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Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 14/04


La diffusione capillare della rete che convoglia sui nostri dispositivi elettronici un flusso ininterrotto di informazioni sovente condiziona il giudizio di valore che diamo alle singole notizie. Inevitabilmente, ogni breaking news appare più importante della precedente e tende a relegarla in un limbo che prelude all’oblio. Così può accadere anche per gli eventi più gravi e drammatici, se è vero che la momentanea eccitazione lascia presto il posto ad un disinteresse che abbiamo cominciato a chiamare “fatica”. Esemplare è la “fatica dell’allargamento”, subentrata nell’UE all’entusiasmo per l’adesione di dodici nuovi Stati membri nel 2004-2007 (un’ottima analisi del fenomeno è proposta dal centro studi spagnolo Real Instituto Elcano – leggi). Da mesi ormai si parla di fatica anche con riguardo alla guerra in Ucraina (risale all’autunno scorso l’ammissione della “stanchezza” occidentale da parte di Giorgia Meloni al finto politico africano; ne scrisse anche Europe Today – leggi). E una certa fatica sembra trasparire anche dai tanti “distinguo” nelle prese di posizione dei principali leader europei. Alcuni commenti (ad esempio quello della BBC – leggi) al vertice franco-tedesco-polacco di metà marzo ne sono una testimonianza. Generalizzare sarebbe tuttavia un errore. Proprio tale vertice ha infatti mandato anche segnali positivi. È quanto ritiene Riccardo Perissich, recente ospite di Dialoghi europei, in un articolo apparso il 19 marzo sul sito di Aspenia (leggi), che sembra anticipare la dichiarazione comune dei ministri degli esteri di Germania, Francia e Polonia, pubblicata da Politico il 3 aprile (leggi).

 

Il premier polacco Donald Tusk è stato il principale protagonista del vertice menzionato qui sopra. Nel giro di pochi mesi da quando ha assunto le funzioni di Primo ministro in Polonia (ha ottenuto la fiducia del Parlamento l’11 dicembre 2023, come riferì RAINewsleggi), Tusk ha riconquistato un ruolo di primo piano sulla scena europea, che del resto gli è assai famigliare considerando che ha ricoperto il ruolo di Presidente del Consiglio europeo dal 2014 al 2019 (la sua biografia è sul sito del Consiglioleggi). Non solo ha rilanciato i rapporti con Francia e Germania riattivando un vecchio strumento di cooperazione come il Triangolo di Weimar (ne scriveva a febbraio Formiche.netleggi), ma da subito è apparso come un possibile mediatore tra Macron e Scholz per appianare le divergenze, in particolare sul sostegno all’Ucraina (come scriveva Politico.euleggi). Evidentemente però, il prestigio internazionale non basta per vincere le elezioni in patria. Così alle recenti amministrative la coalizione che sostiene il Governo ha ricevuto meno consensi a livello nazionale del partito conservatore-reazionario PiS, che ha sfruttato il malcontento delle campagne già manifestatosi in tanti paesi europei con le cosiddette “proteste dei trattori”. Traccia un bilancio del voto un articolo di Euractiv.itleggi.

 

Se ogni nuovo sondaggio sull’esito delle elezioni europee dell’8 e 9 giugno prossimi offre l’opportunità di azzardare ipotesi più o meno verosimili sui futuri assetti istituzionali dell’Unione europea, molti sembrano dimenticare che un cambiamento significativo si avrà in ogni caso meno di un mese dopo la chiusura delle urne, quando la presidenza rotante del Consiglio dell’UE passerà dal Belgio, Stato membro fondatore e fermamente europeista, all’Ungheria di Orbán, sempre più critica, se non ostile, nei confronti dell’Unione. Il Parlamento europeo si è chiesto, con una risoluzione (disponibile sul sito del PEleggi e commentata da Linkiestaleggi), “se l'Ungheria sarà in grado di adempiere in modo credibile” ai sui compiti durate la presidenza semestrale. Va infatti anche ricordato che, nel caso gli Stati membri non trovassero un rapido accordo sulla designazione del successore di Charles Michel, anche le importanti funzioni di Presidente del Consiglio europeo (descritte sul sito del Consiglioleggi) sarebbero espletate ad interim dal primo ministro ungherese. Una descrizione attenta ed articolata delle posizioni ideologiche di Viktor Orbán, della sua politica e delle sue alleanze è offerta da un ampio articolo di Politico.euleggi.

