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Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 18/05/25

Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali
a cura di Paolo Gozzi
 
Dopo le elezioni europee del 2024, contestualmente al rinnovo dell’incarico di Presidente della Commissione ad Ursula von der Leyen, António Costa, ex Primo ministro portoghese, è stato nominato Presidente del Consiglio europeo (ruolo e competenze sono descritti sul sito del Consiglioleggi), succedendo al belga Charles Michel.
Quest’ultimo non aveva particolarmente brillato durante il suo mandato, venendo soprattutto ricordato per la clamorosa gaffe durante un incontro con Erdoğan, quando non lasciò il posto a sedere a von der Leyen (dell’episodio, ribattezzato sofa-gate, scrisse anche l’agenzia AGIleggi).

Pur mantenendo un profilo discreto, António Costa ha invece già manifestato doti politiche e capacità di mediazione. Al vertice UE del 20 marzo ad esempio è stato su suo impulso che i capi di Stato e di Governo hanno adottato le conclusioni sull’Ucraina a ventisei, bypassando l’opposizione di Viktor Orbán (ne ha scritto Linkiesta – leggi – citando proprio Costa: «Non possiamo rimanere bloccati perché l’Ungheria la pensa diversamente»).

Un tale approccio suscita qualche perplessità in quanto di norma le “decisioni in materia di politica estera e di sicurezza richiedono il consenso di tutti i paesi dell’UE” (come ricorda la scheda specifica su Europa.euleggi), ma il dibattito sul modo di evitare l’immobilismo causato dall’esigenza dell’unanimità è ormai lanciato: ne ha scritto ad esempio l’ISPI (leggi) e in modo assai organico il Centro studi Bruegel (leggi).

Nel frattempo la prassi anticipa la teoria con il fiorire di “coalizioni dei volenterosi”: dopo quella lanciata da Keir Starmer per sostenere l’Ucraina (leggi quanto scrisse Euronews in marzo e le più recenti considerazioni di Geopolitica.info), ora è la volta del Belgio di proporre una “«coalizione dei volenterosi» per mantenere congelati i beni russi”, come riferito da Euractivleggi.
 
Parole Chiave: Consiglio UE, Unanimità, Volenterosi
Il tema dell’allargamento dell’Unione europea (illustrato sul sito della Commissioneleggi), promesso da decenni ai Balcani occidentali e più recentemente anche ad Ucraina e Moldova, sembra aggrovigliarsi di giorno in giorno. “Bisogna accelerare il processo di integrazione europea dei Balcani occidentali. Non è remoto il rischio che un eventuale fallimento, anche alla luce dell’aggressione russa all’Ucraina, non ci consegni un’Europa divisa e attratta dalla sfera di influenza delle autocrazie dei Balcani occidentali”: così si è espresso a gennaio il nuovo segretario generale dell’Iniziativa Centro Europea, Franco Dal Mas (riportato dall’ANSAleggi).

È indubbio che con il tempo il processo, inizialmente improntato quasi esclusivamente all’adeguamento normativo rispetto alla legislazione europea (il cosiddetto acquis, descritto su EURLexleggi), si è trasformato in una complessa operazione geostrategica al centro di svariati interessi internazionali. La analizza un articolo sul sito del Carnegie Endowment for International Peaceleggi.

Il tema è affrontato diffusamente, prendendo in esame il caso della Serbia, anche da una ricerca scaricabile dal sito SSNR dell’editore Elsevier: leggi.) La dimensione geostrategica dell’allargamento è altresì al centro di un articolo di Geopolitica.info nel quale si sottolinea come “La prima visita dell’Alto Rappresentante dell’UE per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza Kaja Kallas nei Balcani occidentali […] rappresenta una scelta simbolica e trasmette un messaggio chiaro: i Balcani occidentali vanno coinvolti nell’agenda di difesa e sicurezza in evoluzione” (leggi).
 
Parole chiave: Allargamento; Politica di difesa e sicurezza
Nonostante divieti e misure restrittive adottati sin dall’attacco all’Ucraina del 2022 (e ancor prima dall’occupazione della Crimea nel 2014), “il gas russo ha rappresentato il 9% del consumo dell’UE da gennaio ad aprile 2025. [La Russia] rimane tra i primi tre fornitori complessivi di gas insieme a Norvegia e Algeria”: è quanto si può leggere in un documentato articolo di ENR-European Newsroom – leggi).

Per cercare di ovviare a questa situazione, ad inizio maggio la Commissione (leggi il comunicato stampa) ha fissato una “tabella di marcia” per porre fine alla dipendenza dall’energia russa.
Nell’occasione, il Commissario per l’Energia e l’edilizia abitativa Dan Jørgensen ha ricordato che l’UE “aveva speso di più per acquistare combustibili fossili dalla Russia che per gli aiuti all’Ucraina dal 2022” (come riportato dal citato articolo dell’ENR).

