News

Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 11/05/25

Mentre nel Nord del mondo l’attenzione mediatica era rivolta al blackout nella penisola iberica (il sito euroborsa.it ha titolato “Spagna e Portogallo travolti dal peggior blackout della loro storia” – leggi), il 28 e 29 aprile scorsi si sono riuniti a Rio de Janeiro i Ministri degli esteri dei BRICS, di cui fanno ormai parte dieci paesi: ai cinque originari (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) si sono aggiunti a pieno titolo Egitto, Emirati arabi uniti, Etiopia, Indonesia ed Iran.

Nella virtuale indifferenza del Nord, esponenti di primo piano del Sud globale parlavano di riforma della governance mondiale e di rafforzamento del multilateralismo: leggi sul sito BRICS Brazil. Occorre riconoscere che questo gruppo di paesi, che rappresenta oltre il 40% della popolazione e almeno il 30% del PIL mondiali (dati riferiti da Medium.comleggi), non ha (ancora?) sviluppato una posizione ideologica comune e manifesta pure divisioni interne: la riunione di Rio ad esempio si è chiusa con una “dichiarazione della presidenza” invece che con un “comunicato congiunto” per divergenze sul posizionamento internazionale (leggi quanto scritto dalla Reuters).

Ma va seguito con attenzione un altro aspetto estremamente importante del lavoro portato avanti nel perimetro dei BRICS sotto la spinta decisiva della Cina.
Proprio mentre i Ministri degli esteri erano riuniti in Brasile, il 29 aprile Xi Jinping ha visitato la sede di Shangai della Nuova banca di sviluppo (NDB), “creata allo scopo di mobilitare risorse per infrastrutture e progetti di sviluppo sostenibile nei mercati emergenti e nei paesi in via di sviluppo” (precisato sul sito della banca stessa: leggi).
 
Parole chiave: BRICS, Nuova Banca di Sviluppo
Nel marzo 2019 i servizi della Commissione e dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza pubblicarono una “comunicazione” intitolata UE-Cina: una prospettiva strategica (leggi su EURLex).

Il documento, da allora spesso citato, identifica la Cina come “partner di cooperazione”, “concorrente economico” e “rivale sistemico” (una breve analisi è stata proposta dal Centro Studi sulla Cina Contemporanealeggi).
Sulla base di queste premesse esplicite, poco più di due anni dopo (dicembre 2021) la Commissione ha lanciato il Global Gateway, una strategia (illustrata sul sito ufficialeleggi) volta a mobilitare investimenti per progetti da realizzare con paesi partner in tutto il mondo.

Fin da subito è apparso chiaro che con questa iniziativa l’UE era intenzionata a muoversi in modo proattivo nei confronti del “rivale strategico”.
Significativamente, EUNews titolò “Il Global Gateway da 300 miliardi di euro è la risposta UE alla Belt and Road Initiative della Cina e alle sfide globali” (leggi) e l’Osservatorio Globalizzazione scrisse di “sfida dell’UE alla Cina” (leggi).

In un mondo assai diverso da quello del 2021, il Global Gateway continua a perseguire il miglioramento della connettività globale con investimenti sostenibili: un esempio assai interessante è quello del progetto dell’Africa Atlantic pipeline, “un’infrastruttura energetica strategica che mira a trasportare gas naturale dalla Nigeria al Marocco” (come scrive, sottolineandone anche le contraddizioni, formiche.netleggi).
L’articolo ricorda anche che “il Global gateway si scontra con non pochi ostacoli. Il primo riguarda la competizione con la Cina, che con la Bri ha già stabilito una presenza significativa nel continente africano”.

Ma il ciclone trumpiano potrebbe far riconsiderare anche tale competizione. Un’attenta analisi pubblicata sul Caffè geopolitico ipotizza che “l’UE possa davvero tornare a considerare la Cina come un partner strategico” (leggi).
 
Parole chiave: UE-Cina; Global Gateway
Nel riferire i risultati del primo turno delle elezioni presidenziali in Romania, vinte da George Simion, leader del partito ultranazionalista Alleanza per l’Unione dei Rumeni, il Luxemburg Times ha sottolineato che il voto ha inflitto “un colpo all’establishment al potere […] in un clima di indignazione per la corruzione persistente e la povertà” (leggi).

Il problema della corruzione è di certo comune a molti paesi ed è un fenomeno in crescita. Secondo Transparency International anche in Europa occidentale “Molti leader servono gli interessi delle imprese piuttosto che il bene comune e le leggi sono spesso applicate in modo inefficace” (leggi).
D’altra parte va detto che in molti casi la percezione della corruzione varia da paese a paese e che “affidarsi alle percezioni potrebbe essere fuorviante” come sostiene l’Eurispes.it (leggi), ma non si può negare che proprio quanto i cittadini percepiscono sia determinante nelle loro scelte di voto. Ciò vale anche a contrario, quando si considera cioè cosa i cittadini non percepiscono come corruzione.

