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Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 22/06/25

Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali
a cura di Paolo Gozzi
 
Una ricerca pubblicata sulla International Review della Croce rossa nel 2006 (leggi) nota che “storicamente, il diritto internazionale umanitario è stato rivisto in modo sostanziale ogni venticinque o trent’anni” con adeguamenti che “sia attraverso il diritto consuetudinario sia mediante nuovi trattati multilaterali, sono sempre andati nella direzione di una maggiore e più ampia protezione”.

Il testo sostiene anche che gli adeguamenti sono determinati da “conflitti specifici che hanno messo in luce le carenze del diritto esistente”, e fornisce numerosi esempi a supporto di questa tesi. Significativamente, nel titolo si richiama il proverbio francese “à la guerre comme à la guerre” (che può essere reso con “in guerra tutto è permesso”), quasi a suggerire come ogni sviluppo del diritto umanitario prenda avvio da tempi bellici in cui nessuna regola viene rispettata. Chissà cosa ci riserverà quindi il futuro, dopo l’attuale fase in cui l’efferatezza dei conflitti in corso si fa beffe di principi e diritti e, come ha scritto Avvenire, in cui “si combatte anche un’altra guerra […] contro il diritto, i diritti fondamentali, i tribunali internazionali, le Nazioni Unite” (leggi).

La sensazione di impotenza dei cittadini del mondo nei confronti dei casi più lampanti di crimini di guerra (di Putin e Netanyahu ha scritto il Riformistaleggi) non riesce a tradursi in azioni concrete da parte di molti Governi, che preferiscono ignorare le condanne del Tribunale penale internazionale (TPI) e giungono a criticare aspramente l’Istituzione, fino a scegliere di abbandonarla come ha fatto l’Ungheria (leggi quanto scritto in merito dal Legal Bulletin). Ma la crisi della giustizia internazionale è palese non solo per gli aspetti penali, bensì anche per quelli dei diritti universali.

Lo dimostra la lettera di nove Capi di Stato e di Governo dell’UE alla Corte europea dei diritti dell’uomo, in cui quest’ultima è accusata di limitare la capacità degli esecutivi di prendere decisioni in materia di politiche migratorie (leggi quanto riferito dall’AGI, ma leggi anche l’appello degli accademici di Les Printemps du Droit in risposta a tale lettera).
 
Parole chiave: Diritto internazionale, Crimini di guerra, Corte europea dei diritti dell’uomo
 
 
Il breve ma cruento conflitto tra India e Pakistan, innescato da un attentato terroristico contro turisti induisti compiuto nell’aprile scorso nel Kashmir indiano da un gruppo islamista storicamente sostenuto da Islamabad, ha per un momento fatto temere che un’altra guerra stesse per scoppiare tra le due potenze nucleari.

Gli Stati Uniti si sono attivati con successo per un cessate il fuoco (secondo Asia Times per motivi molto concreti, vale a dire non mettere a rischio la base militare di Noor Khan vicino alla capitale pakistana: leggi).
Anche “la Cina, storica alleata del Pakistan, ha osservato la crisi […] con apprensione crescente. Il Corridoio Economico Cina-Pakistan (CPEC), progetto da 62 miliardi di dollari [è uno] snodo centrale della Nuova Via della Seta”, come sottolineato in un bell’articolo di Aspenia online (leggi).

In generale, la grande maggioranza degli osservatori ha posto in rilievo il modo in cui la crisi è stata arginata. Tale aspetto è ripreso anche da un’analisi molto attenta proposta dall’ISPI (leggi), secondo la quale “la risolutezza con cui gli Stati Uniti hanno offerto la propria mediazione segnala da un lato la crescente rilevanza indiana nei dossier globali […], dall’altro i limiti strutturali ancora presenti nella capacità autonoma di gestione regionale”.

Proprio partendo dal rilievo che sta assumendo l’India sul piano geopolitico, l’analisi affronta anche le strategie commerciali di Nuova Dehli e si sofferma in particolare sull’IMEC, “India-Middle East-Europe economic corridor” o “Via del Cotone”, sottolineando le concrete prospettive che potrebbero aprirsi per il porto di Trieste nell’eventualità che il progetto si concretizzasse e Trieste fosse scelta per un ruolo centrale nell’iniziativa.
 
Parole chiave: India, Pakistan, IMEC – Via del Cotone
Era il 2021 quando scoppiò lo scandalo del sofware Pegasus, per mezzo del quale molti governi avrebbero spiato oppositori e giornalisti. “La lista di persone prese di mira includeva oltre 50000 numeri di telefono di oltre 50 paesi, sollevando sospetti sull’uso del software per scopi ben oltre il suo dichiarato obiettivo di combattere il terrorismo e la criminalità organizzata”: così ha scritto il sito della Radio svizzera italiana a proposito della vicenda (leggi).

