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Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali del 7 agosto

Dopo questo appuntamento domenicale, la rassegna stampa di Dialoghi Europei curata da Paolo Gozzi va in ferie.
Ci rivediamo il 21 agosto.

Alle generazioni cresciute dopo la seconda guerra mondiale è stato insegnato che la democrazia non è una conquista permanente, ma che va ribadita e difesa con la pratica quotidiana e la testimonianza. Si è così cercato di promuovere l’impegno del singolo cittadino a difesa di un bene comune che, almeno nel mondo occidentale, sta alla base della convivenza civile. Ma se il cittadino è esposto ad una massa di informazioni contradittorie in grado di minare le sue certezze, come potrà difendere la democrazia? A questa domanda vorrebbe dare una risposta nientemeno che Google. La società di Mountain View sta cercando di definire modalità di verifica automatica dei dati che processa proprio per creare una barriera ai contenuti antidemocratici o tali da mettere in pericolo la democrazia. Lodevole iniziativa (forse), ma potremmo davvero affidare ad un algoritmo la tutela di un nostro principio fondamentale e a Google la decisione circa cosa sia democratico e cosa no? Molti spunti di riflessione possono essere trovati nell’articolo dedicato a questo argomento sul sito della Rivista Studioleggi.

 

Inseriti nel cuore dell’Europa, i Balcani sono costantemente oggetto di attenzione da parte delle diplomazie del continente, che seguono con grande interesse le mosse di tutti gli attori esterni che cercano di radicare la loro presenza nella regione. Si guarda così con occhio critico e preoccupato alle interferenze ed iniziative di russi, cinesi, turchi, arabi – tutte viste come negative per l’approccio integratore dell’Unione europea. Sarà bene tuttavia utilizzare il medesimo occhio critico anche per valutare le azioni di contrasto all’operato dell’UE in un’altra regione non molto lontana dai nostri confini: il Caucaso. Georgia, Armenia ed Azerbaijan sono paesi strategici per la loro collocazione geografica, ma anche per la spregiudicatezza con cui i loro Governi si muovono nei confronti dei partner internazionali. Illustra in dettaglio la situazione un bell’articolo pubblicato sul sito Med-Or.orgleggi.  
 

 

I modelli di vita sociale tipici di ciascun paese sono correlati all’evoluzione culturale e religiosa, ma anche economica, dipanatasi nell’arco di secoli. Etichettare comportamenti stereotipati come caratteristici di questo o quel popolo è un gioco vecchio quanto le dispute di campanile. Il raziocinio ci spinge a diffidare di questo modo di pensare e soprattutto ad evitare generalizzazioni. Va nondimeno riconosciuto un fondamento sociologico a comportamenti che appaiono omogenei all’interno di alcuni paesi o regioni, eppure significativamente diversi da quelli prevalenti altrove. Una dimostrazione di questa tesi traspare dai dati comunicati dall’istituto di statistica tedesco Destatis riguardante l’età media di uscita dalla casa dei genitori dei giovani europei, di cui si trova notizia sul sito di Deutsche Welleleggi (in inglese).
 

 

Se il punto d’arrivo della cosiddetta “rotta balcanica” dei migranti è il confine italo-sloveno sul Carso, la porta d’ingresso è il confine (in particolare quello marittimo) tra Grecia e Turchia. Da anni Ankara “gioca” una partita di piccoli e grandi ricatti con l’UE, fungendo da camera di compensazione per i milioni di profughi ospitati sul suo territorio e che vorrebbero raggiungere l’Europa. Ma gioca anche una partita bilaterale con la Grecia, suo avversario storico nella regione, permettendo un esodo costante di piccole imbarcazioni che, nell’Egeo, puntano a raggiungere le coste greche. Atene da parte sua risponde cercando in tutti i modi di impedire gli sbarchi respingendo – non sempre con le buone – i migranti verso le acque turche. L’Agenzia europea Frontex dovrebbe vegliare sul rispetto della legalità anche in questi frangenti, ma una relazione redatta a seguito di un’indagine interna delle autorità europee ha evidenziato gravi omissioni. Di quanto emerso dall’indagine ha scritto Euractiv.itleggi

 

Della guerra in Ucraina si parla ormai poco volentieri: come se ci fossimo già detti tutto quello che c’era da dire nelle prime settimane dell’invasione russa ed ora non restasse che attendere il lento esaurimento del conflitto. Sappiamo che in realtà i combattimenti continuano, soldati e civili muoiono e centinaia di migliaia di persone sono ancora esuli in patria o all’estero, ma il coinvolgimento emotivo si è attenuato. Non così, per comprensibili motivi, per chi abita a pochi chilometri di distanza dai luoghi della guerra, come gli abitanti della Moldova che vivono con l’ansia che la Russia possa invadere anche il loro paese. L’Internazionale ha ospitato un intervento su questo tema della scrittrice moldava Emanuela Iurkin: leggi.  

 

La frammentazione delle chiese ortodosse del mondo slavo è stata e continua ad essere ancora oggi motivo di dispute pesantissime, con scismi ed anatemi incrociati lanciati da venerandi religiosi. La chiesa ortodossa serba, ad esempio, non ha mai accettato l’esistenza di una chiesa ortodossa montenegrina autocefala e i sostenitori delle due parti si sono più volte scontrati anche in tempi recenti. Non sorprende quindi che l’annuncio di un accordo raggiunto dal Governo del Montenegro con il Patriarcato serbo-ortodosso per regolare in forma concordataria i rapporti tra Stato e chiesa abbia suscitato grande scalpore. Ma forse l’esecutivo del premier Abazović non aveva messo in conto il rischio di una crisi di governo, probabile ora dopo che due partiti della coalizione hanno deciso di ritirare il loro appoggio per protesta contro l’accordo con la chiesa serba. Ha riassunto la situazione il sito Balkan Insightleggi.