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Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 03/06

Il ferimento di alcuni militari italiani della KFOR ha certamente contribuito al rilievo dato dalla stampa nazionale agli incidenti scoppiati nella parte settentrionale del Kosovo, a maggioranza serba. Gli scontri non sono certo una novità nella regione, ma è raro che la comunità internazionale ne attribuisca la responsabilità ad una sola delle parti; in questo caso le autorità kosovare sono state esplicitamente indicate come responsabili, anche se gli attacchi agli uomini della KFOR sono venuti da manifestanti serbi. Nell’insieme, è evidente che i rapporti tra le parti sono ad uno dei punti più bassi da molti anni. Un articolo di Formiche.net che esamina la situazione mette sotto il riflettore le incertezze e la debolezza dell’azione europea volta a favorire una composizione del conflitto (leggi). Occorre riconoscere tuttavia che gli interlocutori con cui i mediatori UE hanno a che fare non sono dei più malleabili e che le difficoltà sociopolitiche ed economiche di Serbia e Kosovo non creano certo un clima favorevole ai compromessi. Sulla Serbia di oggi, è interessante quanto scrive un autore serbo sul sito Kosovo 2.0 (leggi), mentre indicativo della realtà kosovara è l’articolo proposto dall’Osservatorio Balcani Caucaso nell’aprile scorso (leggi). 

 

Proprio nei giorni in cui è riesplosa la violenza nel nord del Kosovo, l’Istituto Affari Internazionali ha pubblicato il resoconto della conferenza ad alto livello “Nuove visioni per i Balcani occidentali: adesione all’UE e sicurezza regionale”, organizzato a Roma il 3-4 aprile scorsi, patrocinato dalla Farnesina. Il resoconto risulta particolarmente utile, visto che l’incontro, cui hanno partecipato i Ministri degli esteri dei sei paesi balcanici, si è svolto a porte chiuse. Purtroppo, letto attraverso la lente dei recentissimi eventi dello scontro tra serbi e kosovari, il documento sembra suggerire che il dibattito in seno alla conferenza abbia peccato ancora una volta di una certa teoricità, evitando (forse volutamente, forse no) la concretezza di quanto avviene sul territorio. Il testo (leggi) riesce nondimeno a fornire un quadro esauriente della situazione nella regione e della valenza, ancor più politica che in passato, del progetto di allargamento dell’UE, esteso ormai anche ad Ucraina e Moldavia.

 

Con la rivoluzione khomeinista (1979), l’Iran si è trasformato in breve tempo da sentinella degli Stati Uniti e dei loro alleati in Medioriente a nemico giurato dell’occidente. Oggetto di sanzioni commerciali dure e prolungate, esposto costantemente ad azioni mirate israeliane, osteggiato dalla comunità sunnita, il paese e le sue autorità teocratiche sembrano dar prova di grande tenacia nel perseguimento dei loro fini. L’ampio uso che la Russia sta facendo in Ucraina di droni forniti da Teheran dimostra che le capacità militari del paese sono ancora notevoli; il reciproco riconoscimento con l’Arabia Saudita, mediato dalla Cina, indica che la forza diplomatica del paese è integra e il sostentamento (oltre al sostegno) di forze come Hezbollah al di fuori dei propri confini segnala la persistenza di un’abilità politica abbinata ad una inaspettata solidità economica. Ma nuove difficoltà appaio all’orizzonte, questa volta da est e potrebbero rivelarsi destabilizzanti. Se al momento della riconquista dell’Afganistan da parte dei talebani l’Iran era sembrato preferire un atteggiamento neutro, la tensione tra i due paesi sta rapidamente crescendo, come segnala il sito Internazionale.itleggi

 

