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Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 15/06/25

Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali
a cura di Paolo Gozzi
 
Il 3 marzo 2022, una settimana dopo l’inizio dell’aggressione russa all’Ucraina, la Georgia presentò domanda di adesione all’Unione europea.
Con inusuale speditezza, il 17 giugno seguente la Commissione formulò un parere su tale domanda, suggerendo che al paese caucasico fosse offerta una prospettiva di adesione, previo soddisfacimento di alcune condizioni.
Il formale riconoscimento dello status di “paese candidato” da parte del Consiglio europeo seguì nel novembre 2023. (L’intera procedura è dettagliata sul sito della Commissioneleggi.)
Da allora, le forze politiche e la società georgiane si sono profondamente divise sull’opportunità di procedere verso un’adesione all’UE.

La situazione si è ulteriormente complicata da quando il partito filorusso ed euroscettico Sogno georgiano ha vinto (nuovamente) le elezioni nell’ottobre 2024 (ne ha scritto Il Postleggi).
Come ricordato in un articolo dello IARI del febbraio di quest’anno, “Con una posizione strategica al confine tra Russia, Turchia e l’area del Caucaso, la Georgia si trova al centro di dinamiche geopolitiche” (leggi).

Le pressioni esterne cui il paese è sottoposto sembrano influire sul percorso contraddittorio seguito dalla leadership di Tbilisi.
Esattamente un anno fa, dopo l’adozione di una legge “sulla trasparenza dell’influenza straniera” di ispirazione russa, l’UE ha dichiarato che in tal modo si è “determinando di fatto un arresto del processo di adesione” (come riferito da EUNewsleggi). Ora, stando a quanto ha scritto Euronews il 22 maggio 2025, “di recente, i rapporti tra la Georgia e l’Unione europea sembrano essersi distesi, in particolare dopo la partecipazione [del primo ministro] Kobakhidze al vertice della Comunità politica europea in Albania” (leggi).
Pochi giorni dopo tuttavia la tensione tra Bruxelles e Tbilisi è risalita a causa della decisione della Georgia di chiudere il Centro d’informazione UE-NATO: ne ha scritto il Quotidiano nazionale – leggi.
 
Parole chiave: Georgia, Adesione, Rapporti con l’UE
Il piccolo stato di Gibuti, affacciato sul Bāb el-Mandeb, “lo stretto per mezzo del quale il Mar Rosso comunica col Golfo di Aden e con l’Oceano Indiano” (leggi la descrizione della Treccani), ospita basi militari di vari paesi, tra cui l’Italia (sul sito della Camera è disponibile un breve dossier sulla base italiana: leggi).

Sono inoltre presenti Cina, Francia, Giappone, Arabia Saudita e Stati Uniti. Illustra i motivi più evidenti di questo “affollamento” un articolo di Geopop (corredato di un’utile piantina della regione: leggi), nel quale si menziona anche che Russia ed India hanno segnalato interesse per un futuro insediamento, mentre nel recente passato Germania, Spagna e Regno Unito hanno periodicamente stanziato alcuni presidi temporanei nella piccola repubblica.

Potrebbe sorprendere che in questo elenco di paesi non figuri la Turchia, uno dei più attivi ed influenti attori geopolitici della regione mediorientale e nord-africana. In realtà, Ankara non ha bisogno di Gibuti in quanto sin dal 2011 ha un rapporto privilegiato con la confinante (e ben più estesa) Somalia, come ricorda Caffè geopolitico (leggi).
Tale rapporto privilegiato ha portato nel 2024 alla firma di un accordo in materia di cooperazione e difesa (ne ha scritto il CeSPI in un’analisi dettagliata dell’accordo stesso e delle sue implicazioni: leggi).

Ma evidentemente non sono solo gli aspetti di strategia politico-militare ad interessare Erdoğan: un nuovo accordo commerciale è stato ratificato dal Parlamento turco nell’aprile scorso, in base al quale “la Turchia si assicura i diritti sul 90% del petrolio e del gas prodotti dalla Somalia”.
Lo ha riferito Nordic Monitor, una piattaforma di informazione ed analisi gestita da Stoccolma da oppositori dell’attuale Presidente turco, che precisa come “l’accordo [sia] un elemento chiave della strategia turca di apertura verso l’Africa, che identifica la Somalia come un paese prioritario a causa della sua posizione marittima strategica e delle sue risorse energetiche non ancora sfruttate” (leggi).
 
Parole chiave: Corno d’Africa; Gibuti, Somalia, Turchia
Secondo un sondaggio pubblicato dal Guardian il 31 maggio scorso, “il consenso elettorale del Partito Laburista è calato più di quello di qualsiasi altro partito di governo nei primi dieci mesi [dall’insediamento]”. La situazione è vissuta con grande preoccupazione nel partito e “in tale clima febbrile, non sorprende che alcuni ambiziosi ministri del governo stiano valutando le proprie opzioni” (leggi).

