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Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 30/03/25

 
 
La conferenza che Dialoghi europei organizza il 2 aprile prossimo presso il Circolo della Stampa affronterà un tema non solo di assoluta attualità, ma di grande rilevanza geopolitica. La Turchia, sotto la guida di Tayyip Recep Erdoğan, da anni cerca di ritagliarsi un ruolo di primo piano quale media potenza regionale, con la mal celata ambizione di ricostruire uno spazio neo-ottomano dal Caucaso al Nordafrica.
A parlare degli ultimi sviluppi della situazione nelle piazze e nei palazzi del potere dopo l’arresto del sindaco di Istanbul saranno Federico Donelli, dell’Università di Trieste e il giornalista Pierluigi Franco.
Il prof. Donelli, che già più volte è stato apprezzato relatore ad eventi di Dialoghi europei, si occupa in particolare di Medioriente ed Africa subsahariana. Ha molte pubblicazioni al suo attivo (leggi sul sito Academia.edu) e ancora recentemente un suo contributo sulla situazione in Sudan è stato proposto dalla piattaforma giornalistico-accademica The Conversationleggi).
Il dott. Franco, dopo essere stato per lunghi anni capo del servizio Mediterraneo e Medioriente dell’ANSA, continua a seguire la politica internazionale. Nel settembre 2024 ha presentato a Trieste il suo libro su Gorbačëv (come riferito da RTMnewsleggi); più recentemente un suo ritratto di Viktor Orbán è apparso sul sito Krisis (leggi).
Una breve ma utile analisi (in inglese) della situazione in Turchia è stata proposta dall’inviato del New York Timesascolta.
 
Il ricorso ad un indebitamento comune per rilanciare l’economia europea colpita dalle conseguenze dalla pandemia di Covid19 è stato considerato da molti il primo passo verso un nuovo approccio al finanziamento di iniziative europee (nel 2021 un articolo dell’ISPI ha ben illustrato il significato dell’emissione di eurobond per i programmi SURE e Next Generation EUleggi).
Per il momento tale modello non è ancora stato riproposto, ma parlarne non è più un tabù: lo ha preconizzato Mario Draghi nel suo rapporto sulla competitività (ne ha scritto Fortune Europeleggi) ed è riemerso nel dibattitto sugli investimenti per la sicurezza. Il tema è destinato a ritornare al centro dell’attenzione, proprio per la necessità che ha l’Unione di attuare politiche assai costose sia per rilanciare la competitività della propria economia (Draghi ha ipotizzato uno sforzo da 800 miliardi), sia per mettere in piedi un sistema di difesa europea (e in questo caso è von der Leyen ad aver parlato di altre centinaia di miliardi – ne ha scritto il Sole24Ore: leggi).
Di questo non può non tenere conto il dibattito ormai lanciato sulla definizione del cosiddetto Quadro finanziario pluriennale (QFP) 2028-2034, il bilancio previsionale a lungo termine dell’UE che definisce (in modo rigido, essendo disciplinato dall’articolo 312 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europealeggi) le modalità di finanziamento e i margini di spesa comunitari (spiega cos’è il QFP il sito del Parlamento europeoleggi).
Sul lato delle entrate, già si discute sul modo di incrementarle proprio per poter far fronte alle crescenti esigenze di spesa. Tra l’altro, va sottolineato che nei prossimi anni il bilancio comunitario dovrà coprire costi del tutto nuovi: a partire dal 2028 infatti dovranno cominciare ad essere rimborsati i prestiti comuni contratti per finanziare il NextGenEU, pari a 25-30 miliardi di euro all’anno. Illustra con chiarezza molti aspetti e criticità della preparazione del QFP 2028-2034 un articolo pubblicato da The New Federalist (leggi).
Parole chiave: UE, Bilancio pluriennale, eurobond
In un articolo di fine gennaio 2025, Il Caffè Geopolitico sintetizzava in termini molto chiari la débâcle della Francia nell’Africa sahariana e sub-sahariana, dove per decenni aveva di fatto svolto un ruolo pervasivo di controllo post-coloniale.
A privare Parigi di tale controllo è stata soprattutto l’azione non sempre visibile ma costante della Russia (leggi).
La dinamica così innescata non sembra destinata ad esaurirsi in tempi brevi. Significativamente, come per tutti i cambiamenti epocali, vengono rimessi in discussione non solo i principi ideologici (dall’alleanza con Parigi a quella con Mosca), ma anche quelli economici e culturali.
Dal 1975, l’ECOWAS (Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale) è stata uno strumento volto a “promuovere l’ideale dell’autosufficienza collettiva dei suoi Stati membri” e a perseguire “lo scopo di creare un unico e ampio blocco commerciale attraverso la cooperazione economica” (leggi sul sito dell’Istituzione; un’ampia scheda dell’ISPI illustra con l’abituale chiarezza ruolo ed importanza di questa comunità economica africana: leggi). Mali, Burkina Faso e Niger, tutti retti da giunte militari dopo colpi di stato “atipici” (AfricaRivista sostiene addirittura – senza addurre prove – che si tratti del “frutto di una pianificazione strategica”: leggi) hanno ora abbandonato definitivamente l’ECOWAS con una scelta che “infligge un duro colpo all’architettura dell’integrazione e della cooperazione regionale africana”, come ha scritto il think-tank Amani Africaleggi.
Parallelamente, il Niger e il Burkina Faso si sono ritirati anche dall’Organizzazione Internazionale della Francofonia, “un’istituzione dedicata dal 1970 alla promozione della lingua francese e alla cooperazione in materia di politica, istruzione, economia e cultura tra i 93 paesi membri” (così il sito ufficiale: leggi).
Il significato di questo ritiro – assai doloroso per la Francia – è illustrato da un articolo di Le Monde Afriqueleggi.
Parole chiave: Africa occidentale, Francia, Russia
È oggi impossibile parlare di Balcani senza parlare in particolare di Kosovo (ne ripercorre sinteticamente la storia l’Enciclopedia Treccanileggi).
Il 9 febbraio scorso il paese è andato alle urne per eleggere il nuovo parlamento. Il partito Vetëvendosje del Primo ministro uscente Albin Kurti è stato quello più votato, ma non è riuscito ad ottenere la maggioranza assoluta dei seggi come nel 2021 (i risultati sono su Internazionaleleggi).
Si deve quindi andare verso la formazione di una coalizione, obiettivo di per sé arduo in un contesto di conflittualità interna e di una posizione esterna obiettivamente difficile. Secondo un analista politico locale citato da Eurasia Press & News: “il Kosovo ha bisogno di un governo che riformi radicalmente la sua politica estera. In questa fase, la politica estera significa sicurezza nazionale, sovranità e stabilità dell’indipendenza del Kosovo” (leggi).
La sfida non è di poco conto, con cinque Stati membri dell’UE che non riconoscono l’indipendenza del paese (lo ricordava Linkiesta, sottolineando che la Spagna è tra questi: leggi). D’altra parte, una rapida definizione degli assetti istituzionali è necessaria al Kosovo anche per poter beneficiare degli aiuti europei, come sottolinea il sito di notizie Katorleggi.
Una soluzione non sembra tuttavia essere alle viste: pessimistica è l’analisi del portale per la comunità serba (ma con finanziatori occidentali) Kossev, secondo il quale potrebbe essere necessario un ritorno alle urne: leggi.
Parole chiave: Kosovo, elezioni, governo
 
