News

Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi -16/10

La decisione dell’UE di concedere lo status di paesi candidati all’adesione ad Ucraina e Moldova nel pieno dell’offensiva russa è apparsa a molti un passo affrettato e persino sconsiderato. Pochi commentatori si sono presi la briga di spiegare che essere paese candidato non vuole affatto dire che si sta per diventare uno Stato membro dell’Unione, ma semplicemente che ci si prepara, con la supervisione di Bruxelles, ad una lunghissima stagione di riforme (spesso dolorose) con l’obiettivo di rendere sostenibile l’ingresso in un consorzio di paesi che funziona secondo regole precise e condivise. Dichiarare Ucraina e Moldova paesi candidati è stato e resta un segnale eminentemente politico. Quanto complesso e tecnico sia invece il processo di preparazione all’adesione è dimostrato dal cosiddetto “pacchetto allargamento” appena pubblicato dalla Commissione con riguardo ai paesi dei Balcani occidentali e alla Turchia. Il “pacchetto” comprende, oltre ad un’analisi globale, dettagliate relazioni per paese nelle quali si evidenzia lo stato di avanzamento del processo riformatore. Nel ricordare ai lettori di questa rassegna stampa che Dialoghi europei sta organizzando una serie di conferenze dedicate proprio ai preparativi per l’adesione dei nostri vicini balcanici, si segnala che l’intero “pacchetto allargamento” può essere scaricato (per il momento solo in inglese) dal sito della Commissione: (qui).
 

 

Sebbene, come suggerito qui sopra, il processo di pre-adesione segua un percorso di riforme tecnico-istituzionali, le considerazioni politiche non riguardano solo la concessione o meno dello status di candidato. Lo dimostra con tutta evidenza l’importanza che ha assunto il contenzioso tra Serbia e Kosovo, che condiziona inevitabilmente qualsiasi giudizio sui progressi di Belgrado nell’adeguare la propria legislazione al corpus normativo dell’UE. Non solo, un’analisi spassionata della situazione dell’intera regione dei Balcani occidentali consentirebbe probabilmente di evidenziare come la mancata soluzione del problema serbo-kosovaro sia la vera pietra d’inciampo dell’intero processo di avvicinamento all’UE di tutti i sei paesi interessati. Il Presidente francese Macron e il Cancelliere tedesco Scholz hanno ora preso un’iniziativa comune per cercare di superare le divisioni. Il testo della proposta non è stato reso pubblico, ma alcune indicazioni ovviamente circolano. Ne ha scritto un articolo apparso sul sito dell’Avantileggi.
 

 

La complessità della nostra legge elettorale ha permesso alla Corte di Cassazione di ufficializzare l’elenco completo di deputati e senatori della XIX legislatura solo due settimane dopo il voto. Gli italiani possono tuttavia consolarsi guardando alle disposizioni in materia di elezioni della Bosnia Erzegovina, dove al comune cittadino è praticamente preclusa la possibilità di comprendere il percorso che porta alla nomina dei propri rappresentanti a tutti i livelli dello Stato. La Bosnia Erzegovina è andata alle urne il 2 ottobre, ed ancora planano seri dubbi sulla regolarità del voto, in particolare nella Republika Srpska. L’Osservatorio Balcani-Caucaso ha ampiamente riferito in merito (leggi). Quasi più importante delle elezioni stesse è stato però l’intervento estemporaneo dell’Alto rappresentante Christian Schmidt, che a computo dei voti in corso ha cambiato la legge elettorale e imposto modifiche costituzionali a una delle due entità. La gravità di una mossa autonoma da parte dell’Alto rappresentante, garante degli accordi di Dayton ma pur sempre “imposto” dall’esterno, rischia di complicare ulteriormente la convivenza in un paese tanto diviso. Ne scrive il sito dell’ISPI (Istituto per gli Studi di Politica Internazionale) (leggi).

 

È stato in occasione del XX congresso del partito comunista dell’Unione sovietica (1956) che Nikita Chruščëv presentò il suo “rapporto segreto” sulle conseguenze del culto della personalità, avviando di fatto la destalinizzazione. Porta il numero venti anche il Congresso del partito comunista cinese (PCC) che sta per aprirsi a Pechino. Sebbene non ci siano alle viste “rapporti segreti”, sarebbe miope sminuire l’importanza dell’evento, che dovrebbe riconfermare il mandato (terzo) di Xi Jinping quale Segretario generale del partito e Presidente della Repubblica. Eppure l’Europa, con una guerra in casa, sembra guardare un po’ distrattamente all’assise di Pechino, come se la globalizzazione fosse davvero finita e la Cina fosse nuovamente lontana. Molti ritengono che l’iniziativa della Via della seta abbia perso vigore, e poco o nulla di dice della nuova Global Development Initiative, lanciata da Xi Jinping con l’ambizione di porre la Cina alla guida dei paesi in via di sviluppo. La portata di questo congresso del PCC è illustrata sul sito de L’Indroleggi. Per chi volesse approfondire il merito della Global Development Initiative, si suggerisce l’articolo pubblicato nello scorso agosto dal centro studi americano Atlantic Council (leggi).

 

Quando, nel maggio del 2021, la Svizzera informò la Commissione europea che non avrebbe firmato l’Accordo istituzionale negoziato tra le parti (un comunicato stampa del Consiglio federale elvetico argomentò le ragioni di una decisione inattesa: leggi), Capo del Dipartimento federale degli affari esteri era, fin dal 2017, il ticinese Ignazio Cassis. In questo 2022 lo stesso Cassis, oltre a mantenere tale incarico, ricopre anche il ruolo di Presidente della Confederazione elvetica. E proprio poco dopo aver assunto la presidenza dichiarò che non ci sarebbe stato alcun “accordo quadro 2.0” con l’UE. Ora Cassis ha partecipato alla prima riunione della Comunità politica europea tenutasi a Praga (dove ha coordinato i lavori di una delle due tavole rotonde tematiche) e sarà interessante osservare nel prossimo futuro se la Svizzera cercherà di incanalare le relazioni con l’UE nell’ambito di questo nuovo organismo o se seguirà l’invito congiunto di parlamentari svizzeri ed europei che hanno chiesto un rilancio dei negoziati per un nuovo accordo bilaterale. (Ne ha parlato il sito della televisione svizzera italianaleggi.)

 

Nelle innumerevoli riunioni che hanno portato all’adozione del Trattato di Lisbona, molto si discusse dell’opportunità di integrarvi la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Il Regno Unito, assieme a qualche altro Stato membro, si impegnò contro tale ipotesi, e – come spesso avveniva – la spuntò. Nondimeno, l’articolo 6 del Trattato sull’Unione Europea conferisce alla Carta lo stesso valore giuridico del Trattato stesso. Oggi, a distanza di oltre un decennio dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona (2019), le dispute tra Istituzioni europee ed alcune capitali in merito all’applicazione dei valori sottesi dalla Carta si stanno esacerbando. Ma a ben vedere sono i diritti e le libertà fondamentali in genere ad essere contestati come non succedeva da molto tempo, come spiega l’ex giudice della Corte europea dei diritti dell'uomo Vladimiro Zagrebelsky sul sito del CESPIleggi.