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Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 17/03

Ed eccoci alla conferenza conclusiva del ciclo "Allarghiamo gli orizzonti" 2023/24, lunedì 25 marzo alle 17:30 al Circolo della Stampa. Qui di seguito troverete la locandina, vi aspettiamo numerosi! (Qui la locandina). 
 

Secondo indiscrezioni pubblicate dal sito vsquar.org (leggi), il recente vertice del Gruppo di Visegrád è stato contrassegnato da un vero e proprio scontro verbale tra il Primo ministro polacco Donald Tusk, sostenuto dall’omologo ceco Petr Fiala, e il premier ungherese Viktor Orbán: “il dibattito è stato talmente acceso che si urlavano letteralmente addosso”. È un fatto che, con il partito conservatore PiS costretto all’opposizione in Polonia, Orbán ha perso un alleato di peso e si ritrova sempre più isolato in Europa. Ciò lo induce, da un lato, ad ammorbidire talune posizioni conflittuali (blocco dei finanziamenti UE all’Ucraina e opposizione all’adesione della Svezia alla NATO), dall’altro, a rivendicare in modo sempre più eclatante alcune prese di posizione “ideologiche”, quale ad esempio l’invito a Trump affinché “torni a portarci la pace” (come riferito dall’ANSAleggi). Ma ciò che può forse essere strategicamente più delicato, è il rapporto che il leader ungherese continua ad intrattenere con Pechino. È di questi giorni la notizia (riportata da Die Welt – leggi) di un accordo che prevede la presenza di poliziotti cinesi in Ungheria, per pattugliamenti congiunti con i colleghi ungheresi. Il sito Hungary Today (pro-governativo), che ha ripreso con molta evidenza la notizia (leggi), non manca di sottolineare che “gli ultimi due anni hanno visto un livello senza precedenti di investimenti cinesi in Ungheria”.

 

Se riuscissero a liberarsi da una certa isteria da competizione, i partiti in lizza per le prossime elezioni del Parlamento europeo potrebbero utilmente confrontarsi su una serie di tematiche squisitamente politiche, in merito alle quali esiste, in ciascun campo, una legittima posizione di natura anche ideologica. I programmi elettorali del PPE (leggi) e del PSE (leggi) sono, da questo punto di vista, paradigmatici. Ciò nonostante, non si percepisce ancora l’avvio di un vero dibattito. Dal congresso del PPE di Bucarest il Presidente Weber ha bollato gli avversari del PSE come coloro che hanno solo “slogan ideologici e idee vaghe per il futuro” (come riferito dall’AGIleggi). Dal canto suo, parlando al congresso del PSE a Roma, Paolo Gentiloni ha rivendicato una sorta di diritto di tutela sulla politica ambientale europea, affermando che “è nostro dovere difendere il Green Deal” (come riportato da EUObserverleggi). Proprio in merito al Green Deal è utile segnalare quanto distanti siano in realtà le opinioni delle forze politiche: mentre il PSE sottolinea l’impegno per la difesa dell’ecosistema (sul sito del Gruppo un commento all’approvazione della normativa sul ripristino della natura, leggi), il PPE punta al “meno Green Deal” (come ha titolato Euronewsleggi) , mentre i Conservatori e Riformisti chiedono senza mezzi termini che “la UE cambi impostazione” perché “così è solo un colossale regalo alla Cina” (secondo quanto mette in evidenza il sito del Gruppoleggi).

 

Negli anni della guerra fredda e della contrapposizione tra il blocco atlantico e quello sovietico, la Bulgaria è sempre stata il più rigido ed allineato alleato di Mosca, al punto che l’aggettivo bulgaro ha finito per assumere “in espressioni quali elezione, votazione b., e sim.” il significato di “guidato o imposto dittatorialmente” (Treccanileggi). Ci sono naturalmente ragioni storiche, culturali ed anche religiose per la tradizionale vicinanza tra bulgari e russi (chi volesse approfondire trova un’ampia trattazione dul sito dell’Università del Minnesota: leggi), ma in anni recenti i rapporti tra i due paesi non sono sempre stati semplici. In particolare dopo l’aggressione russa all’Ucraina, è come se in Bulgaria pro-russi e anti-russi avessero radicalizzato le proprie posizioni (un anno fa lo European Center for Populism Studies ha pubblicato un’interessante relazione in merito: leggi), anche se la percentuale di chi guarda a Mosca con simpatia è diminuita, come scrive il sito bne IntelliNewsleggi. La contrapposizione continua a trasparire anche dai più recenti sondaggi in vista delle prossime elezioni europee, riportati da Euractivleggi).

