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Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 11/02

Vi ricordiamo l'appuntamento di venerdì 16 febbraio alle 17:00 presso l'Iniziativa centro Europea (InCE) di Via Genova 9 per la conferenza "Asia al centro del cambiamento" che ripercorre i lavori dell'omonimo libro edito da Treccani nel 2023. Interverrà il curatore della pubblicazione Giuseppe Gabusi, docente dell'Università di Torino e Head of Program del Torino World Affairs Institute (TWAI) con Federico Vozza (Qui la locandina).

 

In occasione di un incontro organizzato dalla Banca nazionale croata (HNB) per celebrare il primo anniversario dell’ingresso del paese nell’Eurozona, il Governatore Boris Vujčić ha enfaticamente dichiarato che l’euro ha portato “tutti i benefici che ci aspettavamo e che avevamo preannunciato” (citato dal sito della HNB (leggi). Più articolata è l’analisi formulata da un osservatore esterno come l’Agenzia di stampa bulgara BTA (leggi), attenta a questo argomento in quanto pure la Bulgaria ambisce ad adottare la moneta unica (come riportato da Euractiv.itleggi). Anche la Repubblica ceca è confrontata alla prospettiva di introduzione dell’euro poiché, come spiega il sito della Banca d’Italia (leggi), “ci si attende che ciascuno degli Stati membri (…) partecipi all'unione monetaria”. La prospettiva non riscuote tuttavia l’unanimità a Praga. Mentre il Presidente della Repubblica Petr Pavel ritiene che sia il momento di fare i "primi passi concreti" verso l'adozione dell’euro (riferisce l’ANSAleggi) e il ministro degli Affari europei Martin Dvořák sia pronto a compierli (come scrive Euractiv.itleggi), il Primo Ministro Petr Fiala è restio, come evidenzia una ricerca appena pubblicata sul sito dello studio di consulenze italiano con sede a Praga Savino Partners – leggi. Per completezza di analisi, può essere utile esaminare il diverso approccio di Repubblica Ceca e Slovacchia (che ha adottato l’euro già nel 2009), illustrato da un vecchio articolo di The Bankerleggi.

 

Se c’è un posto in Europa occidentale dove sopravvive il timore che conflitti politici (con peculiari connotati religiosi) possano effettivamente riesplodere in pieno ventunesimo secolo, quel posto è l’Irlanda del Nord. Raggiunta la pacificazione con gli accordi del Venerdì Santo del 1998 (una completa rievocazione in italiano è disponibile sul sito Irlandaonline – leggi), la tensione è risalita quando, a seguito della Brexit, l’Ulster è stato economicamente separato dal Regno Unito, rimanendo nel mercato unico europeo per non danneggiare i rapporti – commerciali ma non solo – con la Repubblica d’Irlanda. Su questa situazione si è innestato uno stallo politico dopo la vittoria alle ultime elezioni per il Parlamento nordirlandese (2022) dei nazionalisti del Sinn Féin a scapito degli Unionisti (un’idea della complessità della realtà locale è offerta da una nota dell’agenzia Nova del novembre 2022: leggi). Alcune modifiche alle disposizioni post-Brexit intese a semplificare le attività commerciali hanno sbloccato la situazione e l’Irlanda del Nord ha nuovamente un’amministrazione locale funzionante, come riportato ampiamente, seppure in taglio basso, da molta stampa italiana. Quanto complicato rimanga tuttavia il contesto è ben illustrato da un articolo della BBC (leggi).

 

Permane il pessimo vezzo di considerare le elezioni per il Parlamento europeo un’occasione per misurare il consenso dei partiti nazionali (“elezioni nazionali su larga scala” le definisce un articolo di Mondo internazionale - leggi). Ciò nonostante, gli oltre 700 rappresentanti chiamati, con il voto del prossimo giugno, a sedere nell’emiciclo di Strasburgo saranno tenuti ad operare per il bene dell’intera Unione europea, pur legittimamente tutelando gli interessi della circoscrizione che li avrà eletti. Da quando nel 1979 il Parlamento europeo è eletto a suffragio universale dai cittadini degli Stati membri (la decisione del Consiglio è disponibile su EurLex – leggi), l’Istituzione si è sempre contraddistinta per un marcato europeismo. (È quanto sostiene un’analisi appena pubblicata dal Centro Jaques Delors – leggi.) Non è detto che sarà così anche dopo le prossime elezioni, vista la crescente popolarità delle forze politiche più nazionaliste e conservatrici. Uno dei più recenti sondaggi (riportato Euractiv.itleggi) suggerisce che il gruppo dei Conservatori e Riformisti europei, guidato da Giorgia Meloni, potrebbe diventare la quarta forza, sorpassando i “macronisti” di Renew.

