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GIORGIO ROSSETTI RICORDA MIKHAIL GORBAČËV

Conobbi Gorbačëv nel 1984 in occasione dei funerali di Berlinguer. Sul palco della presidenza, in una piazza S. Giovanni gremita di popolo all'inverosimile, un gruppo di segretari regionali del PCI – e io fra questi - gli venne presentato prima che anche lui prendesse la parola. Presentazione poco più che formale; meno formali furono altre occasioni di incontro che mi capitò di avere durante convegni ai quali lui partecipava come presidente della Fondazione che aveva costituito quando si era conclusa la sua parabola politica al vertice dell'URSS.

Per la mia personale esperienza, merita forse ricordare un'altra circostanza, quella del maggio '85, quando Gianni Cervetti, Presidente del Gruppo della Sinistra unitaria europea al Parlamento di Strasburgo, decise di recarsi a Mosca per capire se – considerata l'aria nuova che tirava con l'avvento di Gorbačëv - si sarebbe potuto aprire un minimo di dialogo tra Mosca e la Comunità europea.

Per intendere la delicatezza e il carattere quasi disperato di questa missione bisogna tener conto che prima di Gorbačëv i vertici del Cremlino guidati Breznev e poi Suslov si erano caratterizzati per decenni da un sostanziale immobilismo delle relazioni internazionale dell'URSS.

Informato della missione di Cervetti, fu Gorbačëv ad invitarlo ad un colloquio che non era stato programmato, e dall'incontro uscì un'ipotesi di lavoro sorprendente per quei tempi: avviare un processo che portasse al reciproco riconoscimento tra Comunità europea e il Comecon, cioè il patto di mutua “solidarietà” anche militare che legava i paesi satelliti dell'URSS a Mosca. Era un segnale di apertura clamorosa, se si tiene conto che fino a quel momento le due organizzazioni si erano sostanzialmente ignorate.

L'ipotesi di lavoro fu riferita da Cervetti al Presidente della Repubblica italiana e ai vertici della Comunità europea. Gorbačëv alcuni mesi dopo durante un viaggio a Parigi ribadì la proposta al presidente della Repubblica Francese e le diplomazie si misero in moto. Lo stesso Parlamento europeo incaricò due commissioni, quella per gli affari esteri e quella per le relazioni economiche esterne, di approfondire il problema e di individuare i settori di una cooperazione possibile di reciproco interesse. Si lavorò sodo per tre anni e finalmente chiudemmo i lavori nel novembre 1989. Ricordo ancora che stavamo commentando con soddisfazione il voto largamente unitario con cui si erano conclusi i lavori dell'ultima delle due commissioni, quando un funzionario ci raggiunse, pallido e trafelato e disse semplicemente: “Stanno abbattendo il muro di Berlino”. Le relazioni delle due commissioni finirono ovviamente tra le macerie di quel muro, ma nessuno ci fece caso. Dominò la consapevolezza che un'epoca era finita, che la storia voltava pagina, ed era una pagina da scrivere ben più impegnativa.

Mi trovai a pensare che quel muro in fin dei conti era stato Gorbačëv a demolirlo, “eroe tragico, gigante senza pace” come oggi lo definisce sul Corriere Paolo Valentino. Tragico ed infelice, perché a non capirlo fu soprattutto il suo popolo. E oggi, tutto sommato, se ne misurano le conseguenze.

Giorgio Rossetti