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Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 31/08/25

 

La scelta di Ursula von der Leyen di annunciare il 4 marzo 2025 il piano di riarmo europeo per mezzo di una “lettera” ai Capi di Stato e di Governo (testo disponibile su Europa.euleggi) è servita ad assorbire la prima salva di critiche ed obiezioni (alcune riassunte in un articolo dell’ANSAleggi) e a consentire alla Commissione di tenerne conto nella versione definitiva del “Libro bianco sulla difesa europea e il piano ReArm Europe/Preparati per il 2030”, presentata il 19 marzo (il testo è su EURLex – leggi – e il relativo comunicato stampa su Europa.euleggi). Da allora in poi non sono mancati i commenti all’iniziativa: dalla concisa ma puntuale nota dell’ISPI firmata da Antonio Missiroli, ex segretario generale aggiunto della NATO (leggi), alla più tecnica analisi dell’Institut Jacques Delors (leggi) e a molti altri. Un esame approfondito dei contenuti del Libro bianco è disponibile nei documenti preparatori del Senato in vista dell’audizione del Commissario europeo per la Difesa e lo Spazio, Andrius Kubilius, del 26 maggio 2025 (leggi). La pubblicazione del Libro bianco è giunta in un momento di grande incertezza nei rapporti tra le due sponde dell’Atlantico, ed è stata preceduta da un ampio dibattito sulla sicurezza in e dell’Europa, con molti richiami alla storia, incerta e sterile, dell’idea di difesa europea (interessanti, tra i molti, gli articoli dell’Osservatorio Germania Italia Europa – leggi – e del sito federalista Eurobull – leggi). Con schietto realismo, quest’ultimo ricorda che “una componente importante dei costi della «non-Europa» della difesa è generata da un mercato estremamente frammentato su base nazionale. […] Effettuando gli acquisti in ordine sparso, gli stati possono rivolgersi in via pressoché esclusiva alla propria industria nazionale, […] al di fuori delle regole di quello che, formalmente, dovrebbe essere un segmento del mercato comune europeo”. Esemplare al riguardo quanto sta accadendo in merito allo sviluppo dei nuovi jet da combattimento, di cui riferisce Euractivleggi.

Parole chiave: ReArm Europe; Difesa europea; Commesse militari

Ad inizio settembre i ministri degli esteri dei 27 Stati membri si riuniranno a Copenaghen per discutere di allargamento dell’UE (leggi). La riunione informale è organizzata nell’ambito del semestre danese di presidenza del Consiglio dell’Unione europea, iniziato il 1° luglio (cosa comporti ricoprire questo ruolo è descritto sul sito del Consiglioleggi). Come tutte le presidenze da molti anni a questa parte, anche quella danese ha incluso nel proprio programma un esplicito e forte riferimento all’allargamento dell’UE (leggi sul sito della Presidenza, in particolare nella sezione affari generali). Le parole usate sono decise (“L’ulteriore ampliamento dell’UE è una necessità geopolitica”) e lo scoglio forse più importante all’avanzamento dell’iniziativa è chiaramente individuato (“La Presidenza danese lavorerà […] con determinazione per […] preparare l’UE all’allargamento mediante riforme interne”). Ancora una volta tuttavia sembra mancare la concretezza di cui un progetto in stallo da oltre vent’anni avrebbe bisogno: sono soprattutto i cittadini, sia quelli dei paesi interessati, sia quelli degli Stati membri, ad essere disorientati, come ha dimostrato un’analisi dello European Union Institute for Security Studiesleggi. Nemmeno il lancio, nel 2023, del piano di crescita da 6 miliardi di euro per avvicinare i Balcani occidentali all’UE (leggi sul sito della Commissione) ha significativamente modificato il quadro complessivo, evidenziando come il problema sia eminentemente politico e legato alla determinazione dei paesi candidati nell’attuare le riforme necessarie. Suffragano questa ipotesi due articoli focalizzati sulla Serbia, dell’Associated Press (leggi) e, rispettivamente, de Le Grand Continent (leggi).