Per lungo tempo in Europa, e probabilmente anche negli Stati Uniti, si è guardato con una certa sufficienza all’avvio di un’iniziativa di collaborazione tra i cosiddetti BRICS: Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica. Ora, con il perdurare della guerra in Ucraina e la sensazione che una volta terminata “nulla sarà come prima”, questo atteggiamento distaccato sta lasciando il posto ad un’attenzione molto più marcata. (Sulla sfida politica rappresentata dai BRICS si veda qui quanto scriveva un anno fa Affari internazionali.) Il prossimo agosto si terrà in Sudafrica un vertice dei leader dei cinque paesi e molto rumore ha suscitato l’annuncio dell’immunità concessa dal governo sudafricano a Vladimir Putin, nonostante il mandato di arresto internazionale spiccato dalla Corte Penale Internazionale. (Ne ha scritto anche focusonafrica.infoleggi). Vedremo se Putin parteciperà o meno al vertice; nel frattempo però è indiscutibile che molto si sta muovendo nella diplomazia dei BRICS. Ad inizio giugno, sempre in Sudafrica si decide se accogliere nell’“alleanza” (che non ha una vera e propria struttura istituzionale) nuovi membri: oltre venti paesi hanno chiesto di aderire – si veda qui quanto ne ha scritto il sito sudafricano IOL. Sul rischio di uno scivolamento anche dell’America latina verso un’orbita sino-russa sotto l’ombrello BRICS ha scritto l’agenzia Novaleggi. Le preoccupazioni statunitensi traspaiono (scaramanticamente?) da un articolo apparso sul sito del Wilson Center, uno dei più importanti centri studi internazionali, sostenuto dal Congresso USA: leggi.

 

Indipendentemente dal settore di specializzazione, ai giovani ricercatori è sempre raccomandato di pensare facendo astrazione dagli schemi preconcetti, di “think out of the box”, come sintetizza efficacemente l’espressione inglese. In effetti, la capacità di analizzare una situazione o un evento esaminandoli da un punto di vista diverso da quello più scontato permette di rilevare in modo originale aspetti altrimenti trascurati. Un bell’esempio di analisi originale è rappresentato da un testo dell’economista Carlo Bastasin pubblicato in un recente bollettino tematico della LUISS sulle prospettive di adesione dell’Ucraina all’UE: leggi. Alcune affermazioni possono apparire provocatorie (si legge ad esempio che è “la mancanza di risorse finanziarie che sta spingendo la Commissione europea a promuovere un atto fortemente simbolico, ma relativamente poco oneroso, quale l’apertura formale del processo di adesione dell'Ucraina”), ma stimolano nondimeno la riflessione.  

 

Concludiamo questa piccola rassegna settimanale con un suggerimento di lettura che si discosta dalle tematiche qui normalmente affrontate. Nella tradizione della sinistra italiana di estrazione marxista, da Gramsci a Berlinguer e, se si vuole, fino alla nascita dello stesso Partito democratico, c’è un filo conduttore rappresentato da un atteggiamento di confronto aperto con il cattolicesimo. I meno giovani tra i nostri lettori ricorderanno come a partire dalla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso, pur in piena guerra fredda, un fertile dibattito si sviluppò sui rapporti tra cattolicesimo e marxismo, con il coinvolgimento di intellettuali quali, tra gli altri, Balducci e La Pira. (Per chi fosse interessato ad approfondire, un articolo della Treccani offre un’originale analisi tramite una panoramica delle riviste pubblicate nel secondo dopoguerra: leggi.) Nello stesso periodo, anche nel mondo islamico c’è stata un’ondata di interesse per il marxismo, seguita però da un riflusso verso l’islamismo (lo illustra una tesi di laurea dell’Università LUISS sul socialismo arabo: leggi). Nonostante l’involuzione, nella galassia mussulmana che comprende un quarto della popolazione mondiale permangono correnti di pensiero che si rifanno a radici culturali tanto marxiste quanto islamiche. Ne fornisce un interessante esempio un articolo da poco pubblicato sul sito dell’Osservatorio Balcani Caucasoleggi.