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Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 18/12

L’efferatezza dei combattimenti nel Donbass mette in ombra molte azioni militari in altre regioni del mondo. Poco o niente si parla, ad esempio, degli attacchi lanciati dall’aviazione di Ankara contro gli insediamenti curdi in Siria. Eppure americani, russi ed israeliani (tutti ancora impegnati su quello scacchiere di guerra) sono perfettamente a conoscenza di quanto accade, non sono necessariamente d’accordo con le iniziative turche, ma reagiscono in modo alquanto blando. Recenti raid turchi sul Kurdistan siriano-iracheno hanno indispettito gli Stati Uniti e il Dipartimento del tesoro ha imposto sanzioni ad un uomo d’affari turco, amico intimo di Erdoğan. Tuttavia, per non dare l’impressione di voler “punire” la Turchia, Washington ha subito controbilanciato la mossa eliminando alcuni vincoli alla vendita di aerei F-16. Il vecchio gioco del bastone e della carota in versione turco-statunitense è raccontato da un articolo de Linkiestaleggi.

 

Il patto di stabilità e crescita, con il quale gli Stati membri si sono impegnati a tenere sotto controllo le politiche di bilancio, risale alla fine degli anni ’90, prima ancora che l’Euro entrasse in circolazione. Nonostante nel corso degli anni sia stato oggetto di modifiche anche significative, è rimasto al centro del dibattitto che ha visti contrapposti, al solito, i paesi “frugali” a quelli più flessibili nella gestione del bilancio pubblico. Praticamente tutti sono però dell’avviso che una riforma strutturale del patto sia ora necessaria. La Commissione ha da poco presentato una Comunicazione in merito (vedi) destinata a fungere da base di discussione tra le capitali. La materia è delicata e complessa in quanto incide anche sugli spazi politici dell’azione dei governi. In un articolo pubblicato sul sito dell’Istituto Affari Internazionali, di cui è Presidente, Ferdinando Nelli Feroci (ex Rappresentante permanente dell’Italia presso l’Unione europea che soci e simpatizzanti di Dialoghi europei ben conoscono per il contributo a vari eventi del nostro Centro studi), ha illustrato in termini chiari e rigorosi le idee messe sul tavolo dalla Commissione: leggi.

 

Quasi ogni volta che la stampa italiana (e non solo) parla del Presidente Mattarella, ne evoca il ruolo di garante degli impegni euro-atlantici del Paese, al di là di forzature ed eccessi del dibattito politico interno. Bisognerà riflettere molto su tale ruolo non ufficiale e quasi informale quando sul tavolo ci sarà la proposta presidenzialista che il Governo Meloni certamente presenterà. Non è infatti una bizzarria italica avere a capo dello Stato una figura che rappresenti la continuità istituzionale liberata dalle più insolenti manipolazioni politiche. Il recente incontro tra il Presidente tedesco Steinmeier e quello polacco Duda, incentrato sulla decisione di Berlino di installare in Polonia missili Patriot per la difesa contro possibili aggressioni russe, ha permesso di stemperare il clima che le intemperanze del leader del partito di maggioranza Kaczyński avevano reso molto teso per le ripetute rivendicazioni di ingentissimi danni di guerra. Dell’incontro, delle decisioni prese e degli approcci assai diversi di Duda e Kaczyński ha scritto il portale in lingua inglese di Deutsche Welleleggi. Anche un breve commento apparso sulla Frankfurter Allgemeine Zeitung (leggi) ha voluto presentare i due Presidenti come “costruttori di ponti”.

 

Solo tra molto tempo saremo in grado di valutare quanto a fondo la pandemia da Covid19 ha condizionato e modificato il modo di vivere di miliardi di persone. Di certo fin da ora sappiamo che avrà imposto un’accelerazione ai radicali cambiamenti che negli ultimi decenni hanno trasformato il concetto stesso di lavoro. Pensiamo al diffondersi del “lavoro agile”, ma l’incidenza è molto più profonda e sembra scardinare i vecchi principi legati alla definizione dei fattori della produzione. L’evolversi del concetto di lavoro porta ovviamente con sé una trasformazione del ruolo dei lavoratori e quindi dei loro diritti e doveri. Al momento percepiamo che tale trasformazione è in atto, ma non riusciamo a tracciarne la traiettoria. In un breve ma interessantissimo testo pubblicato sul sito dell’Istituto Treccani viene proposta una nitida fotografia della situazione attuale: leggi.

 

Forse fu nel 1991 che gli italiani si resero conto che migranti non erano più solo quelli che lasciavano i nostri borghi e le nostre campagne per cercare fortuna all’estero, ma anche abitanti di altri paesi che erano disposti a rischiare tutto, anche la vita, per approdare e cercare fortuna in Italia. Questa presa di coscienza collettiva è simbolicamente legata ad un’immagine: quella della nave Vlora che l’8 agosto 1991 attraccò a Bari e dalla quale sbarcarono circa 20000 albanesi stremati dal caldo e dalla traversata. Di albanesi ne arrivano ancora in Italia, ma è il Regno Unito ad essere ormai la meta preferita di coloro che decidono di lasciare il “paese delle aquile”. Londra, già confrontata a ingentissimi flussi migratori provenienti da Asia ed Africa, cerca ora di raggiungere accordi con il governo di Tirana per arginare almeno le richieste di asilo dei cittadini di uno Stato che considera “prospero e sicuro”. Le dimensioni della questione sono descritte in un dettagliato servizio sul sito della BBCleggi.

 

Se all’epoca del Vlora la reazione emotiva fu fortissima e il sentimento di solidarietà prevalse su qualsiasi altra considerazione, i trent’anni trascorsi hanno profondamente modificato la percezione dei flussi migratori, in Italia e in Europa. Di fronte all’effettiva impossibilità di fermare un fenomeno che a livello mondiale coinvolge molte decine di milioni di persone, proliferano gli interventi estemporanei la cui caratteristica principale sembra essere proprio l’assenza di solidarietà. Scivolare dall’assenza di solidarietà all’assenza di umanità rischia però di essere fin troppo scontato. Una recentissima inchiesta del collettivo di ricerca Lighthouse Reports, in collaborazione con vari quotidiani europei (Domani per l’Italia), ha messo in luce situazioni che sembrerebbero intollerabili nel 2022 e che invece non suscitano più scalpore. Dell’inchiesta, che si focalizza in particolare su Bulgaria, Croazia ed Ungheria, parla un articolo di Europa.Today.itleggi.
 

 

Anche il vertice tra i 27 Stati membri e i sei paesi dei Balcani occidentali tenutosi a Tirana il 6 dicembre scorso potrà essere ricordato come “evento storico”: è infatti il primo ad aver avuto luogo in uno delle capitali della regione. Ma basta davvero questo per differenziarlo dai tanti, troppi incontri a tutti i livelli che da vent’anni ribadiscono la “vocazione europea” dei cosiddetti WB6 (Western Balkans Six)? Non basterà certo l’ennesima Dichiarazione firmata dai partecipanti (vedi qui) a determinare una reale accelerazione del processo di adesione. L’Unione europea rappresenta una storia di successo perché, nata per dare ai suoi cittadini pace, stabilità e benessere, è riuscita a mantenere la promessa per 70 anni. Se ora la sfida è quella di completare l’opera offrendo le stesse prospettive ai WB6, basteranno i vertici come quello di Tirana (di cui ha scritto East Journal – leggi)?