 

Per quanto appaia come un semplice strumento di raccolta di dati, un censimento non è mai “neutro”. Già quello famoso deciso da Augusto e immortalato dal Vangelo di Luca (2,1-2: leggi sul sito BibbiaEDU) serviva a “stimare la ricchezza di un territorio in vista della sua tassazione”, come scrive Cathopedialeggi. Nei tempi moderni, spesso i censimenti sono stati utilizzati per fini politici, in particolare con riguardo alla determinazione della consistenza dei gruppi minoritari (un esempio illuminante è quello del rilevamento dei rom in Europa centro-orientale nel 2011, di cui parla un articolo di Eastjournalleggi). Inevitabilmente carico di significato politico è anche il censimento lanciato in Kosovo (cui ha dedicato un articolo Stefano Giantin sul Piccolo dell’8 aprile, non disponibile in libera lettura), che ha suscitato l’immediata levata di scudi della minoranza serba, la quale ha invitato i propri membri a boicottare il rilevamento, come riportato da Balkan Insight (leggi) e dall’ANSA (leggi). Dati interessanti sull’evoluzione della composizione etnica del Kosovo sono disponibili sul sito della Fondazione De Gasperi Freedomanatomyleggi.

 

In Grecia non lo chiamano “campo largo”, ma più banalmente “fronte progressista”. È quello invocato dal leader di Nea Aristera (Nuova Sinistra) Alexis Charitsis , secondo il quale solo un’alleanza tra il partito socialista (PASOK), Syriza e il suo movimento (nato da una scissione proprio da Syriza, come riferito da To Vimaleggi) può portare ad una caduta del governo di Kyriakos Mitsotakis. Charitsis ne ha parlato in un’intervista con Euractiv (leggi), sostenendo l’esigenza di “una solida base programmatica da parte dell’opposizione e [di] un piano di governo progressista e di sinistra alternativo” a quello dell’attuale esecutivo. Il clima politico in Grecia sta dando segni di instabilità. Nonostante il Governo abbia superato indenne un voto di sfiducia promosso dalle opposizioni (come riferito da Politico.euleggi), le “elezioni europee […] potrebbero riplasmare il terreno politico greco per i prossimi anni”, come scrive, in un ampio ed interessante articolo, Greekreporterleggi.

 

Con l’accattivante stile degli storici inglesi, Peter Hopkirk (1930-2014) ha lasciato una vivida descrizione della contrapposizione russo-britannica del XIX secolo per il controllo dei territori dell’Asia centrale nel libro The Great Game: The Struggle for Empire in Central Asia (pubblicato in italiano da Adelphi). Tramontati gli imperi zarista e britannico, il “grande gioco” di tanto in tanto si rianima, in particolare nel Caucaso, come delinea il sito della Treccani (leggi). Per una volta, l’Unione europea sembra essere consapevole di quanto strategica sia la regione e, dopo aver concesso lo status di paese candidato alla Georgia (i dettagli sono sul sito del Consiglioleggi), sta ora blandendo l’Armenia affinché abbandoni la storica vicinanza con Mosca, che tra l’altro si è ben guardata da tutelare il paese in occasione dell’ultimo e definitivo attacco azero al Nagorno-Karabakh (significativo il titolo di un articolo de Linkiestaleggi). In occasione di un incontro trilaterale tra Armenia, USA e UE tenutosi il 5 aprile a Bruxelles, Ursula von der Leyen ha annunciato che a favore di Erevan sarà lanciato “un Piano di resilienza e crescita da 270 milioni di euro in sovvenzioni per i prossimi quattro anni”, come riferito da EUNews (leggi).