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Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 01/10

L’accoglimento preliminare della domanda di adesione dell’Ucraina con la concessione dello status di paese candidato ha decretato l’impellenza di una riflessione sulla riforma dell’Unione europea. Avere un candidato impegnato in una guerra di difesa della propria integrità territoriale implica che, appena i combattimenti cesseranno, l’UE si troverà nell’obbligo (non solo morale) di procedere speditamente con l’adesione, in modo da evitare il possibile riesplodere del conflitto. L’Ucraina non potrà certo rimanere nell’anticamera in cui sono confinati da vent’anni i Balcani occidentali. Poiché è impensabile che strutture e procedure attualmente esistenti possano funzionare in un’UE allargata a oltre trenta membri, si è ormai fatta strada nelle cancellerie la sensazione che il cambiamento non è più auspicabile, ma necessario. Il discorso ruota sovente attorno all’idea di rinunciare alle decisioni adottate all’unanimità in modo da snellire il funzionamento istituzionale ed evitare atteggiamenti ricattatori da parte di singoli stati. C’è tuttavia (in particolare in Francia) chi, con serietà d’intenti, ritiene questo aspetto tutto sommato marginale, come evidenzia un interessante articolo di un ex consigliere di Emmanuel Macron su Internationale Politik Quarterlyleggi

 

Il brutale e sbrigativo intervento con cui l’Azerbaijan si è impossessato dell’enclave armena del Nagorno-Karabakh è finito sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo. Dopo anni di conflitto a bassa intensità, intervallato da sporadici atti di guerra di portata comunque contenuta, è bastata un’azione decisa da parte del contendente con maggiori appoggi internazionali e la geografia della regione è forse cambiata per sempre. Molti osservatori hanno riferito come il momento dell’attacco azero corrisponda alla scelta russa di non ergersi più a paladina dell’Armenia, lasciando di fatto Erevan in balia dei nemici storici. Queste interpretazioni sembrano tuttavia concentrarsi sui fatti contingenti, tralasciando la visione generale delle implicazioni geopolitiche che interessano non solo il Caucaso, ma l’Iran, la Russia, la Cina e soprattutto quel nucleo di stati ex-sovietici dell’Asia centrale, sempre più consapevoli della propria importanza strategica. Spiega con chiarezza la posta in gioco un articolo di Forbes (leggi), che contiene al suo interno utili link per chi volesse ulteriormente approfondire il tema.

 

Forse è troppo presto per parlare di una vera e propria rifondazione dell’ordine mondiale e probabilmente non ci sarà un nuovo Congresso di Vienna, né una nuova Jalta che modificheranno le carte geografiche con un tratto di penna. Eppure, i segni che qualcosa si muova in quella direzione si stanno materializzando anche in quel Medioriente che ci siamo abituati a considerare la principale fonte di instabilità nel nostro spicchio di mondo. A trent’anni dagli accordi di Oslo (ricordati dall’ISPIleggi), con la società israeliana lacerata al proprio interno e con i palestinesi più deboli e divisi che mai, ecco che emergono alla luce del sole trattative dirette tra Israele e Arabia Saudita (ne parla liberamente Mohammed bin Salman con la BBCleggi). Nel frattempo, il siriano Bashar al-Assad si sente rassicurato e non teme più il ripetersi della rivolta che stava per abbatterlo (un’analisi della situazione attraverso gli interventi della stampa araba è proposta dalla Fondazione Oasisleggi). E Pechino lo accoglie con tutti gli onori, come racconta Formiche.netleggi.

 

Lo scorso dicembre, il Collins English Dictionary scelse permacrisi come “parola dell’anno” 2022. Il termine definisce un “prolungato periodo di insicurezza e instabilità” e in verità sembra caratterizzare tutta l’età in cui viviamo e non solo il 2022 (questo è anche il punto di vista di un bell’articolo del Guardianleggi). Le permacrisi sono state anche al centro dell’analisi condotta dal World Economic Forum, che ha portato alla pubblicazione del Global Risk Report 2023 (la sintesi è scaricabile qui). Sorprende anche in questo caso la disparità tra la capacità di leggere la realtà e di criticare molte scelte adottate dai Governi (ad esempio sull’allentamento delle misure di lotta al cambiamento climatico), e la scarsa incisività o addirittura la vaghezza delle alternative proposte. Geopolitica.info ha proposto una lettura delle principali conclusioni del Risk Report, delineando quattro scenari futuri: leggi.

 
 

Quando nel 1974 il regime dei colonnelli greci tentò di favorire un colpo di stato a Cipro, la Turchia reagì inviando proprie truppe sul territorio ed occupando la parte settentrionale dell’isola. Su tale parte istituì la cosiddetta Repubblica turca di Cipro nord (RTCN), tuttora riconosciuta solo da Ankara. L’esistenza di questa entità semi-statuale ha fin da allora costituito uno dei principali ostacoli alla soluzione della crisi cipriota, che ormai si trascina da quasi cinquant’anni, tra appelli sempre più retorici e nessun progresso degli sporadici negoziati. In queste circostanze, fa notizia qualsiasi piccolo movimento o dichiarazione che possa far immaginare una variazione dello statu quo. È questo il caso di una frase alquanto sibillina pronunciata dalla portavoce del Cremlino Maria Zacharova, secondo la quale Mosca si appresterebbe a fornire “servizi consolari” ai suoi cittadini presenti nella Repubblica turco-cipriota (come riportato dal Financial Mirror di Nicosia: leggi). L’iniziativa russa ha suscitato preoccupazione anche in Grecia, che teme che l’attivismo della Turchia in politica estera induca qualche alleato di Ankara (l’Azerbaijan innanzi tutto, ma anche il Pakistan) a riconoscere la RTCN, come scrive l’edizione cipriota di Kathimerinileggi.

 

Nei futuri libri di storia, quando sarà evocata l’invasione russa dell’Ucraina del 24 febbraio 2022, molto probabilmente si citerà anche la frase pronunciata pochi giorni dopo dal Cancelliere tedesco Scholz: “Der 24. Februar 2022 markiert eine Zeitenwende in der Geschichte unseres Kontinents” (il testo del discorso è sul sito del Governo tedescoleggi). Come per decenni la parola Ostpolitik ha segnato un’epoca delle relazioni tra Germania e Russia e addirittura tra Occidente e mondo sovietico, così Zeitenwende è destinato a diventare il termine che segna il cambiamento di approccio più radicale, quello che mette fine a quell’epoca. Molto si è già scritto e ancora si scrive in Germania a proposito di questa “svolta storica” e, per un paese che non ha paura di analizzare i propri errori, l’opportunità è grande di scandagliare tutti i passati “cedimenti” nei confronti di Mosca per ricavarne vantaggi economici. Un excursus dei più importanti testi pubblicati sul tema è presentato da Huffingtonpost.itleggi.