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Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 30/11/25

Come indica la locandina allegata a questa Rassegna, mercoledì 3 dicembre, nella sala Piccola Fenice di via San Francesco 5 (ore 17:30), si terrà l’incontro con il prof. Giancarlo Bosetti, organizzato da Dialoghi europei nell’ambito della serie di conferenze del ciclo “La febbre della democrazia”. L’evento sarà dedicato al tema del “Futuro della democrazia al tempo delle disuguaglianze crescenti”.

Il prof. Bosetti, giornalista, docente universitario, intellettuale impegnato da decenni sui temi della democrazia, della comunicazione e del pluralismo, si è sovente soffermato sulle relazioni tra media, opinione pubblica e politica. Intervenendo nell’ottobre 2009 al Collegio San Carlo di Modena (leggi il testo del suo contributo) ha ad esempio sottolineato – con lungimiranza, alla luce dell’attualità – come “lo stato di sofferenza della politica democratica oggi deve […] essere compreso anche come il risultato di processi di lungo periodo che hanno prodotto quella che potremmo chiamare una riduzione del tasso di democraticità della democrazia”, per poi proseguire: “quella che si viene affermando è una politica del populismo: che va definito […] come la pretesa di offrire soluzioni politiche che siano in sintonia con il sentire immediato della “gente”, e che dunque pretendono di porsi al di là della dicotomia destra/sinistra”, toccando così un tema caro a Norberto Bobbio, con il quale aveva fondato nel 1993 (assieme a Vittorio Foa) la rivista di cultura politica Reset, che tuttora dirige (accedi al sito).

Tra le molte pubblicazioni di Giancarlo Bosetti che indicano anche il suo perdurante interesse per la filosofia (disciplina scelta per gli studi universitari) si segnala il libro “La verità degli altri. La scoperta del pluralismo in dieci storie”, di cui l’Autore offre un’accattivante presentazione in un’intervista disponibile sul sito dell’editore Bollati Boringhieri: leggi.
 
Parole chiave: Giancarlo Bosetti; Democrazia; Disuguaglianze
Per quasi tutto il XX secolo gli Stati Uniti sono stati il leader indiscusso del cosiddetto “mondo libero”. In quell’aggettivo libero si condensava il concetto di democrazia liberale, rispetto dei diritti fondamentali, divisione dei poteri. In un interessante articolo apparso su Open Canada, l’ex diplomatico statunitense Edward Stafford ricorda che “un elemento essenziale della vittoria dell’Occidente guidato dagli Stati Uniti fu che, in generale, la maggior parte degli amici e alleati degli USA desiderava essere nostri amici e alleati.” […] “La vittoria dell’Occidente nella Guerra Fredda si è fondata sull’impegno statunitense […] a favore della libertà, contrapposto all’impegno dell’Impero Sovietico […] finalizzato alla dominazione e al controllo. Ora gli Stati Uniti stanno gettando alle ortiche quella vittoria duramente conquistata, alienandosi […] amici e alleati.E, cosa peggiore di tutte, rischiando di diventare il più inutile degli alleati: un alleato inaffidabile” (leggi).

Quest’ultima constatazione sembra essere ormai interiorizzata in Europa (leggi quanto detto a La Stampa dal giornalista del Financial Times Martin Wolf), al di là di scontate dichiarazioni ufficiali, come quella del premier britannico Starmer (leggi dalla Reuters).
Tuttavia, se il leader di un’alleanza è inaffidabile, la sua posizione egemonica è compromessa e l’affievolirsi dell’unità di una coalizione può essere sfruttata dagli avversari. Potrebbe essere quanto sta avvenendo con riguardo ai BRICS, in crescita reputazionale in particolare nel Sud globale (la situazione in America latina è oggetto di un articolo dell’agenzia AISE – leggi).

All’interno di questa alleanza ancora sui generis, si stanno ritagliando spazi politici significativi anche paesi tradizionalmente associati all’area occidentale, come la Turchia, paese NATO e candidato all’adesione all’UE, e il Brasile, tradizionalmente vicino al blocco occidentale soprattutto in termini economici e culturali, anche se con una forte tradizione di autonomia diplomatica e uno storico empito anticolonialista.

