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A due anni dall’inizio dell’aggressione russa all’Ucraina, sembra prevalere nelle opinioni pubbliche occidentali la sensazione che le sanzioni adottate contro Mosca siano tutto sommato scarsamente efficaci (“Le sanzioni non bastano a far cambiare rotta a Mosca” ha titolato il 1° febbraio il sito della Radiotelevisione svizzera: leggi). Per contro, c’è preoccupazione per le conseguenze sulle economie europee e mondiali degli attacchi portati dagli Houthi yemeniti contro mercantili in transito nel Mar Rosso (l’ADNKronos ne ha scritto circa un mese fa: leggi). Sarebbe interessante indagare su origine e ragioni di questo tipo di valutazioni, vista la sproporzione – almeno sul piano economico – dei due fenomeni. Un’analisi solo un po’ più attenta e fattuale sembra infatti dimostrare che le sanzioni incidono profondamente sulla Russia, entrata a tutti gli effetti in un’economia di guerra, come sostiene la Frankfurter Rundschau (leggi) e come ha ben illustrato a fine gennaio Federico Fubini sul Corriere (leggi). Al confronto, il danno economico effettivamente arrecato dalla situazione nel Mar Rosso è, tutto sommato e almeno per il momento, molto meno significativo. I commenti di alcuni grandi operatori del commercio mondiale, riportati dal sito del World Economic Forum (leggi), esprimono certo preoccupazione ma giungono a dire che, se la crisi troverà una rapida soluzione, le “perturbazioni costituiranno solo un piccolo inconveniente per l’economia globale e una nota a piè di pagina nei bilanci aziendali”.
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Mentre in Medioriente le diplomazie cercano di riprendere l’iniziativa e giungere almeno ad un cessate il fuoco, il dramma epocale vissuto da Israele con gli attacchi del 7 ottobre e l’apocalisse di devastazioni che ha annichilito la striscia di Gaza fanno da sfondo ad un rimescolamento profondo delle alleanze tra i paesi della regione. Solo un paio di settimane fa questa rassegna stampa di Dialoghi europei aveva segnalato un articolo di L’Orient Today (leggi) che riferiva dei tentativi dell’Egitto di Al Sisi di ritrovare un ruolo in Libano. Ma il Presidente egiziano si sta muovendo anche in altre direzioni ed in particolare sembra essere riuscito a chiudere il contenzioso con un’altra potenza regionale quale la Turchia, ricevendo al Cairo il suo omologo Erdoğan (“Turchia: fine del gelo con l’Egitto” ha titolato Eastjournal: leggi). La rottura tra i due paesi risaliva al 2013, quando Al Sisi prese il potere, estromettendo la “fratellanza musulmana”, sostenitrice del Presidente Morsi e grande alleata del partito AKP di Erdoğan (ne scrisse Euronews: leggi). Ora Erdoğan rassicura la “fratellanza”, ma, come riporta il sito Nordic Monitor (leggi), a vari esponenti dell’organizzazione che avevano trovato rifugio in Turchia è stata revocata la cittadinanza. Nel complesso panorama delle attività diplomatiche in corso nella regione, il disgelo tra Egitto e Turchia sembra puntare anche a contenere il protagonismo del Qatar, solerte mediatore nel conflitto tra Israele ed Hamas (vi accenna il citato articolo di Eastjournal).
