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Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 24/08/25

 
Se il governo cinese ha stanziato cifre enormi per la Belt & Road Initiative o Via della seta (oltre 120 miliardi di dollari solo nel 2024, come risulta da uno studio del Green Finance & Development Centerleggi), investimenti comparabili saranno necessari se verrà effettivamente avviato il progetto della cosiddetta Via del cotone, ormai al centro dell’attenzione diplomatica e mediatica.

Il corridoio economico IndiaMedio OrienteEuropa (IMEC), denominazione formale della Via del cotone, si presenta, dal punto di vista infrastrutturale, ancora più complesso della Via della seta: dovranno essere rimodernati porti, costruite o potenziate centinaia di chilometri di linee ferroviarie e realizzate piattaforme logistiche imponenti: illustra la complessità dell’iniziativa un’analisi pubblicata dal sito indiano di politica estera StratNews Globalleggi.

L’articolo sottolinea anche un punto che, soprattutto sulla stampa europea, viene per il momento tenuto sottotraccia: la scelta del terminale continentale del Corridoio. Scrive StratNews Global che “il coinvolgimento europeo resta frammentato. Francia, Italia e Grecia stanno promuovendo porti rivali — Marsiglia, Trieste e il Pireo — come principali punti di approdo europei dell’IMEC. In assenza di un approccio unificato da parte dell’UE, l’integrazione del corridoio nei sistemi ferroviari e commerciali europei esistenti resta un obiettivo ancora lontano”.

A tale proposito, interessante confrontare quanto affermano le autorità italiane e quelle francesi. Secondo il Piccolo del 25 luglio scorso il sottosegretario Rixi “ha detto chiaramente che l’IMEC parte da Trieste perché Trieste è l’unico porto che può offrire uno sbocco in Europa” (leggi), mentre secondo l’Ambasciata di Parigi in India “IMEC è un corridoio multimodale di 6.400 chilometri da Mumbai a Marsiglia” (leggi).

Dialoghi europei dedicherà ampio spazio alla Via del cotone a partire dai primi eventi organizzati dopo la pausa estiva, le cui date saranno annunciate a breve.
 
Parole chiave: IMEC; Via del cotone; Trieste; Marsiglia
L’introduzione di sfere d’influenza ben definite, operata a Jalta nel febbraio 1945, delineò per ogni paese interessato un quadro preciso di “amici” e “nemici”, raggruppati secondo affinità ideologiche. Per alcuni aspetti, questa situazione permane ancor oggi (Giorgia Meloni nel febbraio scorso ha dichiarato ad esempio che “Ogni divisione dell’Occidente ci rende tutti più deboli e favorisce chi vorrebbe vedere il declino della nostra civiltà” – leggi sul sito del Governo), ma dall’elezione di Donald Trump l’amicizia anche tra paesi “affini” è ormai condizionata dagli interessi nazionali (il Center for Strategic and International Studies ha pubblicato una meritevole analisi poco prima dell’inizio del secondo mandato trumpiano: leggi).

In un tale contesto, le forze politiche d’impronta autoritaria e nazionalista hanno avuto ed hanno buon gioco a sostenere la necessità di allentare o eliminare i vincoli della democrazia liberale – fondamento della pacifica convivenza basata sui diritti dell’uomo, sullo stato di diritto e sull’integrazione economica – per meglio competere nelle nuove circostanze. Illustra le premesse di questa evoluzione un articolo de Il Mulinoleggi.

Quanto questo stato di cose incida sul drammatico indebolimento delle Istituzioni europee è ben rappresentato in un articolo di Questione giustizia, rivista online di Magistratura democraticaleggi.
 
Parole chiave: Sfere di influenza; Alleanze internazionali; Autoritarismo
Il 31 gennaio 2024, solo pochi mesi dopo il sadico, feroce attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, il londinese Royal United Services Institute (RUSI) – antico (1831) e rispettato think tank dedicato a difesa e sicurezza – ha pubblicato un articolo che già illustrava chiarissimamente come l’indiscriminata ritorsione israeliana a Gaza stesse causando un danno reputazionale di lunga durata ad Israele, ma anche ai suoi alleati occidentali (leggi).

Evidenziava l’articolo che, “mentre la violenza estrema di Hamas può essere descritta come non rappresentativa della popolazione palestinese, la violenza degli attori istituzionali israeliani ha un impatto più rilevante sulla reputazione complessiva di Israele”.
La brutalità sanguinaria con cui le forze di difesa di Tel Aviv (IDF) hanno condotto le operazioni nella striscia di Gaza ha offuscato persino uno degli aspetti forse più sorprendenti di quanto accaduto in Medioriente negli ultimi due anni, vale a dire l’assenza di fatto di una vera difesa della causa palestinese da parte del mondo arabo: ne ha scritto a fine 2024 il giornalista francese di origine ebraico-tunisine Pierre Haski in un articolo apparso in Italia su Internazionale (leggi).

