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TORNIAMO A PENSARE ALL'INDUSTRIA

Per gentile concessione de “Il Piccolo”

 

La crisi della Wärtsilä si aggiunge in modo pesante e drammatico al già grave impoverimento delle attività industriali nella nostra provincia. Un percorso che parte da lontano, se pensiamo che negli anni '60 l’incidenza degli occupati nel settore industriale rappresentava il 45% del totale. Certo, c'è stato il robusto ridimensionamento delle Partecipazioni statali, fortemente contrastato dalle lotte dei lavoratori. Ma anche crisi come quella della Vetrobel, della Calza Bloch, dell’Aquila (e tante altre) hanno garantito una ricollocazione a gran parte di lavoratrici e lavoratori. E la stessa riorganizzazione della cantieristica era stata mitigata dall’assegnazione a Trieste della Direzione generale e delle attività di progettazione, per l’intero gruppo Fincantieri. Ma come non ricordare tutti quelli che ci spiegavano che la cantieristica era oramai un’industria obsoleta, al pari della siderurgia? Salvo poi, oggi, esaltare il ruolo di leadership della Fincantieri o prendere atto dell’importanza strategica della siderurgia per il nostro Paese.

In questi ultimi anni assistiamo a ulteriori chiusure di attività manifatturiere e di interi comparti, basti citare la filiera alimentare o la chimica. A contrastare questi processi non sono state contrapposte politiche di sviluppo nel settore produttivo, giunto a pesare solo l’8% del Pil in provincia. Ha prevalso invece in questi anni di governo del centro destra un'idea miope e sbagliata di sviluppo, tutta basato su commercio e turismo, e sulla capacità autonoma del porto di alimentare traffici e logistica.

È mancata una visione del futuro, di crescita e di prospettiva. Ma davvero è credibile che si possa invertire il saldo demografico negativo, aprendo centri commerciali a gogo? O che l’aumentato numero delle toccate delle navi di crociera garantisca un salto di qualità occupazionale? Ma dov’è questo momento magico di Trieste?

Le opportunità create dalla sdemanializzazione del Porto Vecchio sono ora ridotte a meri trasferimenti: il polo museale, la sede degli uffici della Regione, qualche campo di padel... A eccezione del nuovo Centro Congressi, non sono in vista nuovi insediamenti produttivi di nuova generazione, né nella ricerca o nella promozione di start up, né nel terziario avanzato. Al di fuori dell'Urban center, peraltro voluto e previsto dalla giunta Cosolini, ci sono solo i progetti della cabinovia.

Allora la domanda da fare è quali siano l'idea e le proposte di sviluppo per la città, per fermare l'esodo di migliaia di giovani talenti costretti a lasciare Trieste per andare all'estero, per invertire il declino demografico. Un tempo si narrava che qui non si trovava manodopera: le oltre 3000 domande di assunzione alla Bat dimostrano il contrario. La mancanza di alternative occupazionali derivanti dall'inaccettabile piano della Wärtsilä è drammatica.

Anche per questo, le Istituzioni sono chiamate non solo a esprimere la solidarietà - che non è mancata – ma a contrastare il piano dell’azienda finlandese, utilizzando tutte le misure disponibili. Già in passato, il gruppo nordico aveva realizzato importanti riorganizzazioni con conseguente riduzione del personale, chiudendo anche stabilimenti in Finlandia e concentrando le attività di ricerca a Bagnoli. Ma l'insieme della ristrutturazione aveva comunque garantito in quel Paese la ricollocazione degli esuberi. Una prospettiva da noi assai difficile, se teniamo in considerazione le prospettive incerte della Flex o della Cartiera Burgo, tuttora prive di un piano industriale.

Ma il primo nodo è quello di garantire la continuazione delle attività di produzione e ricerca della Wärtsilä in zona industriale. Più in generale, Trieste ha bisogno di una classe politica che creda nell'importanza dell'industria come fattore imprescindibile per il futuro della città, in un ruolo pubblico decisivo in questi ultimi anni assente. La centralizzazione a livello regionale delle politiche industriali si è finora limitata a gestire le poche domande pervenute, senza una vera politica di promozione, oltretutto lasciando l'ex Ezit senza risorse e poteri.

Anche la Friulia ha deciso di dismettere la presenza al Bic, che per fortuna ha trovato un coraggioso imprenditore privato, impegnato a favorire nuovi insediamenti e nuova occupazione. Segni evidenti di un indirizzo politico sbagliato e negativo.

Per tutto questo, le organizzazioni sindacali sono impegnate a difendere un patrimonio rilevante dell’economia triestina, e il destino di oltre mille lavoratrici e lavoratori, con la consapevolezza che è importante unire tutta la città e le istituzioni a fianco dei lavoratori della Wärtsilä, ma che non si può prescindere dal rivendicare un vero e proprio salto di qualità a Regione e Comune nella definizione di nuove politiche di sviluppo che favoriscano nuova occupazione nell'industria, anche collegata con i settori innovativi e della ricerca.

Roberto Treu

 

Foto: USB