Alle dinamiche associate alla crescita politica dei BRICS, con particolare focus sul ruolo che vi svolge il Brasile, sono dedicati due articoli ricchi di spunti di riflessione: l’uno pubblicato dal centro di ricerche e consulenza Trends, di Dubai (leggi), l’altro dal CEBRI Brazilian Center for International Relations (leggi).
 
Parole chiave: Democrazia liberale; Alleanze; BRICS
 

Tra tutti i paesi che ambiscono a diventare membri dell’Unione europea, il piccolo Montenegro (620.000 abitanti) è quello che per primo potrebbe raggiungere l’obiettivo.
La relazione sullo stato di avanzamento dei negoziati pubblicata dalla Commissione ad inizio novembre (leggi su Europa.eu) ha sottolineato i significativi progressi del processo di allineamento della legislazione nazionale con la normativa comunitaria, come sottolineato anche dalla Commissaria all’allargamento Marta Kos (leggi sempre su Europa.eu).
Molto ottimista è (inevitabilmente) il capo del Governo di Podgorica, che “ha espresso l’aspirazione che il Paese diventi il 28esimo membro dell’UE entro il 2028”, come riportato da Euronewsleggi.

Un’analisi più dettagliata della relazione, proposta dal quotidiano austriaco Der Standard, evidenzia tuttavia come non manchino motivi di preoccupazione, soprattutto di natura politica: “con il nuovo governo guidato da Milojko Spajić sono salite al potere anche forze di estrema destra che rafforzano l’influenza del regime della vicina Serbia” (leggi).
Il giornale viennese rimarca altresì che “A Bruxelles si critica anche il fatto che non sia ancora stata approvata una nuova legge antidiscriminazione. I Rom, le persone con disabilità e le persone LGBTIQ continuano ad essere esposte a discriminazioni e a discorsi e crimini d’odio”. In questo contesto può essere inserita anche la recente polemica di cui ha riferito East Journal: “un fatto di cronaca nera ha acceso la violenza contro la comunità turca, anche a causa di una retorica politica di tipo nazionalista. A fine ottobre a Podgorica un ragazzo è stato accoltellato da due ragazzi stranieri, uno dei quali di nazionalità turca. Un fatto di cronaca nera che ha però dato vita ad una protesta degli abitanti del quartiere, con la situazione che è poi degenerata in una serie di violenze contro gli abitanti turchi della città” (leggi).
Nelle pieghe della citata relazione della Commissione si legge tra l’altro che “La legge sui diritti e le libertà delle minoranze garantisce la tutela e il rispetto dei diritti umani per tutti i cittadini […], tuttavia l’attuazione del quadro normativo non è ancora sufficiente”.
 

Parole chiave: Montenegro; Adesione
 

 
 

Quando alla fine dello scorso anno, prima ancora dell’inizio formale del suo secondo mandato, Donald Trump indicò Kimberly Guilfoyle quale ambasciatrice degli Stati Uniti ad Atene, la BBC segnalò come sovente il Presidente americano affidasse incarichi istituzionali a “fedelissimi di lunga data, o ex conduttori di Fox News – oppure a membri della sua famiglia allargata”, chiosando che Guilfoyle soddisfaceva tutte e tre queste condizioni (leggi). Il quotidiano greco Kathimerini ricordò invece come, al culmine della crisi economica greca, l’allora giornalista di Fox Guilfoyle avesse affermato che “i greci […] erano «parassiti» che dovevano essere puniti” (leggi).
L’iter di conferma ed insediamento ha richiesto quasi un anno, cosicché solo il 4 novembre scorso Kimberly Guilfoyle ha presentato le proprie credenziali al Presidente greco Konstantinos Tassoulas (leggi sul sito dell’Ambasciata USA).
Non c’è voluto molto tuttavia prima che la neo Ambasciatrice suscitasse clamore nella capitale greca, intervenendo duramente sul tema del controllo cinese del porto del Pireo. In un’intervista riportata da Kathimerini ha detto: “Penso che sia molto importante… avere qui infrastrutture americane per […] magari aumentare la capacità di altri porti e aree, così da controbilanciare l’influenza cinese sul porto del Pireo”, ventilando poi l’ipotesi che “il Pireo possa essere messo in vendita” (leggi).