 

La guerra in Ucraina ha scatenato una serie di fenomeni “collaterali” tutt’altro che marginali: l’espansione della NATO, il dibattito sulla difesa europea, una rivoluzione nelle strategie di approvvigionamento energetico, e via dicendo. Anche le politiche europee di allargamento e vicinato hanno subito uno scossone pari soltanto a quello provocato dalla caduta del muro di Berlino, che portò finalmente al maxi-allargamento del 2004-2007 (quelle vicende sono esaustivamente riassunte in un articolo di alcuni anni fa del sito officinadellastoria.euleggi). Offrendo una prospettiva di adesione ad Ucraina, Moldavia e Georgia, l’UE ha di fatto smantellato la propria politica di vicinato, che anche a tali tre paesi si indirizzava con l’esplicita condizione che mai sarebbero state condivise le Istituzioni (molti dettagli sulla politica di vicinato si trovano sul sito del Parlamento europeoleggi). Ma una tale decisione ha imposto anche di accelerare il processo di apertura ai sei paesi dei Balcani occidentali (WB6), in attesa da vent’anni. Un’accelerazione che però non riesce a decollare. Nel novembre 2023 la Commissione ha proposto di attivare a favore dei WB6 uno “Strumento di riforma e crescita” del valore di 6 miliardi di euro (il progetto di regolamento è disponibile su EurLexleggi). Solo ora, quattro mesi dopo, i primi passi formali per la messa in cantiere dell’iniziativa sono stati fatti. Ma la strada si presenta lunga. Come indica il sito del Consiglio che annuncia il conferimento del mandato negoziale (leggi), “l’accordo […] consentirà alla presidenza del Consiglio di avviare i negoziati sul testo finale dello strumento con il Parlamento europeo non appena quest'ultimo avrà votato sul proprio mandato”. I tempi rimangono incerti.

 

Un segnale della volontà delle Istituzioni europee di mantenere vivo il processo di allargamento è stato nondimeno mandato da Ursula von der Leyen con l’annuncio che la Bosnia-Erzegovina ha compiuto significativi progressi nell’attuazione delle riforme richieste da Bruxelles ed è pronta per la prossima fase. Come ha scritto Europe Today, “la Commissione […] raccomanderà al Consiglio europeo […] di avviare i negoziati con Sarajevo” (leggi). La raccomandazione è illustrata sul sito della Commissione: leggi. Non è detto tuttavia che il Consiglio europeo sia pronto a seguire tale raccomandazione. Lo ricorda anche un articolo di Al Jazeera (leggi), che sottolinea come la Bosnia-Erzegovina sia “forse il più fragile dei paesi dei Balcani”. D’altra parte, l’artificiosità della struttura istituzionale introdotta dagli accordi di Dayton del 1995, volta soprattutto a pacificare il paese, ben spiega tale fragilità. Esempio più volte citato è la Costituzione del paese, redatta in inglese e tuttora priva di traduzione ufficiale nelle lingue dei “popoli costituenti”. Proprio per superare gli scogli interpretativi causati da questa situazione, l’anno scorso è stato pubblicato (anche con il sostegno dell’InCE), un glossario in inglese, bosniaco, croato e serbo, presentato con un video YouTube disponibile sul sito dell’Osservatorio Balcani-Caucasovedi (in particolare dal minuto 22:30).

 

A conclusione di questa rassegna stampa, alcune segnalazioni di articoli ed analisi (in realtà numerosissimi) che possono in qualche modo essere propedeutici alla conferenza di Dialoghi europei sulla sicurezza europea, cui si fa riferimento sopra. Molti dati ed informazioni in merito alla situazione attuale sono forniti da un articolo del sito di fact-checking Pagella politicaleggi. Una riflessione stimolante (anche perché ricca di spunti polemici) è quella del generale Carlo Jean su Formiche.netleggi. In Germania, la politica nazionale di sicurezza e i vincoli con quella europea è illustrata sul sito del Governo tedesco (leggi). Interessanti sono anche alcune indicazioni circa un’eventuale emissione di debito comune europeo destinato a sostenere la politica di difesa e sicurezza, cui accenna un articolo dell’agenzia italiana Public Policy dedicato ad un documento comune di Francia, Polonia ed Estonia concernente la difesa UE: leggi.