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Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 11/09

Ad Alexandar Vučić sta finora riuscendo l’esercizio di alto equilibrismo teso a non inimicarsi lo storico alleato russo e, nel contempo, a non compromettere le possibilità della Serbia di accedere un giorno all’Unione europea. È chiaro che con il prolungarsi della guerra in Ucraina le difficoltà del Presidente serbo aumentano, non solo sul piano politico, ma anche (e soprattutto) sul piano economico. Ecco quindi che un po’ a sorpresa a fine agosto Belgrado ha cominciato a cercare accordi su approvvigionamenti energetici alternativi a quelli russi, mentre membri del Governo (anche se non di primo piano) si sono sbilanciati nell’esprimere contrarietà al conflitto in Ucraina come mai in precedenza. Un’analisi della situazione (che giunge a conclusioni per certi versi sorprendenti: “La Serbia scommette sull’Occidente perché le sue relazioni con la Russia diventano tossiche”) è proposta sul sito dell’Associazione Camis de Fonseca, vicina alla comunità ebraica torinese (leggi).

 

Tutti invocano, e a ragione, la “certezza del diritto”. Eppure, quando si tratta di temi eticamente sensibili, il legislatore incontra spesso difficoltà a definire norme chiare e dirimenti. Basti pensare alle reprimende della Corte costituzionale per l’incapacità del Parlamento italiano di legiferare in materia di suicidio assistito, al punto da obbligare la Corte stessa ad una sorta di supplenza normativa. Una situazione in qualche modo analoga (pur nella diversità della tematica) si constata a livello europeo con la decisione della Commissione di adire la Corte di Giustizia affinché condanni le norme discriminatorie adottate dal Governo ungherese contro le persone LGBT. In questo caso la sentenza dei giudici di Lussemburgo potrebbe offrire un “forte mandato alla Commissione di adottare misure più audaci sui diritti LGBT”. Ma l’esito potrebbe essere anche molto diverso, come spiega un articolo di EastJournal (leggi).
 

 

Nella rassegna stampa della scorsa settimana abbiamo segnalato l’importante discorso pronunciato dal Cancelliere tedesco Scholz all’Università di Praga. Affermando che le regole di funzionamento dell’Unione europea non sono scritte nella roccia, Scholz ha compiuto un passo importante nella definizione della nuova linea politica che la Germania è destinata ad imboccare per far fronte alle sfide attuali e a quelle degli anni a venire. Ed è importante sottolineare come tale linea politica sia profondamente europeista, con Berlino pronta a cedere nuovi spicchi di sovranità per attribuire all’UE il ruolo cardine di guida geopolitica. Una breve ma acuta analisi del discorso di Praga è proposta da Linkiestaleggi.
 

 

Era il marzo del 2000 quando i capi di Stato e di Governo dell’Unione europea riuniti in Portogallo adottarono la “strategia di Lisbona” grazie alla quale confidavano di trasformare l’UE nella “più competitiva e dinamica economia della conoscenza”. L’intenzione era di raggiungere l’obiettivo entro il 2010. Sappiamo però che è la strada dell’inferno ad essere lastricata di buone intenzioni e a ben 22 anni dal suo lancio la “strategia di Lisbona” non ha ancora sciolto i molti nodi gordiani che ostacolano il conseguimento dei risultati perseguiti. Si sofferma su alcuni di tali nodi il presidente della multinazionale tedesca Siemens AG ed ex presidente del gruppo danese Maersk Jim Snabe in un interessante articolo di Politico.euleggi.

 

Con un’inflazione su base annua superiore all’80%, il tracollo della lira turca e un’economia in gravissima difficoltà, a un anno dalle elezioni Tayyip Erdoğan cerca di spostare l’attenzione dei suoi concittadini verso il palcoscenico internazionale, puntando naturalmente sulla carta del nazionalismo. E come da tradizione, obiettivo delle minacce turche sono la Grecia e Cipro. (Si vedano a questo proposito le versioni contrapposte di Hürriyet – leggi – e Kathimerini – leggi). Tuttavia, la retorica del Presidente turco prende di mira anche l’UE, sostenendo la tesi cara al Cremlino che la crisi energetica scatenata dalla riduzione delle forniture di gas russo è in realtà colpa dell’Europa, che ha applicato a Mosca sanzioni dolorose. Riferisce in merito alle accuse di Erdoğan un articolo di Europa Todayleggi.

 

Il Centro Studi Dialoghi europei segue con particolare interesse le vicende dei Balcani, al punto da avere in programma un ciclo di incontri dedicato proprio alle prospettive europee di quella regione. Questa rassegna stampa, di conseguenza, segnala sovente fatti e notizie concernenti i paesi balcanici, mettendone in rilievo soprattutto le difficoltà a trovare una collocazione geopolitica e una soluzione ai problemi economici. Per una volta però segnaliamo una “storia balcanica” diversa. Della costruzione della prima ferrovia in Bosnia parla Ivo Andrić ne Il ponte sulla Drina, con la sua prosa pacata e disincantata. Quella ferrovia, iniziata ai tempi della dominazione turca, si è via via sviluppata fino agli anni della Iugoslavia, per poi esser dismessa. Un rilancio in funzione soprattutto turistica è tentato ora, ma le prospettive non sono molto positive. L’esperienza che ci racconta Dimša Lovpar sul sito Balcanicaucaso.org non ha bisogno di ulteriori commenti: leggi.