Esattamente venticinque anni fa, Slobodan Milošević, Franjo Tuđman e Alija Izetbegović trascorsero le tre prime settimane di novembre in una base dell’aviazione americana in prossimità di Dayton, nell’Ohaio. Erano “ospiti” di Richard Holbrooke, Vicesegretario di Stato dell’Amministrazione Clinton, che con non poca abilità negoziale (ma anche con una certa propensione ad accettare complesse formule di compromesso) riuscì a far loro firmare un accordo che pose fine alla guerra in Bosnia. Quanto bizantino e poco funzionale fosse tale accordo è sotto gli occhi di tutti da venticinque anni. Praticamente da subito molti osservatori lo considerarono destinato ad un rapido fallimento; invece continua a reggere, come cristallizzato nella storia recente dei Balcani: spesso niente è più definitivo di ciò che sembra provvisorio. Cinque anni fa, il “Guardian” pubblicò un interessante articolo per il ventennale della firma dell’Accordo di Dayton. Potrebbero ripubblicarlo semplicemente cambiando la data, tanto tutte le osservazioni restano valide: (leggi)
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