A voler essere benevoli, la spregiudicatezza di cui dà prova Donald Trump in ogni circostanza e in ogni contesto potrebbe essere vista come un’applicazione estrema del principio della
Realpolitik (
leggi quanto scritto dal prof. Mauro Calise in un articolo riproposto da
Città Futura).
Non c’è dubbio che tale principio – definito dalla
Treccani come “
prassi politica che consideri il mantenimento e l’allargamento del potere come fini a sé stessi” (
leggi) – sia consono all’agire politico del Presidente statunitense.
L’ennesima prova si è avuta con la visita alla Casa Bianca del leader siriano Ahmed al-Sharaa ad un anno giusto dalla presa del potere a Damasco e dalla fuga di Bashar al Assad a Mosca (
leggi il resoconto di fatti fornito dall’
ANSA).
Se per al-Sharaa “
la visita faceva parte di una «nuova era» in cui [la Siria] avrebbe collaborato con gli Stati Uniti” (
leggi sulla
BBC), per Trump lo “sdoganamento” di al-Sharaa (sul cui capo pendeva fino a dicembre 2024 una taglia da 10 milioni di dollari –
leggi su
Notizie Geopolitiche) è apparso funzionale alla propria visione di un riallineamento dei rapporti di forza in Medioriente, compreso il contenimento dello Stato islamico “
presenza ancora concreta, sebbene latente”, come ha scritto un puntuale articolo dell’
ISPI –
leggi.
È interessante notare come si tenda ormai spesso a considerare superato il problema dello Stato islamico e della minaccia che esso rappresenta (sempre l’
ISPI, in un altro articolo, suggeriva che “
oggi la minaccia jihadista è meno acuta, o almeno così sembra se la si osserva dalla prospettiva dell’Occidente, che spesso presta scarsa attenzione a ciò che accade in regioni “remote” come l’Africa subsahariana” –
leggi).
Proprio in occasione della visita di al-Sharaa a Washington, lo Stato islamico si è fatto sentire, con un durissimo comunicato al riguardo, riprodotto integralmente sul sito americano
Middle East Forum –
leggi.
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