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Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 12/05

Rassegna stampa personalizzata questa settimana, in preparazione della conferenza di DIALOGHI EUROPEI di martedì prossimo, 14 maggio, ore 17:30 al Circolo della Stampa di Trieste, sul tema "Ultime dal caos: guerra chiama guerra?". Troverete infatti- tra l'altro- contributi assai pertinenti  proprio dei 3 relatori: Stefano Silvestri, Guglielmo Cevolin e Federico Donelli: dopo averli letti non potrete mancare alla conferenza!

Buona lettura! 
Il presidente Giorgio Perini
 
Il titolo della conferenza del 14 maggio sopra ricordata è direttamente ispirato a quello di un recente articolo del prof. Stefano Silvestri. Il testo, ricco di spunti di analisi e riflessione, è disponibile sul sito di Affari internazionalileggi.
Alcuni interventi del prof. Guglielmo Cevolin su vari dei temi che verranno esaminati nel corso dell’evento possono essere ascoltati accedendo alla pagina Facebook di Eurohistoriaqui.
Il prof. Federico Donelli, già ospite di Dialoghi europei in un recente passato, ha contribuito all’ultimo numero della pubblicazione dell’ISPI “Mediterraneo allargato”, con un articolo sulla situazione nel Corno d’Africa (leggi), regione ormai strategica nel quadro del conflitto mediorientale.
 

La presenza di un confine che durante gran parte del XX secolo ha tanto segnato Trieste, Gorizia e tutto il Friuli Venezia-Giulia fa sì che nella nostra regione il ventennale dell’allargamento dell’Unione europea non possa essere considerato il banale anniversario di un avvenimento ormai dimenticato. La simbologia assunta dalla piazza della Transalpina parte anche dal ricordo del 1° maggio 2004, quando Romano Prodi, in qualità di Presidente della Commissione, vi si recò per salutare il compimento di un processo che, come scrisse all’epoca la CNN (leggi), ha “[unito] l’Europa orientale e quella occidentale rimarginando fratture lasciate dalla seconda guerra mondiale e dalla guerra fredda”. Oggi lo scetticismo nei confronti dell’UE è aumentato a tal punto che campeggiano manifesti elettorali che invocano “meno Europa” (slogan in linea con il programma del gruppo “Identità e democrazia”, cui aderisce la Lega, sintetizzato sul suo sito: leggi). Eppure, guardando ai risultati conseguiti grazie all’appartenenza all’UE dai paesi che hanno aderito vent’anni fa, l’Unione europea ha di che essere fiera, come illustra un bell’articolo sul sito della fondazione Friedrich Neumannleggi.

 

La dolorosa mancanza di una vera politica estera europea ha da sempre lasciato spazio alle iniziative diplomatiche dei singoli Stati membri. La Francia, ad esempio, si è distinta per anni nel perseguire una politica molto attiva nei confronti dell’Africa (sebbene non sempre con successo – fa testo un’analisi della Stiftung Wissenschaft und Politikleggi). Similmente, la Spagna ha molto curato i propri rapporti con l’America ispanofona (lo attesta il Ministero degli esteri di Madrid: leggi). L’Italia, dal canto suo, ha tradizionalmente assunto un approccio più defilato: scriveva nel 1965 Altiero Spinelli che “nessuna persona ragionevole può pretendere che l'Italia assuma ruoli originali ed esemplari nella politica internazionale” (pubblicato dall’Università di Padova nel 1992: leggi). Ha quindi sollevato interesse, anche fuori dai nostri confini (ne ha scritto diffusamente il geopoliticalmonitor – leggi), il cosiddetto Piano Mattei lanciato dal Governo Meloni. Secondo un’analisi dello IAI, il Piano potrebbe segnare una svolta per la politica italiana di cooperazione allo sviluppo (leggi), ma a tal fine dovrà disporre di “livelli adeguati di risorse finanziarie”. Affinché non resti un guscio vuoto, bisognerà verificare la disponibilità dell’Italia a “sostenere le proprie ambizioni politiche con tali risorse finanziarie” in occasione del rifinanziamento dell’Associazione internazionale per lo sviluppo (IDA) della Banca Mondiale (i dettagli sono sul sito dell’IDA: leggi). Per il momento ci sono solo le rassicurazioni dell’ambasciatore italiano all’ONU Maurizio Massari, secondo il quale “ci adoperiamo per il successo del rifinanziamento”, come riferito dal sito onuitalialeggi.

