeno incrinare gli stereotipi della contrapposizione va quindi salutato come un’evoluzione assai positiva. È il caso dell’avvicinamento tra Serbia e Croazia, promosso e facilitato dai leader delle minoranze serba in Croazia e croata in Serbia, come riferisce Balkaninsightleggi. Ma i Balcani sono appunto terra di contraddizioni, e negli stessi giorni in cui il disgelo sembrava ben avviato, a Vukovar una flessione di pochi decimi percentuali della popolazione serba sul totale cittadino ha offerto l’occasione alla parte croata di abolire l’uso del cirillico nelle comunicazioni ufficiali. Ne ha scritto anche EastJournalleggi.

 

Non c’è ormai argomento di politica internazionale (e spesso anche di quella nazionale) che possa venir affrontato senza fare riferimento all’invasione russa in Ucraina e al protrarsi di quella guerra da quasi un anno. Pur concentrato in un’area geografica assai limitata, questo conflitto produce effetti a livello planetario. Eppure quando è scoppiato quasi nessuno si sarebbe aspettato né una tale durata, né conseguenze tanto devastanti. Se in occidente è stata subito condannata la pretesa di Vladimir Putin di usare l’espressione “operazione speciale” per quella che era palesemente un’azione di guerra, pure moltissimi erano convinti che l’intervento russo si sarebbe rapidamente concluso, quasi fosse proprio un’operazione di routine. A dodici mesi di distanza siamo invece incapaci di immaginare una prospettiva temporale per la fine dei combattimenti e possiamo solo rileggere gli avvenimenti di quest’ultimo anno per capire almeno quanto è successo. Ci può molto aiutare in questo una dettagliata indagine pubblicata su Foreign Affairs (leggi). L’autrice, Dara Massicot, ha lavorato per il Ministero della Difesa americano. 

 

Il discorso pubblico sull’andamento demografico in Italia e in Europa è rimasto per molti anni sottotraccia, vittima delle paure – spesso artatamente suscitate – di un’”invasione” di migranti che avrebbe sconvolto la nostra economia e il nostro vivere civile. Solo ultimamente la gravità della situazione caratterizzata da calo delle nascite ed esodo di giovani (soprattutto qualificati) ha cominciato ad essere denunciata e discussa in molti paesi. Una discussione sulla demografia è in corso anche in Svizzera, ma per motivi diametralmente opposti rispetto a quelli di gran parte d’Europa. La popolazione svizzera continua infatti ad aumentare anno dopo anno e, ciò nonostante, il problema della carenza di manodopera si fa sentire. Assai istruttivo è l’articolo pubblicato sul tema (con molti dati statistici ma anche analisi e considerazioni di portata generale) dal sito Swissinfo.chleggi

 

Chissà quanto deve darsi da fare il sarto di Zeno D’Agostino per rammendare le sue giacche, strattonate tutto il tempo e da tutte le parti. Il lavoro egregio che ha svolto nel e per il porto di Trieste vanno a suo merito, ed è normale che molti gli si dimostrino ora amici, come è normale che il suo operato richiami l’attenzione dei media. Anche il sito dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana, Treccani.it, ha recentemente proposto, nella rubrica “Atlante”, un’articolata intervista con il Presidente dell’Autorità portuale, nel corso della quale D’Agostino ha indicato con disarmante chiarezza quale sia la bussola che orienta il suo modo di agire: “La vera azione portata avanti in questi anni è stata l’aumento del peso della parte pubblica pur mantenendo un ambiente competitivo capace di attrarre investimenti privati.” Se mai volesse cimentarsi in politica, avrebbe già pronto il manifesto economico. L’intervista è disponibile qui.