Al centro delle difficoltà di Keir Starmer continua ad essere soprattutto la politica in materia di migranti, uno dei cavalli di battaglia degli anti-EU già ai tempi del referendum del 2016, che dipingevano la Brexit come la scelta che avrebbe consentito di “riprendere il controllo” delle frontiere (in una dichiarazione pubblicata sul sito VoteLeave, Boris Johnson affermò: “L’unico modo per riprendere il controllo dell’immigrazione è votare Leave il 23 giugno” – leggi).

A cinque anni dall’uscita del Regno Unito dall’Unione europea, tale controllo è ancora una chimera e laburisti e conservatori si accusano reciprocamente per il fallimento delle rispettive politiche (un esempio dello scambio polemico è stato proposto da Politicoleggi).

Queste difficoltà interne contrastano con il dinamismo del premier britannico sul piano internazionale, anche se, come titolato da European Business Review, “i successi internazionali di Starmer non possono nascondere i suoi grattacapi interni” (leggi).

All’estero Sir Keir ha indubbiamente impresso una scossa alla politica del suo paese, raggiungendo un accordo con l’UE (dettagliato da Politics Home – leggi) e dando nuovo slancio ai rapporti con i leader europei, come plasticamente evidenziato dal viaggio a Kiev con Macron e Merz (riferito da Deutschland.deleggi).

Ma l’obiettivo di Starmer è certo più ambizioso, come indica un articolo di Market Screener (leggi) che pone in evidenza lo sforzo profuso per affrontare la complessità ed interdipendenza dei rapporti con Stati Uniti, Cina ed Unione europea.
 
Parole chiave: Regno Unito, Migranti, Keir Starmer
L’espressione Rivoluzione di velluto (Sametová revoluce in ceco) fu coniata per descrivere il processo pacifico che portò, tra novembre e dicembre 1989, alla fine del regime comunista in Cecoslovacchia.
Il clima teso ma tutto sommato di civile confronto di quei giorni è ben illustrato dal sobrio titolo di prima pagina del Piccolo del 27 novembre 1989: “S’incontrano a Praga regime e opposizioni” (vedi). Un breve sunto degli avvenimenti di quelle settimane si trova su InsideOverleggi.

Pochi anni dopo (1993) la Cecoslovacchia democratica cessò di esistere per lasciar posto alla Repubblica ceca e alla Slovacchia. Anche questa separazione avvenne senza clamori, sebbene alcune difficoltà, in particolare in merito alla gestione delle infrastrutture, effettivamente si presentarono (un conciso excursus è disponibile sul sito SettimanaNewsleggi).

Da allora e per trent’anni i due paesi sono rimasti in ottimi rapporti, ma la situazione si è deteriorata con l’aggressione russa all’Ucraina.
Mentre la dirigenza slovacca e in particolare il Primo ministro populista e filo-putiniano Robert Fico sosteneva il Cremlino, a Praga il premier Petr Fiala ha subito espresso il proprio sostegno all’Ucraina. Un articolo di Deutsche Welle riassume molto chiaramente quanto accaduto e quanto stia ancora accadendo (leggi), segnalando il gelo tra le due capitali, nonostante qualche timido tentativo di ravvicinamento (di cui ha scritto Euractiv: leggi).
 
Parole chiave: Repubblica ceca, Slovacchia, Russia
 
Il vertice di Roma del 3 giugno tra Giorgia Meloni ed Emmanuel Macron ha raggiunto lo scopo di stemperare le tensioni tra Italia e Francia, che erano pericolosamente aumentate, anche per le ripetute intemerate di Matteo Salvini (leggi un esempio riportato dall’ANSA).
Fornisce un’ottima sintesi delle premesse e dei risultati dell’incontro romano un articolo di Marc Lazar su Le Grand Continentleggi.

Un atteggiamento molto diverso da quello del Ministro dei trasporti ha caratterizzato i rapporti con Parigi del Ministro dell’ambiente. Gilberto Picchetto Fratin, da sempre favorevole all’energia nucleare, aveva caldeggiato l’adesione del nostro paese (seppure come “osservatore”) all’Alleanza del nucleare lanciata dal Presidente francese già nel 2023 (leggi su L’Express), dopo che a livello europeo la produzione di energia dall’atomo era stata inserita tra le “attività sostenibili” nell’ambito del Green deal (la notizia venne riportata da Rete ambienteleggi).

Ora, alla prossima riunione del Consiglio energia, l’Italia farà il passo successivo ed aderirà all’Alleanza quale membro a pieno titolo (ne ha scritto il Fatto Quotidianoleggi).
Nel frattempo la Francia, che , come indicano i dati forniti da Energia Oltre (leggi), è un grande esportatore di elettricità, ha riconfermato la volontà di rafforzare il proprio ruolo di leader europeo della produzione elettrica da fonti nucleari. Ha rilanciato la notizia Euractivleggi.
 
Parole chiave: Italia, Francia, Nucleare