 

Uno dei motivi che rendono spesso difficilmente decifrabili per l’osservatore esterno le dinamiche in atto nei Balcani, le feroci contrapposizioni etniche, l’adesione a miti ancestrali, consiste nel fatto che si tende a dimenticare come la regione sia solcata anche da profonde divisioni di carattere religioso, sconosciute da tempo nel resto d’Europa. Oltre alle evidenti linee di faglia che separano da un lato l’Islam dalla Cristianità, e dall’altro il Cattolicesimo dall’Ortodossia, esistono, all’interno di quest’ultima, nette contrapposizioni tra le varie chiese nazionali. (Già vent’anni orsono l’Osservatorio Balcani Caucaso aveva dedicato al tema una serie di articoli tuttora validi: leggi.) Tali contrapposizioni sono acuite dal ruolo politico che le chiese ortodosse rivendicano ed esercitano di fatto: ne scrisse il Foglio tempo fa – leggi. Non deve quindi essere sottovalutato l’acuirsi dei contrasti tra il patriarcato di Mosca e quello ecumenico di Costantinopoli in merito al conferimento dell’autocefalia alla chiesa di Macedonia, ben illustrati da Balkan Insight (leggi), nel pieno della campagna elettorale che ha portato alla travolgente vittoria della destra nazionalista, all’opposizione dal 2017 (come riferito da Internazionale: leggi).

 

Quando, nel dicembre 2023, il Parlamento italiano votò contro la ratifica della modifica del trattato che istituisce il Meccanismo europeo di stabilità – MES (il testo del trattato, firmato nel 2012, è sul sito del MESleggi), il Direttore lussemburghese dello strumento, Pierre Gramegna, segnalò il proprio “rammarico” per tale decisione (il breve comunicato è sul medesimo sito: leggi). Lo stesso rammarico venne espresso dal Commissario Gentiloni quando, a gennaio, l’Italia confermò in sede di Eurogruppo che non avrebbe ratificato il nuovo MES. Gentiloni aggiunse tuttavia di ritenere “che il rammarico debba tradursi anche nella spinta per trovare il modo per risolvere questa questione, perché non possiamo evitare una possibilità di utilizzo di queste risorse” (come riferito dall’ANSAleggi). Pochi giorni prima la Presidente Meloni si era espressa in termini non troppo diversi: “forse la mancata ratifica […] da parte dell'Italia può diventare un’occasione per trasformare questo strumento in qualcosa che possa essere più efficace” (la dichiarazione durante la conferenza stampa del 4 gennaio è sul sito del Governo: leggi). In assenza di crisi monetarie o bancarie alle viste, entrambe tali considerazioni sembrano avere un seguito. Come riferisce Politico (leggi), la dotazione del MES potrebbe trovare utile impiego per nuove finalità legate alla difesa e alla sicurezza.

 

Mentre l’Unione europea sembra avere metabolizzato la Brexit senza traumi eccessivi, il Regno Unito è ancora alle prese con le conseguenze dirette ed indirette della decisione assunta dopo il referendum del 2016 (ne dà un’idea un articolo di Qui finanza del gennaio scorso: leggi). Tali conseguenze sono in gran parte di natura economica, ma quelle politiche non vanno trascurate. Come facilmente immaginabile, tra queste figura la nuova instabilità in Irlanda del nord, dove riaffiorano episodi di violenza settaria tra le comunità protestante e cattolica (e al loro interno). Un recente sanguinoso fatto di cronaca (un giovane letteralmente inchiodato ad una staccionata, come riferito dall’Irish Timesleggi) ha evidenziato la gravità della situazione in un contesto di delusione per la gestione della post-Brexit (due terzi dei cittadini vorrebbero tornare nell’UE, come ha indicato un sondaggio pubblicato dal Belfast Telegraphleggi) e la rassegnata consapevolezza che una futura riunificazione con la Repubblica d’Irlanda, pur non imminente, appare inevitabile (ne ha scritto il sito geopolitica.info dopo che il partito nazionalista si è insediato al governo a Belfast: leggi).