 
Parole chiave: Allargamento; Riforme; Serbia

Se è comprensibile che nei Balcani occidentali l’entusiasmo per l’adesione all’UE sia andato scemando col trascorrere degli anni, da quando tale adesione è stata promessa (durante il vertice di Salonicco del 2003 – leggi sul sito della Commissione), è altrettanto evidente che un sentimento più positivo (leggi sul sito dell’agenzia IPN) prevale in un paese come la Moldova, che ha ricevuto lo status di paese candidato solo nel 2022 (leggi sul sito del Consiglio). Ciò nonostante, va da sé che il percorso di Chişinău sarà lungo e assai complesso. Lo stesso Ministro degli Esteri moldavo Mihai Popşoi ha riconosciuto che lo screening, la fase di preparazione dei negoziati di adesione, finora è andato “abbastanza bene” (leggi su Euractiv), che in linguaggio diplomatico significa che molti sono i problemi da risolvere. (Il processo di screening è descritto su EURLexleggi.) Ma le difficoltà per la Moldova non sono legate tanto allo sforzo richiesto per l’avvicinamento all’UE, quanto ai tentativi di destabilizzazione di Mosca nei confronti di un paese che per sessant’anni è stato una Repubblica sovietica e nel quale i russofili sono molto numerosi. Il 28 settembre prossimo in Moldova si terranno le elezioni legislative e le pressioni russe per favorire una vittoria delle forze anti-occidentali sono particolarmente forti. Per sostenere i partiti europeisti e la Presidente Maia Sandu, a fine agosto Emmanuel Macron, Friedrich Merz e Donald Tusk si sono recati assieme a Chişinău, suscitando una dura reazione da parte dell’opposizione filorussa (leggi quanto riferito da EUNews). Il confronto si annuncia comunque molto teso, perché “il risultato del voto del 28 settembre determinerà se la piccola repubblica resterà una nazione democratica sul percorso dell’integrazione europea oppure se un’alleanza di partiti filo-russi prenderà il controllo del governo e la ricondurrà nell’orbita di Mosca”, come ha scritto Deutsche Welleleggi.


Parole chiave: Allargamento, Moldova, Elezioni

È prevista per settembre 2025 l’inaugurazione ufficiale della Diga della grande rinascita etiopica (Grand Ethiopian Renaissance Dam – GERD), un’opera che si colloca tra le venti più grandi al mondo del suo genere. Voluta dal Governo di Addis Abeba soprattutto per fare dell’Etiopia un grande produttore ed esportatore di energia elettrica (riassume i principali aspetti della GERD il sito Eritrea Etiopialeggi), la sua realizzazione è vista con preoccupazione dai paesi a valle del corso del Nilo: Sudan ed Egitto. Riferiva Al Jazeera ad inizio agosto che “il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi e il leader sudanese Abdel Fattah al-Burhan si sono incontrati e hanno «ribadito il loro rifiuto di qualsiasi misura unilaterale nel bacino del Nilo Azzurro»” (leggi). La disputa potrebbe essere considerata un problema regionale, se non fosse che detenere la chiave dell’approvvigionamento idrico di un paese come l’Egitto ha un’enorme valenza politica. Un interessante articolo dello IARI ben illustra come il Nilo rappresenti storicamente un elemento identitario fondamentale per l’Egitto: leggi. Ma nell’attuale contesto mediorientale, con i paesi arabi terrorizzati dall’ipotesi di dover accogliere decine o centinaia di migliaia di palestinesi cacciati da Gaza, il Cairo guarda con timore al riavvicinamento tra Etiopia ed Israele, con l’avvio di una cooperazione che copre anche aspetti relativi alla gestione delle risorse idriche: ne ha scritto The New Arab – leggi.

 
Parole chiave: Diga della grande rinascita etiopica - GERD; Nilo; Etiopia; Egitto

Come ci si poteva aspettare, il neo-insediato (6 agosto) Presidente polacco Karol Nawrocki non ha atteso a lungo prima di imporre il veto nei confronti di una legge approvata dal Parlamento. Lo ha fatto con riguardo ad una norma volta a rendere meno severe le disposizioni per la costruzione di parchi eolici onshore: ne ha scritto Bloomberg (leggi) indicando che “Nawrocki, appoggiato dal partito populista Diritto e Giustizia precedentemente al governo, è un sostenitore dell’industria carbonifera”. Questa decisione del primo cittadino polacco è l’ennesima evidenza di come le destre populiste stiano di fatto propugnando politiche ostili alle iniziative a sostegno dell’economia verde e della lotta al cambiamento climatico. Un recente articolo di Internazionale fornisce vari esempi al riguardo (leggi). D’altronde, a livello italiano, il Ministro Salvini non ha remore ad usare epiteti scurrili per definire il green deal europeo, come riferito dal Sole24Oreleggi. La Commissione dal canto suo, pur avendo riconosciuto la necessità di correggere alcune rigidità del patto verde (suscitando anche la preoccupazione degli ambientalisti: leggi sul Guardian), non ha rinunciato a definire iniziative e strategie che consentano all’UE di raggiungere gli obiettivi che si è posta, vale a dire la riduzione netta del 55% delle emissioni di gas serra entro il 2030 (rispetto ai livelli del 1990), fino a raggiungere lo zero netto entro il 2050 (leggi quanto scritto da Euractiv in merito all’incentivazione di “mercati guida […] per i prodotti a basse emissioni di carbonio”. Un’originale lettura di come il green deal possa diventare uno strumento utile anche per sostenere il confronto sui dazi innescato dall’amministrazione statunitense è proposta dal think tank italiano ECCO (leggi): “la risposta europea ai dazi di Trump non dovrebbe […] andare verso una deregolamentazione o una semplificazione, imposta da interessi esterni, delle politiche europee bensì passare per il consolidamento delle strategie che permettano all’Europa di rafforzare queste quattro dimensioni: l’autonomia energetica, la competitività industriale, la capacità di attrarre investimenti e il ruolo di leadership globale nella transizione


Parole chiave: Green deal; Obiettivi ambientali; Destre