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Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali 07/11 - 13/11


 

Il 30 ottobre è deceduto Amphilohije, metropolita montenegrino della chiesa ortodossa serba. Convinto che il migliore vaccino contro il Covid19 fossero i pellegrinaggi religiosi, è morto di Covid19. Moltissimi fedeli che hanno partecipato al suo funerale, celebrato nella cattedrale di Podgorica, non indossavano mascherine, hanno baciato il corpo del vescovo esposto nella bara e hanno ricevuto la comunione da un medesimo cucchiaio, come prevede la liturgia ortodossa. Il novantenne patriarca serbo Irinej, che ha presieduto alle celebrazioni funebri, è stato ospedalizzato a Belgrado alcuni giorni dopo, positivo al Covid19. Il funerale è già considerato uno dei più grandi focolai epidemici della regione. Enucleata in questo modo, la notizia, che ha trovato spazio anche nella stampa internazionale, sembra essere più che altro una stigmatizzazione del negazionismo relativo alla pandemia. Ma la morte di Risto Amphiloije Radović non ha solo una valenza religiosa: come tutto nei Balcani deve essere interpretata con una lettura politica. È quello che ci aiuta a fare il giornalista bosniaco Ahmed Burić in un articolo pubblicato sul sito dell’Osservatorio Balcani Caucaso (leggi)



È circolato molto sui social un breve filmato in cui un inviato della BBC ha chiesto a Joe Biden, poco dopo la diffusione dei risultati elettorali, un commento per la sua emittente. Con fare un po’ canzonatorio, ma con grande prontezza di spirito, il Presidente-eletto gli ha risposto: “per la BBC? Io sono irlandese…”. In realtà, con l’elezione di Biden il Primo ministro britannico Boris Johnson ha più di qualche ragione di preoccuparsi per i futuri rapporti tra il Regno Unito e la sua ex-colonia d’oltreoceano. Ovviamente non ci saranno rotture né scontri clamorosi, ma di certo a Londra verrà a mancare l’appoggio incondizionato per tutte le scelte isolazioniste o sovraniste che l’amministrazione Trump invece garantiva. E la salvaguardia degli accordi di pace in Irlanda sarà di certo una priorità per Biden: non solo per i (lontani) legami di sangue, ma soprattutto per la sua visione dei rapporti con l’Europa e con l’UE in particolare. L’analisi proposta al riguardo è quella della BBC (leggi). 

 

Nel momento in cui un conflitto sanguinoso viene fermato e le armi restano in silenzio, bisogna rallegrarsi e basta. Subito dopo è lecito (e doveroso) cercare di capire cosa sia successo, perché, chi sono i vincitori, chi i vinti. Quando Armenia e Azerbaijan hanno cominciato a fronteggiarsi a fine settembre (come in passato con il pretesto del Nagorno-Karabakh) molti osservatori hanno subito intravisto sullo sfondo le ombre di Putin ed Erdoğan. Come in Siria, come in Libia: russi e turchi si schierano su fronti contrapposti, in qualche modo si sfidano, ma stanno attenti a non farsi male. Quando tra i due un incidente accade, il responsabile si scusa con prontezza (come nel caso dell’abbattimento di un jet russo da parte dei turchi in Siria nel 2015). In realtà appare sempre più come un gioco delle parti: Putin ed Erdoğan puntano entrambi ad imporre la loro presenza come indispensabile ed indiscutibile su uno scenario geopolitico sempre più ampio. Ha quindi ragione “Internazionale” quando, nella sua analisi, indica nei due Presidenti russo e turco i vincitori politici del (cessato) conflitto armeno-azero: (leggi

 

Simone de Beauvoir, che ha esortato le donne a ribellarsi contro il vecchio aforisma “Tota mulier in utero”, avrebbe forse salutato con piacere il moto spontaneo di centinaia di migliaia di donne polacche che sono scese in piazza per protestare contro la decisione della Corte costituzionale che ha dato un’interpretazione restrittiva della legge sull’interruzione della gravidanza. La notizia è rimbalzata anche sulla stampa italiana, sebbene spesso malinconicamente relegata nelle pagine centrali e senza l’enfasi riservata al Covid19. Adeguato spazio ha invece trovato sul sito del magazine “Jacobin”, voce della sinistra radicale americana (leggi)

 


Il bilancio previsionale dell’UE per il periodo 2021-2017, che include le risorse per il cosiddetto “recovery fund”, è da mesi oggetto di acceso dibattito tra le Istituzioni dell’Unione e più volte questa rassegna stampa vi ha fatto riferimento. Pochi giorni fa finalmente un accordo è stato raggiuto tra Parlamento europeo e Consiglio dei ministri e si spera ora che tutti, compresi gli Stati membri, lo ratifichino. Per il momento però l’incertezza permane per l’insistenza di alcuni paesi (Ungheria e Polonia in primis) a proposito dei vincoli posti per l’erogazione delle risorse e relativi al rispetto dei valori fondamentali dell’Unione europea. I termini dell’accordo sono illustrati con grande precisione dall’esperto giuridico del gruppo dei Verdi/Alleanza libera europea all’Europarlamento sul sito “EULawLive” (leggi)

 

Abbiamo aperto la rassegna odierna con la scomparsa del metropolita del Montenegro, segnalando un articolo che prende in esame il ruolo politico svolto dal religioso durante la sua lunga vita. Nel mondo ortodosso le chiese nazionali sono ancora in grado di esercitare sul potere politico un’influenza maggiore (o almeno più esplicita e visibile) di quella esercitata attualmente dalla chiesa cattolica nei paesi di maggiore insediamento (eccezion fatta forse per la Polonia). Con specifico riferimento alla regione balcanica (e in particolare a Serbia e Montenegro), il complesso rapporto tra politica e religione è analizzato in un articolo pubblicato l’estate scorsa su “lospiegone.com” (leggi