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Al di fuori del Medioriente propriamente detto, la ritrovata sintonia tra Erdoğan e Al Sisi potrebbe assumere anche un particolare significato economico, in quanto aprirebbe la strada ad una collaborazione per la ricostruzione della Libia, come afferma il sito turco TRTafrika: leggi. Il paese nordafricano, verso il quale sembra si stia manifestando una qualche disaffezione da parte dell’Occidente (vi ha nondimeno dedicato un’utilissima analisi il Ministero degli esteri italiano lo scorso anno: leggi), continua evidentemente ad essere di primaria importanza per la Russia e la Cina. Mentre quest’ultima prosegue la propria azione intesa ad assicurarsi una presenza strategica nelle infrastrutture del paese, Mosca ha appena riaperto la propria Ambasciata a Tripoli (l’Agenzia Nova ha titolato “Russia e Cina rafforzano la loro presenza a Tripoli e Bengasi” – leggi). Ma, come sottolinea preoccupato un articolo di Al Jazeera (leggi), la Russia sta altresì consolidando la propria presenza militare tramite i paramilitari della Wagner, sopravvissuta al suo fondatore Prigožin
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Il persistere delle manifestazioni di agricoltori attraverso l’Europa, con iniziative eclatanti quali la contestazione del Presidente Macron al Salone francese dell’agricoltura (come riferito da Euronews: leggi) e soprattutto gli scontri di Bruxelles del 26 febbraio (con un ampio resoconto sul sito di RAINews: leggi), sta mettendo in crisi molte certezze circa la necessità e l’urgenza di lottare contro il cambiamento climatico. D’altra parte, è da tempo ormai che le forze politiche conservatrici (e non solo quelle della destra estrema) hanno adottato una posizione molto critica nei confronti del Green Deal europeo, come illustra un articolo di Europa Today del maggio 2023: leggi. Dopo le elezioni europee e il rinnovo dei vertici istituzionali di Bruxelles, sarà interessante vedere se l’arrendevolezza dimostrata soprattutto nei confronti degli agricoltori (segnalata da Qui Finanza: leggi) denota un cambiamento di strategia, oppure se si tratta di un atteggiamento puramente tattico proprio in vista del voto di giugno, nella speranza di poter poi riprendere il cammino lungo la strada già tracciata. Gli ottimisti possono propendere per questa seconda ipotesi, che pare suffragata dal contenuto di un articolo apparso su un sito dell’Università di Padova: leggi.
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Solo un paio di anni fa – e forse anche meno – il Gruppo di Visegrád (V4 – Repubblica ceca, Polonia, Slovacchia e Ungheria) era visto come una delle principali pietre d’inciampo per qualsiasi iniziativa dell’UE che puntasse ad aumentare la coesione europea e le azioni comuni. (Nel febbraio 2021 la rivista online Diritti globali aveva ripercorso la storia del V4, sottolineando come i “leader sovranisti del V4 [rivendicano] la diversità dei Paesi dell’Europa centro-orientale da quelli occidentali”: leggi). Con il cambio di governo a Varsavia e con l’indebolimento (non si sa se solo temporaneo) di Orbán dopo le dimissioni della Presidente della Repubblica Novák, l’orgoglio sovranista del V4 sembra molto attenuato, al pari della forza politica del Gruppo. In vista del vertice del V4 tenutosi il 27 febbraio, Balkan Insight ha presentato la riunione tra Primi ministri come l’incontro dei “quattro rissosi”: leggi. E una primissima analisi dei risultati di tale vertice proposta da Radio Free Europe suggerisce che, nonostante su vari temi ci sia una qualche unità d’intenti, le opinioni in merito alla guerra in Ucraina denotano divergenze profonde “come un canyon”: leggi.
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Nella sarabanda di notizie, fotografie, analisi e commenti in merito alle elezioni regionali in Sardegna, molti giornali non hanno dato spazio alla visita di Stato del Presidente Mattarella a Cipro. Non così il sito Formiche.net che nell’occasione ha pubblicato un interessante articolo sull’“isola […] diventata strategica alla voce difesa e sicurezza” (leggi). La scoperta in anni recenti di enormi giacimenti di gas naturale nei fondali del Mediterraneo orientale, comprese in particolare le acque territoriali di Cipro, hanno accresciuto l’interesse per il paese. Per l’Italia tale interesse è diretto, visto il ruolo assunto da ENI nella prospezione e nello sfruttamento delle riserve di gas (espliciti il sito dell’azienda – leggi – e un articolo di Milano Finanza – leggi). Considerata tuttavia la posizione geografica dell’isola, ad essere aumentato non è solo l’interesse economico, ma anche quello politico. Le guerre in Ucraina e Medioriente hanno fatto riaffiorare l’ipotesi di un’adesione di Cipro alla NATO, argomento che riemerge di tanto in tanto come un fiume carsico (ne scrisse ad esempio una quindicina di anni fa l’autorevole sito americano Brookings: leggi). A tale proposito, va ricordato che fin dall’indipendenza (1960), a Cipro sono presenti due importanti basi militari sotto completa sovranità del Regno Unito (le caratteristiche sono precisate sul sito ufficiale delle Sovereign Base Areas stesse: leggi).
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