 
Non è ancora finito il primo quarto di questi anni 2000, eppure in Europa sembra di vivere in quell’atmosfera ottocentesca fin de siècle percorsa da un senso di declino, crisi e transizione verso qualcosa di sconosciuto.
Si cerca di capire se i nostri pensieri individuali siano condivisi da altri, se il nostro personale smarrimento sia anche quello di chi ci sta intorno. Razionalmente, diventa interessante analizzare l’opinione dei cittadini rilevata da fonti statistiche serie e scientifiche.
È appena stato pubblicato il sondaggio dell’Eurobarometro, l’indagine demoscopica più importante condotta a livello europeo. Il risultato più significativo, e forse anche più sorprendente, è che “il tasso di approvazione dell’UE raggiunge il 74%, un livello record dal 1983”, come ha titolato Euractiv (leggi). In tale scenario, spicca il relativo euroscetticismo degli italiani: ne scrive EUNews che sintetizza la notizia con un perentorio “L’Unione europea? Agli italiani piace poco”, anche se poi segnala che in realtà rispetto ad un anno orsono “c’è […] un 4 per cento di italiani che passa dalla categoria ‘non so’ alla categoria ‘il Paese ha beneficiato’ dallo status di stato membro” (leggi).
Un altro sondaggio molto interessante, centrato sul giudizio dei cittadini europei in merito al mutato scenario internazionale dopo l’inizio della nuova presidenza Trump, è stato pubblicato dal Groupe d’Études Géopolitique (leggi).
Anche in questo caso, la posizione degli italiani si differenzia per molti aspetti da quella espressa negli altri paesi: sul pericolo di guerra in Europa, sul giudizio su Trump, sull’estensione dell’ombrello nucleare francese, ma soprattutto “l’Italia si distingue [per essere] l’unico paese del sondaggio in cui la maggioranza (59%) si oppone a un incremento dell’impegno militare a sostegno dell’Ucraina”.
Parole chiave: Crisi di valori, Eurobarometro, Apprezzamento UE