Una sintetica analisi dell’Organized Crime and Corruption Reporting Project ha ad esempio evidenziato che “i serbi ritengono che piccoli doni ai medici non siano corruzione” (leggi).
Nella vicina Macedonia del Nord i sentimenti della popolazione non saranno probabilmente molto diversi, ma l’attenzione per le accuse di corruzione negli organi dello Stato è sempre molto alta.
È quanto sta succedendo ora con la denuncia nei confronti del capo della Commissione anticorruzione Tatjana Dimitrovska, accusata di aver avuto contatti con un imputato in un caso di corruzione di grande rilievo: ne ha scritto BalkanInsight – leggi.
 
Parole chiave: Balcani, Corruzione
Se molte uscite estemporanee (ma anche dichiarazioni ufficiali) del Presidente statunitense sembrano ispirate da una vena di follia oratoria, occorre diffidare dalle apparenze e ricordare che spesso, se non sempre, c’è del metodo nella follia.
I ripetuti, insistenti riferimenti (leggi su Politico.com) alla “necessità” che gli Stati Uniti si impossessino della Groenlandia e assorbano il Canada, esplicitano con tutta probabilità una strategia di controllo diretto di quella porzione di oceano Artico che si estende dallo stretto di Bering all’oceano Atlantico attraverso il leggendario passaggio a nord-ovest: è questa la tesi sostenuta anche in un articolo di Linkiestaleggi.

Ovviamente, l’accresciuta navigabilità in termini di giorni e stazza conseguente al riscaldamento climatico suscita anche l’attenzione della Russia (che ha oltre 24000 km di costa artica) e della Cina, le cui navi raggiungerebbero il Nordeuropa molto più rapidamente sfruttando la rotta a nord della Siberia. Il Geopolitica Monitor propone (leggi) una chiara illustrazione degli interessi strategici in gioco per ciascuna delle potenze coinvolte.

Più attento ai risvolti geopolitici di quella che sembra delinearsi come una “questione artica” è un articolo di The Conversation (leggi), nel quale si menziona anche la peculiare situazione delle isole Svalbard e la preoccupazione del Cremlino “riguardo alla presenza della Norvegia – e della Nato – in una posizione strategica al crocevia tra i mari di Groenlandia, di Barents e di Norvegia”.
 
Parole chiave: Artico, Riscaldamento climatico, Competizione
Corredato dall’ormai famosa foto che ritrae Donald Trump, Volodymyr Zelensky, Keir Starmer ed Emmanuel Macron in San Pietro in occasione del funerale di papa Francesco, l’Espresso ha pubblicato un articolo sottotitolato “La minaccia russa e il voltafaccia di Trump spingono il Vecchio Continente al riarmo. A guidarlo Francia, Germania e Polonia” (leggi).

Non è solo in materia di riarmo tuttavia che i tre paesi del cosiddetto “Triangolo di Weimar” si stanno ritagliando un ruolo di guida o almeno di apripista a livello di iniziative europee, in una fase in cui appare fratturata “la compattezza dei 27, già incrinata dall’avanzata nelle urne nazionali delle falangi sovranpopuliste capitanate dall’ungherese Viktor Orbán” (ibidem).
Il fatto che ha indiscutibilmente permesso il rilancio del Triangolo di Weimar è stato il ritorno alla guida dell’esecutivo polacco del moderato Donald Tusk, dopo otto anni di governo dei nazionalisti reazionari del PiS (l’importanza di questa svolta era stata ben analizzata, prima ancora dell’insediamento di Tusk, da Politico.euleggi).

Finora, l’azione del Gabinetto Tusk è stata sistematicamente frenata dal Presidente Andrzej Duda, fedelissimo del PiS (Diritto e Giustizia), tra le cui prerogative figura il diritto di veto sulle leggi varate dal Parlamento. Il 18 maggio prossimo la situazione potrebbe cambiare in quanto i polacchi si recheranno alle urne per eleggere il successore di Duda.
Come indica un articolo apparso sul sito della Fondazione Robert Schuman (leggi), favorito dai sondaggi è il sindaco di Varsavia Rafał Kazimierz Trzaskowski, esponente della Piattaforma civica di Tusk.

Ma l’esito sarà in ogni caso determinante per la Polonia. Interessanti i pareri di due politologi citati nello stesso articolo: secondo l’uno “O Diritto e Giustizia si ritroverà sulla strada che lo riporterà al potere, oppure sarà la fine di Diritto e Giustizia così come lo conosciamo”, mentre secondo l’altro “Ciò che è in gioco è il futuro del governo di Donald Tusk e per quanto tempo potrà continuare a guidare la Polonia”.
 
Parole chiave: Polonia, Elezioni, Triangolo di Weimar