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Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 04/12

 

La locuzione italiana “stato di diritto” è usata per rendere l’inglese “rule of law” e ci ricorda che tutte le forme di potere pubblico devono sempre essere subordinate al diritto. Per l’Unione europea lo stato di diritto è uno dei valori fondamentali (articolo 2 del Trattato UE). Non mancano ovviamente coloro che giudicano lo scrupoloso rispetto dello stato di diritto alla stregua di un ostacolo a quello che ritengono l’efficiente governo di un paese: l’ungherese Orbán e il polacco Morawiecki ne sono esempi concreti. Un esempio di come invece lo stato di diritto costituisca una garanzia del rispetto delle norme che i cittadini si sono democraticamente date è rappresentato da un recente parere (leggi) formulato dalla Corte dei Conti europea in merito ad una proposta della Commissione che, modificando le disposizioni di gestione del bilancio comunitario, mira a facilitare la concessione di prestiti all’Ucraina. Nonostante la finalità indiscutibilmente lodevole, la Corte ricorda che le norme non possono essere piegate ad esigenze contingenti. La notizia si legge su EUnews: leggi.

 

Le braci che covano sotto la cenere sono spesso il preludio di incendi vasti e devastanti. Peggio ancora se ciascuno dei tizzoni rappresenta di per sé un potenziale innesco. Tale sembra essere la situazione in Algeria, dove un’apparente calma cela una realtà assai instabile. L’avvio di esercitazioni militari congiunte con la Russia in questo preciso momento storico e proprio quando il paese africano sta soppiantando Mosca come grande fornitore di gas all’occidente è già un fattore di preoccupazione. Ad esso si aggiunge il conflitto decennale (per fortuna attualmente latente) con il Marocco, l’esposizione alla minaccia jihadista ai confini meridionali e infine la stessa collocazione del paese in un’area geografica tra le più esplosive del mondo. Descrive la situazione un articolo de Linkiesta: leggi.

 

Di incendi pronti a riattivarsi si può parlare anche nel caso della guerra tra Armenia e Azerbaijan, dove gli ultimi scontri a fuoco risalgono ad un paio di mesi fa. Anche in questo angolo di Caucaso le sfide geopolitiche non mancano. La Russia è ben presente sul territorio quale forza di interdizione e monitoraggio, ma anche Francia ed Iran sono molto attive, ponendosi di fatto in conflitto con l’Azerbaijan. Come l’Algeria, anche l’Azerbaijan è tuttavia diventato un paese strategico per l’approvvigionamento di gas dell’occidente ed ogni tensione con un paese dell’UE rischia di compromettere la sicurezza energetica dell’Unione. Attira l’attenzione su questo angolo di mondo un articolo dell’Osservatorio Balcani-Caucaso: leggi.

 

L’abbaglio della “fine della storia” che ha reso celebre Francis Fukuyama ha forse avuto una conseguenza inaspettata: con l’abbandono delle ideologie, è come se anche gli ideali avessero perso pregnanza e persino le idee si fossero impoverite. Si direbbe che siano stati soprattutto i giovani ad essere penalizzati da questa dinamica. Proprio i giovani, nel cui animo si radicano con più forza e più passione gli ideali e nascono le più brillanti idee, hanno perso interesse per il futuro e si sono sempre più concentrati sul presente. Ci ritroviamo così ora con moltissimi giovani che rifugggono dalla politica (in teoria strumento per la realizzazione degli ideali) lasciando liberi gli “adulti” di decidere quale sarà il loro futuro. L’emarginazione dei giovani si osserva evidentemente anche in Europa, come sottolinea un articolo apparso su Euractiv.com: leggi.

 

Da tempo i Balcani sono l’epicentro europeo di una crisi demografica che ad ogni censimento appare più drammatica. Le cause sono da ricercare nei bassi tassi di natalità ma anche (ed ormai forse soprattutto) nell’emigrazione. Anche in un’epoca di crisi, la Germania continua ad essere la meta di tantissime persone che scelgono di cercare fortuna fuori dai paesi di origine. Questo articolo dell’Osservatorio Balcani Caucaso (ripreso dal sito di Deutsche Welle in serbo-bosniaco) bene illustra questa situazione. Su tale realtà si innesta la decisione del Consiglio UE di dare un primo via libera all’abolizione dell’esigenza di visto per i kosovari che intendono recarsi nell’Unione europea. È ovvio che liberalizzando gli spostamenti verso l’UE dei cittadini del Kosovo si rischia di incrementarne l’esodo; d’altra parte, da anni Pristina attende questa decisione, dopo aver soddisfatto tutte le condizioni poste dalla Commissione. Se non ci saranno intoppi, al più tardi il 1° gennaio 2024 l’abolizione del visto sarà realtà, come scrive La Discussione: leggi. Non desta naturalmente sorpresa che da parte serba l’annuncio non sia stato accolto positivamente, come risulta da questo dispaccio dell’Ansa.

I suggerimenti di lettura di questa rassegna stampa settimanale concernono per l’essenziale notizie relative all’Europa. Per una volta, tuttavia, proponiamo un testo nel quale l’Europa non viene nemmeno citata. L’articolo racconta, con dovizia di dati ed informazioni, l’opera di penetrazione cinese in Africa che ha ormai consentito a Pechino di essere leader indiscusso nei settori delle infrastrutture e dei trasporti. Si comprende quindi che proprio perché non menziona l’Europa – giudicandola evidentemente irrilevante in questo contesto – un articolo di questo tipo riguarda il nostro continente al massimo livello e deve far riflettere sulla debolezza delle politiche europee per l’Africa, che pure esistono e si avvalgono di finanziamenti cospicui (si veda qui). L’articolo in questione è disponibile sul sito di Wired: leggi.

 

Riportiamo qui di seguito, in versione corretta, la prima segnalazione della rassegna della settimana scorsa, che per un problema tecnico conteneva alcune linee di testo non pertinenti. Ci scusiamo con il lettore che si fosse trovato disorientato.

I nazionalismi hanno in genere un rapporto complicato con la storia. Hanno bisogno della storia per creare una narrazione di continuità immutabile tra passato e futuro, ma la storia di cui si servono deve essere semplice e lineare, priva di quella complessità che invece sempre s’intreccia con le vicende umane. Così diventa quasi inevitabile per i leader nazionalisti forzare il senso di eventi passati, per piegali alla loro logica e alla loro propaganda. È quanto ha fatto il Presidente ungherese Orbán commemorando l’anniversario della rivolta contro l’intervento del patto di Varsavia nell’autunno del 1956, come riporta un articolo pubblicato da eastjournal: leggi. L’intento di piegare la storia alle esigenze delle proprie posizioni ideologiche appare in tutta la sua chiarezza in un intervento apparso sul sito del centro studi Hungarian Conservative, nel quale si auspica che il nuovo Governo italiano si allei a quelli di Budapest e Varsavia per far trionfare il nazionalismo in Europa (leggi qui la prima parte; la seconda non è stata ancora pubblicata).