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Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 30/04

Dalla dissoluzione della Iugoslavia in poi, la manipolazione della storia è stata un esercizio diffusamente praticato da politici di tutti i paesi nati da tale dissoluzione. Le motivazioni potevano essere diverse, ma fondamentalmente miravano alla creazione (se ancora ce ne fosse stato bisogno) di un nemico ancestrale da cui era necessario distinguersi e difendersi. Sono ormai passati trent’anni (una generazione) dall’implosione dello Stato federale unitario, ma la voglia di differenziazione è sempre presente ed esige che la storia le venga in sostegno fertilizzando il nazionalismo. Abbiamo qui segnalato la settimana scorsa l’uso strumentale della memoria in Croazia con riferimento al campo di concentramento e sterminio di Jasenovac. Speculare la vicenda del lager nazista di Staro Sajmište a Belgrado, che le autorità serbe stanno sfruttando per promuovere l’immagine di un popolo serbo reietto e disprezzato. Ne ha scritto Eastjournal: leggi.

 

A mano a mano che si avvicina la data del 14 maggio, quando 60 milioni di turchi andranno alle urne per scegliere un nuovo Presidente e un nuovo Parlamento, cresce l’attenzione dei media internazionali per questa scadenza importantissima. Scadenza altresì simbolica perché quest’anno ricorre anche il centenario della fondazione della Turchia moderna da parte dei “giovani turchi” guidati da Kemal Atatürk. Al di là delle date e degli anniversari, resta il fatto che secondo molti analisti queste elezioni potrebbero vedere la sconfitta di Recep Tayyip Erdoğan, dominus incontrastato del paese negli ultimi vent’anni. E oltre al destino personale del leader, potrebbe essere in gioco proprio la profonda trasformazione che Erdoğan ha imposto alla Turchia: dalla fine del secolarismo di Atatürk, al rilancio di un sogno “ottomano”, all’ambizione di fare di Ankara una potenza almeno regionale. Dei tanti temi sul tavolo offre un buon sunto un articolo de Linkiesta: leggi. Una trattazione più ampia e particolareggiata è invece quella dell’“Osservatorio Turchia” sul sito del Cespi: leggi.

 

L’attacco russo all’Ucraina, il suo protrarsi nel tempo e il manifestarsi di nuove certezze ed altrettanti dubbi sulle alleanze internazionali hanno suscitato un dibattito sulle prospettive non solo dell’assetto geopolitico post-bellico, ma anche su quelle delle reti commerciali mondiali. Da varie parti ci si è affrettati a sostenere che pandemia e guerra hanno ucciso la globalizzazione. Eppure, c’è anche – diffusa – la sensazione che per il commercio non potrà più esserci un ritorno ai modelli novecenteschi. Correzioni all’approccio iper-globalista sono già state apportate, soprattutto accorciando le catene di approvvigionamento e diversificando le fonti di materie prime, ma adesso occorre guardare realisticamente in avanti, evitando di “gettare il bambino con l’acqua sporca”. È questa la posizione sostenuta anche dal vicepresidente della Commissione europea Dombrovskis in un convegno organizzato dal centro studi Bruegel di Bruxelles. Ne ha riferito Euractiv.it: leggi. All’evento è intervenuto anche Fabio Panetta, membro italiano del Comitato esecutivo della Banca centrale europea (BCE). Il testo del suo interessante contributo è disponibile sul sito della BCE: leggi.

 

 

Ai tempi del referendum del 2016, molti politici fautori dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea hanno mentito sapendo di mentire sui probabili effetti della Brexit. Per molti dei cittadini che da tali menzogne si sono fatti fuorviare, la realtà si è andata rivelando con il passare dei mesi e degli anni, veicolata da notizie che inevitabilmente dimostrano come l’abbandono del mercato unico abbia provocato un grave danno all’economia britannica. Ora una petizione popolare ha chiesto un’inchiesta pubblica sulla Brexit (ne ha scritto Euractiv.it: leggi). Ma l’industria e il mondo degli affari non hanno bisogno di inchieste per comprendere la situazione di svantaggio in cui si trovano molte aziende d’oltremanica. Quel Regno Unito che avrebbe dovuto concludere vantaggiosi accordi bilaterali con i maggiori partner commerciali mondiali, si trova esposto alla minaccia di un esodo di sue industrie, attratte dall’Inflation Reduction Act degli Stati Uniti o dalle agevolazioni che l’Unione europea si appresta ad offrire. Il sito dailybusinessgroup.co.uk ha presentato il caso di una grande azienda di pezzi di ricambio per auto, che diventa paradigmatico per l’intero settore manifatturiero: leggi.

