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Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 06/04/25

Secondo evento della nuova serie intitolata Democrazie sofferenti tra derive autoritarie e nuovi equilibri globali, la conferenza sulla Serbia organizzata da Dialoghi europei giovedì 10 aprile 2025 presso il Circolo della Stampa, sarà animata da un gruppo di esperti dei Balcani e della politica belgradese, tra cui Stefano Giantin, Giorgio Fruscione, Massimo Moratti e Matjaž Nemec.

Per il pubblico triestino non ha certo bisogno di presentazione Stefano Giantin, i cui reportage sono pubblicati quotidianamente sulle pagine del Piccolo. Giornalista freelance con base a Belgrado, segue i Balcani e l’Europa centro-orientale anche per l’ANSA. Ha scritto altresì per l’EspressoPanoramaIl FoglioIl GiornaleDanasVremeLa Repubblica e La Stampa.

Giorgio Fruscione è Research Fellow e responsabile delle pubblicazioni presso l’ISPI. È vissuto per anni nei Balcani lavorando come giornalista ed è stato corrispondente dalla regione per East Journal, del quale ha ricoperto la carica di vicedirettore. È coautore di diversi volumi (leggi).

Il lungo elenco di articoli pubblicati da Massimo Moratti, corrispondente dalla Serbia dell’Osservatorio Balcani Caucaso Transeuropa è disponibile sul sito dell’autorevole centro studi trentino (accedi).

L'europarlamentare Matiaž Nemec (S&D), originario di Nova Gorica (San Pietro), è tra l’altro membro della Delegazione al comitato parlamentare di stabilizzazione e di associazione UE-Serbia. (Il profilo dell’on. Nemec è disponibile sul sito del Parlamento europeo: leggi.)

 
Nell’arco di pochi anni (di fatto dall’intervento russo in Georgia del 2008 – ne scrisse quindici anni dopo Linkiestaleggi) il totem dell’integrità territoriale dei paesi sovrani e il tabù che precludeva la possibilità di modificare confini internazionalmente riconosciuti (almeno nel “primo mondo”) sono stati superati e di fatto dimenticati.

Oggi ci si chiede quanto territorio perderà l’Ucraina, non se ne perderà; il Segretario di Stato Marco Rubio è stato chiaro: “Kiev dovrà cedere territori in qualsiasi accordo di pace”, come riferito da Today.it (leggi).

E se la Russia guadagna territorio, lo faranno probabilmente anche gli USA: in Nordamerica (Canada), in Groenlandia o a Panama, come non cessa di ripetere Donald Trump (cerca di spiegare le “esigenze” statunitensi un dettagliato articolo di CBS Newsleggi).

Una volta accettata la liceità di queste iniziative, non mancheranno certo altri tentativi da parte di leader preoccupati della “sicurezza” dei propri paesi. Spalleggiato da Tayyip Recep Erdoğan, il Presidente azero Ilham Aliyev ha già annesso il Nagorno Karabakh (descrive gli eventi un lungo racconto/reportage pubblicato da Internazionaleleggi).

E già nel 2020, ai tempi della prima presidenza Trump, Benyamin Netanyahu aveva ufficialmente parlato di annettere ad Israele il 30% della Cisgiordania e il Times of Israel aveva riferito che “Gli Stati Uniti dicono di essere «pronti a riconoscere» l’annessione israeliana di parti della Cisgiordania” (leggi).

In questo clima che ricorda per molti versi quello che ha preceduto le due guerre mondiali (con le rivendicazioni francesi sull’Alsazia e la Lorena, quelle italiane sulle “terre irredente”, quelle tedesche su Sudeti e “spazi vitali” ad est, ecc. – la voce “irredentismo” della Britannica porta molti esempi: leggi) c’è purtroppo solo da attendere che a muoversi sia anche la Cina: il sito Global Guardian, espressione di una società di sicurezza statunitense, ha pubblicato un interessante articolo intitolato “La Cina invaderà Taiwan? Una possibile cronologia del conflitto” (leggi).
 
Parole chiave: Integrità territoriale, confini, annessione
Travolte dalle polemiche contro il Green deal (nota tra le altre la posizione della premier Giorgia Meloni, riportata da Green Economy Agencyleggi), le politiche ambientali restano non di meno al centro del dibattito sia a livello europeo che a quello nazionale.

Il 26 febbraio scorso la Commissione ha presentato il “Patto per l’industria pulita” (il documento ufficiale è disponibile su EUR-Lexleggi) inteso a definire il nuovo approccio europeo in materia (riassume i principali aspetti della Comunicazione il sito Rigeneriamo il territorioleggi).

Il documento ha sùbito suscitato alcune perplessità tra i verdi, che tuttavia riconoscono di essere stati “piacevolmente sorpresi” dal veder riconosciuti principi considerati qualificanti, tra cui “la flessibilità del sistema e la trasparenza dei prezzi; la promozione di prodotti a basse emissioni [e] l’attenzione alla circolarità”: così l’eurodeputata Benedetta Scuderi, come riferito da Affari Italiani (leggi).