Nonostante il tono assertivo del comunicato della Commissione, l’attuazione del piano non appare un esercizio scontato. Ne analizza alcune criticità InsideOver, che parla di “percorso ad ostacoli” e che segnala come, in concomitanza con l’intensificarsi dei tentativi di porre fine al conflitto, “eminenze grigie statunitensi e russe starebbero lavorando dietro le quinte per ripristinare le forniture di gas dalla Russia all’Europa” in quanto sarebbe “necessario fare delle aperture di un certo rilievo affinché i russi abbiano interesse a terminare le ostilità”: leggi.

In questo contesto, va segnalato come siano ormai in corso articolate iniziative in vista della ridefinizione dei flussi di prodotti energetici, con il tentativo di paesi quali Grecia, Turchia o Cipro (ma anche Israele ed Egitto) di acquisire posizioni strategiche per l’approvvigionamento dell’Europa continentale. Alle ambizioni di Atene in particolare è dedicata una ricerca dello IARIleggi.
 
Parole chiave: Russi, Prodotti energetici, Grecia
È quasi naturale che alla crescita di forze nazionaliste ed autocratiche corrisponda un indebolimento delle istituzioni internazionali o almeno un appannamento del loro prestigio. Proprio in questi giorni si è diffusa la notizia che “Danimarca e Italia chiedono ad altri Paesi di sostenere una lettera in cui si critica la Corte europea dei diritti dell’uomo per essere andata «troppo oltre» nell’interpretazione della legge, in particolare in materia di immigrazione” (riferito da Euractiv.itleggi).

Sfiorano dal canto loro la volgarità le critiche mosse dagli ambenti arciconservatori alla Corte penale internazionale (CPI), definita dalla testata repubblicana Washington Examiner “un gruppo corrotto di antisemiti che potrebbe usare false accuse di crimini di guerra contro Israele” (leggi). Ciò non deve ovviamente far dimenticare che l’operato della CPI non si è sempre distinto per coerenza e fermezza: difficile negare le critiche mosse soprattutto da paesi del cosiddetto “terzo mondo” che si sono sentiti discriminati dall’azione e finanche dallo statuto della Corte.

Come segnala un articolo sul sito ugandese Plusnews “lo Statuto di Roma, che ha istituito la Corte Penale Internazionale, ha volutamente escluso crimini come il dominio coloniale – una concessione fatta alle potenze occidentali, che si opposero durante la fase di redazione per evitare di essere coinvolte” (leggi).

Analogamente, dal Bangladesh vengono circostanziate critiche sia alla Corte, sia a paesi europei che aderiscono alla stessa (leggi su The Business Standard). Non sembrano quindi esserci le giuste premesse ideali per l’iniziativa di creare “una nuova corte internazionale per perseguire il «crimine di aggressione» commesso dalla Russia contro l’Ucraina” di cui ha scritto Justiceinfo.netleggi.
 
Parole chiave: Corte europea dei diritti dell’uomo, Corte penale internazionale
Ormai sono pochi gli analisti che ritengono logiche e programmate le decisioni dell’attuale amministrazione statunitense in materia di dazi e commercio. Significativo un recente titolo del Guardian: “Gli improvvisi cambi di rotta rendono l’erratica politica commerciale di Trump chiara come il fango” (leggi).

Il problema principale, al di là del livello dei balzelli applicati agli scambi, è l’impossibilità per gli operatori economici di avere un minimo di certezze per il futuro. Come osserva un’economista sino-americana intervistata da ABC News, “Non è così che si conducono normalmente gli affari. In genere si preferiscono stabilità e prevedibilità [… ] il clima di incertezza sta spaventando tutti” (leggi).

Una delle evidenze macroscopiche del timore che le politiche di Donald Trump stanno diffondendo sui mercati è la crescente disaffezione per il dollaro: dall’inizio dell’anno la moneta statunitense si è deprezzata del 10% rispetto all’euro. Deutsche Welle ha così commentato: “Rilevanti oscillazioni delle valute, dell’ordine del 10% in pochi mesi, sono relativamente rare e l’euro viene sempre più visto come un’alternativa al dollaro in questi tempi di turbolenze geopolitiche” (leggi).

Il positivo andamento della valuta europea non sembra tuttavia convincere tutti. In Bulgaria ad esempio i pareri sono divisi circa la bontà della decisione di aderire all’eurozona dal 1° gennaio 2026. Il Presidente Ruman Radev ha inopinatamente chiesto al Parlamento di indire un referendum sulla questione, ma la richiesta è stata giudicata inammissibile.
Il Governo è impegnato a condurre a buon fine il processo di entrata nell’eurozona, ed è sostenuto anche da una parte dell’opposizione (leggi quanto ha scritto il Central European Times). Resta il fatto che, secondo quanto riportato da Euractiv.it, il 60% della popolazione è scettico in merito all’adozione della moneta unica europea (leggi).
 
Parole chiave: Commercio internazionale, Dazi, Euro