Molto più dura è la presa di posizione pubblicata da Türkiye Today, piattaforma di informazione in lingua inglese vicina alle autorità di Ankara (leggi).
Un esempio molto interessante di come i paesi arabi non vadano al di là di alcune dichiarazioni di facciata è quello fornito da Algeria e Marocco. Algeri è da sempre un asserito sostenitore della causa palestinese e ancora a marzo il Presidente Abdelmadjid Tebboune ha dichiarato che “l’Algeria non rinuncerà alla Palestina” (come riferito dall’agenzia stampa ufficiale APS – leggi).

Allo stesso tempo però, sono state vietate nel paese le manifestazioni pro-palestinesi – manifestazioni che invece invadono le piazze del Marocco, che con Israele ha rapporti diplomatici sin dal 2020. Leggi la virulenta critica all’Algeria su The New Arab, testata giornalistica panaraba con sede a Londra. Per chi volesse approfondire la situazione algerina, si segnala una recente scheda proposta dall’ISPIleggi.
 
Parole chiave: Palestina; Mondo arabo; Algeria
Geograficamente lontano dai principali centri amministrativi dell’Unione europea, ma a soli 200 km dalle coste libanesi, Cipro è uno Stato membro strategicamente importante per l’UE. La sua storia e le vicende che hanno portato alla sua attuale realtà di isola divisa tra una parte grecofona ed una turcofona, rigidamente separate sul territorio da una “zona cuscinetto” sotto il controllo dell’ONU, sono riassunte dall’Enciclopedia Treccani.

Fin dalla fine degli anni 1990 la Repubblica di Cipro fu associata al gruppo di paesi con i quali la Commissione aveva avviato negoziati d’adesione, nella speranza che il processo potesse facilitare la riunificazione dell’isola (lo indicò a chiare lettere una Nota informativa prodotta dal Parlamento europeo nel 2000: leggi).

Il piano a tal fine messo a punto dall’ONU venne tuttavia accettato dalla comunità turca, ma respinto da quella greca, dopo che l’allora Presidente Tassos Papadopoulos, che aveva inizialmente detto di appoggiarlo, intervenne lanciando un appello – molto emotivo – per il rifiuto. Ripercorre la vicenda un articolo di CyprusScene.comleggi.
Da allora la situazione è rimasta cristallizzata.

Nel 2004 c’è stato l’ingresso nell’UE, ma il Protocollo 10 del Trattato di adesione ha specificato che “l’applicazione dell’acquis è sospesa nelle zone della Repubblica di Cipro sulle quali il Governo della Repubblica di Cipro non esercita un controllo effettivo” (leggi su EURLex).

Quanto lo statu quo pesi sul piano delle relazioni diplomatiche è dimostrato dal recente incidente che ha costretto alle dimissioni l’addetto commerciale del Regno Unito in Turchia dopo una visita, seppure privata, a Cipro nord: leggi quanto scritto dalla BBC.
 
Parole chiave: Cipro; Divisione dell’isola
La leale collaborazione tra organi dello Stato, anche se retti da forze di diverso orientamento politico, costituisce uno dei fondamenti della moderna democrazia liberale. La cita espressamente, ad esempio, l’articolo 120 della nostra Costituzione con riferimento ai rapporti tra lo Stato e gli enti locali (leggi sul sito del Senato).

Al massimo livello, quando il Presidente della Repubblica esercita la cosiddetta moral suasion, lo fa “nel rispetto e, soprattutto, con l’obiettivo di stimolare una leale collaborazione tra gli organi istituzionali” (leggi in un articolo della rivista Nomos, al punto 5).

Se nel caso italiano questa situazione appare consolidata e finora accettata (a volte obtorto collo, ma comunque in modo esplicito: leggi un articolo di Affari italiani) , non è così in altri paesi. In Polonia, la coabitazione tra il Primo ministro centrista Donald Tusk (in funzione dal dicembre 2023) e l’ex Presidente della Repubblica Andrzej Duda (espressione della destra) è stata complicata fin dall’inizio (leggi cosa scrisse EUNews). Ma ben più complesso si presenta ora il quadro, dopo l’insediamento del successore di Duda, il neo-eletto Presidente Karol Nawrocki.

Nell’articolo dell’ANSA (leggi) che riferisce in merito, si sottolinea che “parlando alle Camere in seduta congiunta a Varsavia, Nawrocki ha dichiarato che, con la sua elezione, è stato lanciato «un messaggio forte», vale a dire «che le cose non possono continuare ad essere governate in questo modo»”.

Un’analisi più articolata di Politico.eu mette anche in rilievo come dinanzi alle prese di posizione conflittuali del nuovo Presidente, Donald Tusk abbia rinunciato ai toni concilianti.
Ha scritto Politico: “Tutto sembra preludere ad un confronto tempestoso. Un recente rimpasto di governo ha portato al vertice figure fortemente contrarie al PiS [il partito di destra radicale che ha sostenuto Nawrocki - NdC], suggerendo come Tusk sia pronto allo scontro” (leggi).
 
Parole chiave: Leale collaborazione; Polonia, Scontro istituzionale