Ferocemente critici sono invece i commentatori della destra radicale, come ben rappresentato da quanto scritto da The European Conservativeleggi. Una posizione meno ideologica è quella seguita dai negoziatori della Grosse Koalition tra CDU/CSU e SPD in Germania, che confermano molti dei capisaldi della politica ambientale del Governo Scholz, rallentandone tuttavia l’applicazione in modo significativo. Se Euractiv ne dà una lettura piuttosto neutra (leggi), maggiore preoccupazione traspare da un articolo del portale di informazione scientifica Spectrum.de (leggi).
 
Parole chiave: Green Deal, Patto per l’industria pulita, politica ambientale
Il 18 maggio 2025 i cittadini polacchi tornano alle urne per scegliere il successore di Andrzej Duda, presidente del paese dal 2015 che, giunto al termine del secondo mandato, dovrà per legge rinunciare all’incarico”: così scriveva Lettera43 nel febbraio scorso in un’utile e chiara presentazione dell’importante appuntamento elettorale polacco (leggi).

L’articolo conteneva anche una breve presentazione dei tre principali candidati, Rafał Trzaskowski (della Piattaforma Civica del premier Tusk), Karol Nawrocki (del partito arci-conservatore Diritto e giustizia – PiS) e Slawomir Mentzen (di Konfederacja, all’estrema destra dello spettro politico).

Di quest’ultimo Lettera43 diceva che “nei sondaggi appare staccato rispetto a Trzaskowski e Nawrocki”, ma in due mesi sembra che abbia recuperato molto terreno. Recentemente, Il Post ha segnalato la forte crescita di consensi ricordando che “durante le campagne elettorali per le elezioni europee e legislative del 2019, Mentzen presentò un programma di cinque punti, riassumibile nella frase: «Non vogliamo ebrei, omosessuali, aborto, tasse e Unione europea»” (leggi).

Preoccupati dalla popolarità crescente di questo candidato estremista, sia il PiS che la Piattaforma Civica – come ormai sembra succedere ad ogni latitudine – cercano di accattivarsi l’elettorato più di destra con una propaganda dai toni sempre più nazionalistici. Così, all’organizzazione di una “marcia dei patrioti” per il 12 aprile da parte del PiS, ha risposto Donald Tusk annunciando per l’11 maggio un evento denominato esattamente allo stesso modo: ne ha scritto il sito della Televisione pubblica TVP (leggi).

D’altra parte il clima politico appare decisamente orientato: l’Unione europea, la Germania, i migranti, persino gli ucraini (aiutati e sostenuti dalla Polonia più che da chiunque altro) sono vituperati da manifestanti sempre più aggressivi. Ne è testimonianza quanto accaduto alla frontiera polacco-tedesca il 23 marzo, come riportato da Notes from Polandleggi.
 
Parole chiave: Polonia, elezioni, destra radicale
Nel periodo iniziale del suo mandato, la Presidente del Consiglio italiana si è recata più volte in Tunisia, facendo del paese nordafricano il simbolo della propria politica volta a contenere i flussi migratori. Accompagnata da Ursula von der Leyen e Mark Rutte (come riferito da RaiNewsleggi), nel 2023 aveva firmato con il Presidente Kaïs Saïed un accordo di “partenariato strategico” che aveva suscitato interesse anche fuori dall’Europa: ne aveva scritto – in termini non solo positivi – anche il sito di Radio Canada (leggi).

Progressivamente l’attenzione sulla Tunisia e sul suo Presidente è andata scemando, salvo riaffiorare di tanto in tanto per segnalare problemi sociali ed economici. Nel 2024 l’agenzia AP ha riportato la notizia che i familiari di oppositori politici incarcerati hanno chiesto l’intervento della Corte Penale Internazionale (leggi).

Contemporaneamente la crisi economica si è manifestata con forza, come segnalato da un artico della Reuters in cui si afferma che “il Governo non è più in grado di accedere a prestiti dall’estero” e ha quindi deciso di aumentare le tasse per le imprese e i redditi medio-alti. (leggi).

In un tale contesto, Kaïs Saïed ha deciso di sostituire il Primo ministro, nominato meno di un anno fa, con Sarra Zaafrani Zenzri, alto funzionario dell’amministrazione ed ex Ministro delle infrastrutture. Il sito SudOuestFrance, che riporta la notizia, ricorda che “il licenziamento del Primo ministro avviene in un clima politico teso, con decine di oppositori incarcerati, alcuni da due anni, così come uomini d’affari ed esponenti dei media” e che il Presidente “ha interrotto più di un anno fa i negoziati avviati con il Fondo Monetario Internazionale, che aveva proposto un prestito di 2 miliardi di dollari in cambio di una serie di riforme” (leggi).
 
Parole chiave: Tunisia, crisi economica, Primo ministro