 

Era scontato che il primo 25 aprile con un Governo di destra alla guida del paese scatenasse un profluvio di commenti, dibattiti, interviste, lettere ed editoriali. I media italiani ne sono stati inondati per giorni, ed è giusto che così sia stato: il dibattito verteva sulle fondamenta ideologiche della nostra Costituzione, fonte di tutto il diritto italiano e riferimento del vivere civile. Poteva essere legittimo immaginare che la diatriba rimanesse circoscritta all’Italia, invece il problema del post-fascismo e dell’antifascismo è seguito con attenzione anche fuori dai nostri confini. Con sobrietà e moderazione, ma anche con estrema chiarezza, ha scritto ad esempio della “difficoltà” di Giorgia Meloni a far proprio il concetto di antifascismo il giornale (liberale) berlinese Tagesspiegel: leggi. Sempre in lingua tedesca, più severo è il giudizio del viennese Der Standard, per il quale “se il tema non fosse terribilmente serio, verrebbe quasi da ridere a proposito delle contorsioni politiche del governo italiano”: leggi.

 

Per l’UE in generale e per l’Italia in particolare, l’Egitto è un paese da tenere costantemente sotto osservazione. Dai suoi porti partono verso la sponda nord del Mediterraneo migranti di varie nazionalità (soprattutto sudanesi ed asiatici), ma anche molti giovani locali: la popolazione egiziana ha superato la soglia dei 100 milioni e la crescita demografica non accenna ad arrestarsi. Il Presidente Al-Sisi è uno degli attori di primo piano in Libia, e ci sono dubbi che, nonostante le smentite, sia implicato anche nella guerra civile nel confinante Sudan. Tuttavia, il pericolo maggiore è oggi che il paese si avvii verso una fase di instabilità, potenzialmente disastrosa. La causa è la gravissima situazione economica, con un debito pubblico fuori controllo (tenuto in piedi da prestiti del FMI), un’inflazione che ha di fatto spazzato via il ceto medio e l’assenza di realistiche previsioni di rilancio. Illustra il quadro preoccupante un articolo pubblicato sul sito mondointernazionale.org: leggi.

 

Da alcuni anni, i porti del Mediterraneo stanno riacquisendo un’importanza strategica che per lungo tempo non hanno avuto: la crescita del porto di Trieste e dei traffici che veicola ne è testimonianza. Fondamentale per questo sviluppo è naturalmente il commercio con le regioni dell’Oceano indiano e del Pacifico occidentale, e quindi la rotta che passa dal Canale di Suez. Prima di raggiungere Suez, tuttavia, le navi dirette nel Mediterraneo devono risalire il Mar Rosso, al quale accedono dal Bab al-Mandab, lo stretto tra Gibuti e Yemen. Se da un lato è quindi fondamentale che l’Egitto garantisca il libero passaggio da Suez (altro elemento che giustifica la preoccupazione per la situazione politico-economica del paese, di cui al precedente suggerimento di lettura), dall’altro è nell’interesse generale che venga posto fine alla lunga guerra civile yemenita per evitare che in qualche modo ne rimanga coinvolto il Bab al-Mandab. In effetti qualcosa si sta muovendo, con una nuova iniziativa saudita, facilitata forse dall’accordo raggiunto recentemente tra Riyad e Teheran con la mediazione cinese. La complessità del caso yemenita è ben illustrata da un articolo pubblicato sul sito dell’ISPI: leggi.