Immediata è stata la reazione dell’ambasciata cinese, che ha bollato tali parole “come un attacco infondato alla cooperazione economica tra Cina e Grecia e come un’ingerenza negli affari interni del paese. Pechino ha ricordato che Cosco è subentrata nel 2009, nel pieno della crisi del debito greco, come unico investitore disposto a intervenire, trasformando successivamente il Pireo in uno dei porti container più dinamici del Mediterraneo”, secondo quanto riferito da ShipMagleggi.
Molti segnali suggeriscono che questo scontro non possa essere derubricato a scaramuccia tra diplomatici. Una prima analisi di Euractiv non esita a chiedersi se “i porti greci [stiano] diventando il primo fronte della nuova guerra fredda USA-Cina” – leggi. Aiuta ad apprezzare la portata strategica della presenza cinese in Grecia un articolo di China Files del 2019 (leggi).

Parole chiave: USA; Grecia; Pireo; Cina
 
Da un lato la svolta imperialista della Russia – concretizzatasi dal 2014 con gli attacchi all’Ucraina e, ancor prima, con la destabilizzazione del Caucaso – e, dall’altro, l’avvio del secondo mandato presidenziale di Donald Trump, hanno imposto all’UE una presa di coscienza elusa per decenni.
È stato come se, fino a quel momento, l’Unione non avesse pienamente percepito la propria cruciale dipendenza energetica da Mosca e avesse date per acquisite una volta per tutte le garanzie offerte dall’alleanza con gli Stati Uniti – leggi un’attenta analisi proposta dalla London School of Economics.

Se quest’ultimo aspetto richiede e richiederà una profonda riflessione a tutte le cancellerie del vecchio continente e in primis alle Istituzioni di Bruxelles (vale la pena segnalare comunque che una tale riflessione era già stata avviata quattro anni fa in seno al Palamento europeo – leggi sul sito del Gruppo S&D), il problema dell’iper-dipendenza dai prodotti energetici russi dovrebbe aver insegnato che la diversificazione dei fornitori è fondamentale per la sicurezza degli approvvigionamenti (la teoria economica ha ampiamente elaborato il concetto – leggi ad esempio sul sito Ivalua.com).

La sfida è già presente oggi con riguardo al mercato delle terre rare e delle altre materie prime critiche sul quale la Cina agisce con la consapevolezza della propria posizione di forza. È su quel mercato che si gioca la partita capace di condizionare sia la produzione tecnologica, sia la possibilità di attuare la transizione energetica. Inquadra la situazione in modo chiaro e documentato un articolo dell’Istituto per la Competitività (I-Com), segnalando come “negli ultimi mesi un susseguirsi di mosse cinesi – dal rafforzamento dei controlli all’esportazione fino alla loro sospensione temporanea – ha […] evidenziato il controllo quasi monopolistico che Pechino esercita sulle value chains”. Tale concetto è illustrato con forza dai grafici che corredano l’articolo – leggi.

Risalta in questo contesto la recente visita a Pechino del Ministro delle finanze e vicepremier tedesco Lars Klingbeil, recatosi in Cina per sollecitare un “accesso affidabile” alle materie prime critiche. Secondo il resoconto di Bloomberg, “prima di partire per l’Asia, Klingbeil ha dichiarato che l’agenda del suo viaggio di quattro giorni era stata coordinata con il cancelliere Friedrich Merz e con l’Unione europea” (leggi).
La precisazione è importante in quanto la presenza nella delegazione di Berlino del presidente della Bundesbank Joachim Nagel e del capo dell’autorità tedesca di vigilanza finanziaria Mark Branson avrebbe potuto caratterizzare la visita come un evento bilaterale.
 
Parole chiave: Materie prime critiche; Unione europea; Cina; Dipendenza