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Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 25/06

Il quinto allargamento dell’Unione europea, che tra il 2004 e il 2007 ha portato da 15 a 27 il numero degli Stati membri, è stato innescato dal crollo dell’URSS e dall’esigenza di ancorare solidamente ai valori euro-atlantici i paesi che erano da poco usciti dalla sfera sovietica. Alla vigilia di tale allargamento, al vertice di Salonicco di cui ricorre in questi giorni il ventennale (19-20 giugno 2003) venne sancita solennemente la “prospettiva europea” anche dei paesi dei Balcani occidentali (il testo della Dichiarazione dei Capi di Stato e di Governo è scaricabile qui). Negli ultimi vent’anni, tuttavia, non si è manifestata un’analoga urgenza politica di far confluire nell’UE i Balcani occidentali e il progetto si è di fatto arenato. Ora la guerra in Ucraina ha fatto riemergere in modo dirompente l’importanza del processo e l’allargamento è tornato ad essere una priorità. Ci si è accorti tuttavia che i parametri e le condizioni fissati vent’anni fa non corrispondono più alle esigenze attuali; è sorto quindi quasi spontaneamente un dibattito sui modi e tempi del prossimo allargamento, al quale partecipano i principali leader europei. Ne offre una panoramica un articolo di European Western Balkans (leggi) che prende lo spunto da una recente proposta di Ursula von der Leyen relativa ad un allargamento per fasi.

 

Dopo almeno cinque anni di lavori preparatori, nel 2020 la Commissione aveva presentato agli Stati membri la propria proposta per un nuovo patto su migrazione ed asilo. Sono serviti altri tre anni prima che, l’8 giugno scorso, il Consiglio affari interni adottasse il testo del nuovo “Patto” (disponibile sul sito della Commissioneleggi). Ora quel testo sarà oggetto di negoziato tra Parlamento europeo e Consiglio. Ungheria e Polonia si sono già schierate contro questa prima versione di compromesso e vari altri paesi non l’hanno votata, preferendo astenersi. L’Italia, per bocca del Ministro Piantedosi, si è detta soddisfatta. A ben guardare tuttavia resta forte la sensazione che la ricerca di una formula che permetta di gestire il fenomeno migratorio non stia ancora producendo risultati validi e sostenibili. La lotta feroce all’immigrazione clandestina, bandiera di tutte le destre di tutto il mondo, si rivela così ancora una volta un tentativo inane, incapace di individuare soluzioni efficaci e durature. Una severa critica dell’accordo raggiunto è contenuta in un articolo del sito di notizie online Valigia bluleggi.  

 


Il fatto che la Belt and Road Initiative, lanciata dalla Cina una decina di anni fa (e descritta chiaramente dall’Atlante della Treccanileggi) sia stata ribattezzata in italiano Nuova via della seta ha forse generato in qualcuno un malinteso. L’idea di una “via” che si snoda da Pechino all’Europa attraversando le steppe asiatiche può aver fatto pensare a qualcosa che avanza progressivamente, come la costruzione della ferrovia verso l’Ovest americano nel XIX secolo. In realtà l’iniziativa cinese si basa piuttosto su una serie di interventi circoscritti ma connessi tra loro come i nodi di una rete informatica. In questa prospettiva, il fatto che l’Italia rinnovi o denunci il memorandum concluso nel 2019 (e che sta creando significative tensioni con gli Stati Uniti) è importante per la Cina, ma non fondamentale – salvo per la sua valenza politica. Pechino continua a tessere la sua tela e a cercare nuovo protagonismo in nuove aree d’interesse. Tra queste ultime primeggia recentemente il Medioriente. Dopo aver facilitato la ripresa dei rapporti tra Iran ed Arabia Saudita, adesso la diplomazia cinese sembrerebbe volersi cimentare con il conflitto israelo-palestinese, come scrive Ispionlineleggi.  

 

La stampa internazionale ha dato notevole rilievo alla grande manifestazione del 4 giugno che ha portato in piazza a Varsavia centinaia di migliaia di persone per protestare contro le politiche del Governo, ma l’attenzione per l’evento si è presto ridimensionata. La dimostrazione di forza dell’opposizione polacca è stata tuttavia un fatto non trascurabile. Da quasi 20 anni il partito “Diritto e Giustizia” (Prawo i Sprawiedliwość – PiS) ha monopolizzato la vita pubblica del paese, ma è anche assurto a simbolo (assieme al Fidesz ungherese) della destra più nazionalista e conservatrice nell’Europa del XXI secolo ed ha in un certo senso tracciato la strada ai partiti e movimenti di destra e destra radicale che negli ultimi anni hanno conseguito significativi risultati elettorali in molti Stati membri dell’UE. Pur godendo ancora di ampio consenso nella Polonia profonda, reazionaria e clericale, il successo della manifestazione di inizio giugno è un segnale cui guardare con attenzione. Aiuta a comprendere il contesto da cui tale successo è scaturito un articolo apparso su MicroMegaleggi

 

Durante i lavori per la revisione della direttiva del 2018 sulle energie rinnovabili (disponibile sul sito Eurlexleggi) la Francia, potenza nucleare sia militare che civile, è riuscita a convincere i partner europei ad inserire l’energia atomica tra quelle contemplate dalla politica energetica dell’Unione (ne ha scritto EUNewsleggi). Per l’UE, la revisione della direttiva 2018/2001 persegue principalmente la sostituzione delle fonti fossili con quelle rinnovabili, ma vuole altresì contribuire a ridurre drasticamente la dipendenza dal gas e dal petrolio russi. Molto più difficile sarebbe cercare di ridurre la dipendenza da Mosca anche per il nucleare, in quanto vari paesi dell’Europa orientale hanno in funzione centrali costruite dalla russa Rosatom, che fornisce anche il combustibile e si fa (almeno parzialmente) carico dei rifiuti esausti. Un’indagine puntuale sulla situazione del nucleare in Polonia, Repubblica ceca, Slovacchia ed Ungheria è proposta da Balkan Insight (leggi). Non si può non sottolineare come anche in questo settore la posizione dell’Ungheria si discosti nettamente da quella degli altri paesi, con scelte politiche conflittuali rispetto all’orientamento dell’Unione europea.

 

Un dopoguerra non si improvvisa e, per quanto cinico ciò possa apparire, deve essere preparato mentre la guerra è ancora in pieno svolgimento. Storicamente, uno degli snodi cruciali dell’organizzazione di una ricostruzione post-bellica è la definizione delle compensazioni che l’aggressore (confidando sia lo sconfitto) dovrà versare all’aggredito (sperando sia il vincitore). Ammontare dei risarcimenti e modalità del loro pagamento devono anche essere stabiliti con attenzione e cautela: inutile ricordare l’incidenza che le compensazioni imposte alle potenze centrali dopo la Prima guerra mondiale ha avuto sull’ascesa al potere di Hitler. Per questo deve essere sottolineata l’importanza della decisione del Consiglio d’Europa di istituire formalmente un Registro dei danni causati dall’aggressione russa contro l’Ucraina, strumento essenziale per qualunque meccanismo di risarcimento delle vittime (qui il testo della Risoluzione). Ne ha scritto Linkiestaleggi. Per gli aspetti legali relativi a questa materia si può fare riferimento ad un articolo pubblicato a fine maggio sul sito polacco di analisi giuridiche In Principleleggi.