In Italia l’attenzione si è soffermata soprattutto sul caso di Luca Casarini, fondatore dell’Ong Mediterranea, e del direttore di Fanpage, Francesco Cancellato, come riassunto dal Sole24Ore (leggi).
La notizia si è riverberata anche sui media internazionali: leggi il dettagliato articolo dell’Associated Press.

D’altronde, lo spyware Pegasus è stato protagonista di un ancor più grave scandalo in Grecia nel 2022 (ne scrisse Orizzonti politicileggi) ed ora è al centro di una nuova polemica in Polonia, dove l’emittente TV Republika, vicinissima al partito di destra Diritto e Giustizia – PiS, ha diffuso alcune conversazioni telefoniche del 2019 che mettono in cattiva luce l’attuale Primo ministro Donald Tusk. Come sostiene una breve inchiesta apparsa su Balkan Insight (leggi), le intercettazioni vennero effettuate proprio con Pegasus.
 
Parole chiave: Intercettazioni, Pegasus, Polonia
La puntuale corrispondenza di Stefano Giantin del 17 giugno per i giornali del gruppo Nem (leggi) ha messo in evidenza come l’opinione pubblica serba sia sempre più fredda nei confronti dell’ipotesi di adesione all’Unione europea.
La stessa notizia è stata riportata sul sito del settimanale serbo (indipendente) Vreme con un titolo assai significativo: “Crollo record della fiducia nell’UE: «Cosa gliene importa di noi, che non abbiamo nulla a che fare con loro»” (leggi).

Può essere utile tuttavia esaminare questi dati alla luce di un altro sondaggio di alcuni mesi orsono, pubblicato dalla piattaforma Serbia Compass (finanziata dal governo di Belgrado) dal quale emerge la complessità e, a volte, la contraddittorietà dei sentimenti prevalenti tra i cittadini (leggi). V

a detto che sulla prospettiva di accesso all’UE gravano i tempi lunghissimi dei negoziati: come scrive Giantin nel citato articolo “a contribuire alla freddezza dei serbi verso l’ipotesi adesione anche «la velocità», o meglio la lentezza del processo d’adesione”. Ciò è dimostrato a contrario dalle valutazioni espresse in Montenegro ed Albania, i due paesi la cui prospettiva di adesione appare più vicina, stante lo stato di avanzamento dei negoziati. (Ha analizzato la situazione l’Atlantic Councilleggi).

Nell’ambito di un sondaggio condotto tra marzo ed aprile (i cui risultati sono riassunti sul sito European Western Balkans) “l’83% dei cittadini del Montenegro tende ad avere fiducia nell’UE, mentre il 17% tende a non fidarsi. Anche i cittadini di Albania e Kosovo mostrano un alto livello di fiducia nell’UE: rispettivamente l’80% e il 79%” (leggi).

Per inciso, vale la pena sottolineare che quest’ultimo sondaggio (lo “Standard Eurobarometer 103 - Spring 2025”, parte delle rilevazioni statistiche della Commissione e disponibile sul sito Europa – leggi) mette anche – forse sorprendentemente – in evidenza che tra i cittadini dell’UE si osserva “il più elevato livello di fiducia nell’Unione europea raggiunto in 18 anni e il più forte sostegno mai espresso per l’euro”, come riportato dal sito Stampa Parlamento (leggi).
 
Parole chiave: Serbia, Unione europea, Sondaggi, Eurobarometro
 
 
La straordinaria capacità delle sinistre radicali di trovare sempre buone (?) ragioni per frammentarsi e organizzarsi in correnti via via più minoritarie è stata confermata l’anno scorso quando alcune formazioni aderenti al Partito della sinistra europea (qui il sito) hanno creato l’European Left Alliance (qui il sito).

La fondazione Rosa Luxemburg ha ironicamente commentato che “si potrebbe essere perdonati se non ci si è accorti della creazione della European Left Alliance (ELA) […]. Composta da sei partiti (La France Insoumise, Podemos, il Blocco di Sinistra portoghese, la Left Alliance finlandese, il Partito della Sinistra svedese e l’Alleanza Verde di Sinistra danese), l’ELA sarà ora il secondo partito europeo della sinistra radicale, accanto all'esistente Partito della Sinistra Europea (EL)” (leggi).

Più convinto dell’utilità di fondare una nuova organizzazione in cui far convergere le posizioni più marcatamente di sinistra si è dimostrato il segretario federale della tedesca Die Linke, Janis Ehling, il quale ha affermato che “le scissioni a volte possono essere necessarie per la sopravvivenza”.

Tale opinione, riportata da nd - Journalismus von links (testata erede del Neues Deutschland della DDR – leggi), è stata formulata nel corso del primo congresso della ELA tenutosi in Portogallo il 13 e 14 giugno e di cui ha riferito Euractivleggi.
 
Parole chiave: Sinistra estrema, Settarismo, Alleanza della sinistra europea