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Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 21/05

La pandemia del Covid19 e la guerra in Ucraina hanno segnato la fine della globalizzazione? Molte analisi politico-economiche considerano questa domanda ormai retorica e individuano modelli di “prossimità” alternativi a quella che era apparsa come una tendenza irrefrenabile del commercio e dell’economia mondiali. D’altra parte però la globalizzazione non è una novità del XXI secolo (utile il sunto storico proposto dall’Enciclopedia Treccanileggi) e le tendenze attualmente osservabili sembrano piuttosto confermare un adattamento del fenomeno alle mutate circostanze geopolitiche. Esempio interessante è il modificarsi di alcune rotte commerciali a seguito delle sanzioni occidentali imposte a Mosca. L’embargo sul petrolio russo ha interrotto i flussi verso ovest, ma li ha aperti verso altri mercati. Uno dei principali beneficiari è stata l’India che, a prezzi stracciati, ha comprato milioni di barili di greggio russo, lo ha trasformato nelle proprie raffinerie, e sta esportando i prodotti derivati verso i paesi occidentali. Visto che le transazioni tra Russia ed India non possono svolgersi in dollari, i due paesi si sono accordati per utilizzare rubli e rupie: ma in un contesto globalizzato il risultato non è scontato. A Mosca c’è grande preoccupazione, come traspare dalla posizione del Ministro degli esteri Lavrov, riportata dall’Hindustan Timesleggi. Ne ha scritto in Italia Formiche.netleggi.

 

Il quinto allargamento dell’UE, che nel 2004 ha portato il numero di Stati membri da 15 a 25 (e poi a 27 nel 2007), è stato deciso sulla base di considerazioni principalmente politiche, conseguenti al crollo del muro di Berlino. I negoziati di adesione hanno poi conferito alla decisione consistenza socioeconomica, in parte imponendo, ma soprattutto facilitando alcune fondamentali riforme istituzionali. Ben presto è però subentrata la cosiddetta fatica dell’allargamento, sentimento condiviso dalle élite politiche e da tanti cittadini europei che ha sospeso di fatto di ulteriori nuove adesioni. Con l’aggressione russa all’Ucraina, si è ora imposto un nuovo fattore politico che ha rimesso in moto il meccanismo di allargamento nei confronti della stessa Ucraina e della vicina Moldavia, ma che ha inevitabilmente riportato alla ribalta l’adesione dei Balcani occidentali. È evidente tuttavia che senza un adeguamento delle procedure operative e decisionali dell’Unione, qualsiasi allargamento sarebbe foriero di ingovernabilità. Ecco quindi che cominciano a circolare sempre più di frequente proposte di emendamento dei Trattati, volte soprattutto ad aumentare le decisioni a maggioranza proprio nella prospettiva dell’ingresso di nuovi membri. Ne ha parlato ad Euractiv la Ministra francese per gli affari europei Laurence Boone (leggi), ma anche il Ministro degli esteri italiano, Tajani (leggi il dispaccio dell’Agenzia Nova). Riemerge così dal dibattito la vecchia proposta di Jaques Delors di un’Europa a “cerchi concentrici”, di cui parlò anche Giuliano Pisapia in un contributo inviato a Repubblica a fine 2021 (disponibile qui).

 

A posteriori sappiamo che la conferenza di Jalta ebbe luogo solo tre mesi prima della capitolazione della Germania, ma nei giorni del suo svolgimento (4-11 febbraio 1945) la guerra era ancora in corso con combattimenti feroci su tutti i fronti. Le grandi manovre per il riassetto politico dell’Europa erano tuttavia già avviate, con l’individuazione di nuove dirigenze nazionali nei paesi via via liberati. (Tito, ad esempio, stava per formare il governo iugoslavo.) Difficile dire se qualcosa di analogo si possa prevedere con riguardo al conflitto in Ucraina, ma le discussioni su chi e quando dovrebbe aderire all’UE e alla NATO sono un chiaro segnale della volontà di disegnare fin d’ora una nuova carta geopolitica dell’Europa orientale e fors’anche dell’Asia occidentale. Si può leggere in quest’ottica quanto sta avvenendo ormai da mesi in Moldavia. Il paese, Repubblica sovietica fino al 1991, dal giugno 2022 è candidato all’adesione all’Unione europea ed ha un Governo ed una Presidente europeisti, ma ha anche una significativa minoranza decisamente anti-europea e pro-russa (il 10% della popolazione parla esclusivamente il russo). Proprio la Moldavia ospiterà il 1° giugno prossimo la seconda riunione della “Comunità politica europea” e molti leader europei saranno presenti a Chisinau. Un articolo molto interessante pubblicato da Carnegie Europe aiuta a comprendere l’importanza strategica di quanto avviene in Moldavia: leggi