 

Da un paio d’anni la popolazione della Macedonia del Nord è scesa sotto la soglia dei 2 milioni di abitanti e la tendenza è flettente (il sito Trading Economics riporta i dati: leggi). Il PIL generato rappresenta lo 0,03% di quello mondiale (dati FMIleggi). Il paese non può quindi costituire una minaccia né dal punto di vista demografico, né da quello economico. Eppure, dopo essere stato ostacolato nel suo percorso di avvicinamento all’UE dalla Grecia fino al 2019, quando ha accettato di modificare il proprio nome costituzionale (così scrisse il sito di Radio Free Europeleggi), si trova ora confrontato a fortissime pressioni da parte bulgara per motivi di identità nazionale (ne ha scritto nel 2020 con grande chiarezza Linkiestaleggi). Non manca chi suggerisce che la rigidità di Sofia sia eterodiretta da Mosca (lo ha riportato Asianewsleggi). Nella prossima primavera la Macedonia del Nord andrà al voto per eleggere sia il nuovo Presidente che un nuovo Parlamento. In previsione di questo appuntamento, il Governo si è dimesso per consentire la costituzione di un esecutivo tecnico e di garanzia, dato che maggioranza ed opposizione diffidano l’una della correttezza dell’altra. Illustra in modo ordinato quanto sta avvenendo un articolo dell’Osservatorio Balcani-Caucasoleggi.

 

La rivolta del mondo agricolo europeo di queste ultime settimane sembra nascere da un malessere diffuso del quale nemmeno i protagonisti riescono a percepire tutte le cause. Vengono evocati i rincari dei combustibili e dell’energia in genere, la concorrenza delle derrate d’importazione, la pressione sui prezzi della grande distribuzione, una generica burocrazia, e l’elenco sarebbe ancora lungo. Più di tutto viene citata tuttavia l’azione avviata a livello europeo per contrastare i danni del cambiamento climatico indotto dall’azione umana. Intervistato da RomaToday (leggi) un membro del movimento “Riscatto agricolo” ha affermato: “il Green Deal ha posto regole troppo stringenti e frutto di un ambientalismo estremista che danneggia produttori e consumatori”. Le Istituzioni europee appaiono incerte sulla strada da seguire e più arrendevoli di quanto siano state in altre occasioni: il sito americano Breitbar parla di “marcia indietro”: leggi. Di commenti e giudizi di questo tenore dovranno tener conto tutti i partiti in lizza per le prossime elezioni europee, ma in particolare i Verdi, la cui ragion d’essere è l’ambientalismo. Proprio in vista dell’appuntamento elettorale, i Verdi europei si sono riuniti in congresso per designare i capilista e discutere della linea politica da seguire. Ne ha riferito Linkiestaleggi. Tale discussione è destinata ad estendersi anche alla questione del nucleare: dopo che il Parlamento europeo ha inserito l’atomo tra le fonti di energia verde (come riportato da Le Figaro – leggi), c’è chi si chiede in Germania se l’abbandono di questa tecnologia non debba essere riconsiderato. Ne ha scritto Deutsche Welleleggi.

 

Riferendosi ad un mondo sempre più conflittuale, Papa Francesco ha più volte parlato di “guerra mondiale a pezzi”. Viene da chiedersi se anche i singoli “pezzi” non siano a loro volta frammentati in conflitti di natura e tipo diversi. La guerra in Medioriente è, da questo punto di vista, emblematica: allo scontro israelo-palestinese si è affiancato quello tra Israele e hezbollah al confine con il Libano, come pure il confronto tra gli Houthi yemeniti e una coalizione di “volonterosi” guidata da Stati Uniti e Regno Unito. Meno evidente ma ben presente nella regione è anche il lungo contenzioso sullo sfruttamento degli enormi giacimenti di gas naturale del Mediterraneo orientale. Libano, Cipro e Turchia ambiscono ad assicurarsi diritti di sfruttamento, ed Israele già da anni concede licenze alle grandi compagnie mondiali del settore. Nel novembre scorso, in piena guerra con Hamas, sono state BP ed ENI ad ottenere il permesso di esplorare alcuni fondali, come riferito dal Times of Israelleggi. Una breve analisi pubblicata da StartMag ha illustrato alcuni aspetti chiave di questo conflitto energetico, che ha importanti risvolti in particolare per il Libano: leggi. In questo scenario non poteva mancare la presenza del Presidente turco Erdoğan, deciso a “recuperare una concreta influenza politica sui territori già facenti parte dell’impero ottomano, a partire dal Mediterraneo” come scrive un articolo di Formiche.netleggi.