 

In una primavera caratterizzata da tornate elettorali in numerosi paesi europei, anche il Montenegro andrà alle urne per eleggere un nuovo Parlamento l’11 giugno prossimo. Dopo la sconfitta subita alle presidenziali di aprile, Milo Đukanović – deus ex machina della politica montenegrina degli ultimi decenni – ha rassegnato le dimissioni anche da capo del Partito democratico dei socialisti (DPS). La decisione, che solo il tempo chiarirà se definitiva o tattica, ha innescato una serie di uscite di scena di molti politici di lungo corso, nel DPS ma anche in altri partiti. Parallelamente, il Fronte democratico, la coalizione di partiti che per oltre dieci anni ha lottato contro Đukanović, ha annunciato di essersi sciolto. Nuove alleanze si stanno formando e sarà interessante vedere chi sarà premiato dal voto. Il piccolo Montenegro, con poco più di 600.000 abitanti, è da anni il paese dei Balcani con il quale più avanzati sono i negoziati di adesione all’UE. La sua vita politica è tuttavia condizionata da una forte componente filo-serba, nonché da un’attiva minoranza albanese. Traccia un quadro della situazione pre-elettorale un articolo di BalkanInsightleggi

 

In Medio Oriente, ogni paese ed ogni regione convive con talmente tanti problemi che sembra impossibile che le popolazioni possano condurre una vita in qualche modo normale. Succede così anche in Libano, che pure per molti anni fu definito “la Svizzera del Medio Oriente”. Il paese conta circa sei milioni di abitanti, e di questi più o meno un terzo sono profughi siriani, che si sono aggiunti ai profughi palestinesi il cui insediamento è ormai “storico”. Queste presenze hanno sconvolto gli equilibri politico-religiosi locali, basati su una convivenza semi-istituzionalizzata tra sciiti, sunniti e cristiani. Il risultato è un costante aggravarsi della crisi economica e sociale che ormai flagella il paese da molti anni e sembra allontanare ogni ipotesi di ritorno ad una normale dialettica democratica. Dura (e per noi forse sorprendente in bocca ad un porporato) è stata una recente presa di posizione del Patriarca maronita, che ha invitato la comunità internazionale ad “aiutare i siriani a casa loro”, spingendoli ad abbandonare il Libano e a rientrare nel loro paese. Della posizione della comunità libanese cristiana parla un servizio dell’Agensir, l’agenzia della Conferenza episcopale italiana (leggi). Uno sguardo più laico è proposto da un articolo apparso sul sito dell’OSMED (Osservatorio sul Mediterraneo): leggi

Concludiamo questa rassegna stampa con due segnalazioni di articoli di ampio respiro. La prima concerne le imminenti elezioni greche (21 giugno), oggetto di un suggerimento di lettura già la scorsa settimana. Nell’articolo proposto oggi, apparso sul sito dell’International Institute for Middle East and Balkan Studies (leggi), l’autore non analizza solo la situazione pre-elettorale, bensì anche i possibili sviluppi (compreso un eventuale nuovo voto tra poche settimane) nel caso i risultati non permettessero la costituzione di un governo in tempi brevi.

 

L’ultima proposta di lettura riguarda invece una ricerca pubblicata dalla Stiftung Wissenschaft und Politik (leggi) e dedicata ad un fenomeno ancora poco noto e studiato, vale a dire l’esodo dalla Russia di persone (soprattutto giovani) genericamente riconducibili alla società civile, con un alto livello di istruzione e competenze. Secondo l’autrice della ricerca, dall’inizio dell’attacco all’Ucraina nel febbraio 2022, sono stati circa mezzo milione coloro che hanno abbandonato il paese. Il ruolo che questa diaspora potrà svolgere al momento di un’eventuale crisi nell’establishment russo è anche ampiamente analizzato nella ricerca.