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Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 02/07

La decisione dell’UE di concedere lo status di paese candidato all’Ucraina trova evidentemente fondamento in considerazioni di carattere politico e geostrategico legate all’aggressione russa. Interessante sarà vedere come, cessato il conflitto, si concretizzeranno i negoziarti di adesione e, soprattutto, come saranno realizzate le riforme istituzionali indispensabili per fare del paese uno Stato membro. Anche se non confrontata alle devastazioni di una guerra, non molto diversa è la situazione della Moldavia, anch’essa diventata “paese candidato” unitamente all’Ucraina (la decisione del Consiglio del giugno 2022 è disponibile qui). Oltre ad essere il paese più povero d’Europa, la Moldavia deve anche fare i conti anche con la contrapposizione interna tra le correnti pro-occidentali e quelle filo-russe, forti, queste ultime, anche tra i non russofoni. Le principali sfide che la Moldavia dovrà affrontare sono il soggetto di un articolo di Ispionlineleggi.

 

Il mito dell’underdog che Giorgia Meloni ha iniziato ad utilizzare fin dal momento della vittoria elettorale del settembre 2022, presuppone l’esistenza di avversari agguerriti e magari anche infidi. C’è un sentore, in questa narrazione meloniana, di un altro vecchio mito italiano: quello della vittoria mutilata, che alla fine della Prima guerra mondiale dipinse l’Italia come umiliata e defraudata dai potentati europei. A ben guardare tuttavia, più che una vittoria dell’underdog, il successo elettorale della destra italiana si inquadra in una generale crescita delle destre europee che caratterizza questa fase storica. Portata al governo in molti paesi in un modo che ha probabilmente sorpreso i suoi stessi esponenti, la destra deve ora rapidamente affinare alcuni strumenti ideologici che sostengano il suo agire politico, evitando il richiamo diretto alle esperienze del ventesimo secolo. Il quotidiano online liberal-conservatore L’Occidentale, della Fondazione Magna Carta di Gaetano Quagliariello, ha pubblicato un breve ma interessante articolo (leggi) dedicato a questo tema. Secondo l’articolo, il filosofo britannico Roger Scruton va considerato il nume tutelare della nuova destra conservatrice. Avvenire intervistò Scruton nel 2012: leggi.

 

Nell’ambito della politica di allargamento dell’Unione europea, un passaggio-chiave nello sviluppo di relazioni sempre più strette con Bruxelles è la conclusione di accordi di “associazione e stabilizzazione”. La firma di tali accordi è la premessa per la concessione di ingenti finanziamenti a favore del paese interessato, per agevolarne il percorso di avvicinamento all’Unione. Tuttavia, trattandosi sempre di paesi con istituzioni ancora fragili, l’aspetto “stabilizzazione” è andato assumendo un’importanza crescente, al punto che in ossequio alla stabilità molto viene “perdonato” alle élites politiche. Un’analogia con tale situazione si registra anche nei rapporti con altri paesi terzi, come è il caso della Tunisia, dove i dubbi nei confronti del Presidente Saïed non mancano, ma Capi di Governo (in primis Meloni) e persino la Presidente della Commissione si prodigano per facilitare la concessione degli aiuti finanziari del FMI al fine di garantire la stabilità del paese in un’ottica di contenimento dei flussi migratori. Vari aspetti della situazione sono illustrati in un articolo pubblicato dall’Istituto Affari Internazionalileggi

 

Con i cosiddetti “criteri di Copenhagen” (disponibili sul sito Eurlex: leggi), l’UE ha fissato i principi fondamenatli cui deve aderire ogni paese che intenda diventar membro dell’Unione. Tra di essi figura l’esistenza di “un’economia di mercato affidabile”. Questa esigenza del resto vale anche per tutti i paesi che vogliano concludere accordi di associazione con l’UE, come ha fatto l’Ucraina già nel 2014 (il testo completo è disponibile qui). Da allora, molte sono state le sollecitazioni da parte dell’Unione per spingere Kiev a riformare la propria economia ancora profondamente gravata dalle rigidità sovietiche e condizionata da pratiche corruttive, da connivenze col potere politico e dall’agire di oligarchi senza scrupoli. Dal 2014 in poi ben poco tuttavia è cambiato. Ora però, nella prospettiva dell’enorme sforzo di ricostruzione postbellica, la situazione dovrà evolversi, non fosse altro perché ingenti fondi verranno da donatori o investitori esteri, più refrattari a farsi coinvolgere in operazioni opache. Molto interessante è un articolo apparso sul sito Politico.eu (leggi) che si sofferma proprio sull’importanza dell’interazione tra capitali pubblici e privati per il successo della ricostruzione. 

 

La parabola politica di François Hollande si è conclusa alla fine del suo primo (e unico) mandato presidenziale, quando (2017) ha deciso di non ricandidarsi. Non sarà certo annoverato tra i Presidenti più amati dai francesi; ma resta il fatto che per il ruolo ricoperto per un quinquennio ha avuto modo di vivere da protagonista e in qualche modo di condizionare la politica europea ed internazionale. Dopo anni si assenza dalla scena pubblica, la sua lettura degli avvenimenti attuali è ancora particolarmente lucida. In una lunga intervista pubblicata (anche in italiano) da Le Grand Continent, Hollande spazia su molti argomenti di politica estera (meno su quelli di politica interna francese) proponendo alcune interessanti interpretazioni: dalla definizione degli accordi di Minsk del 2014 come utili solo a mantenere la “finzione dell’integrità territoriale ucraina”, all’analisi della crescita delle destre in Europa, con l’aumento dell’illiberismo e il pericolo di un sovranismo che porti alla “disobbedienza” nei confronti di quanto deciso in sede di Istituzioni europee: leggi

 

Adesso che Erdoğan è stato rieletto per un altro mandato quinquennale, è possibile che l’arroganza che ha tante volte dimostrato nei rapporti con i suoi interlocutori lo porti ad inasprire ulteriormente le proprie posizioni. L’indubbia intelligenza politica del “sultano” potrebbe però anche suggerirgli di adottare un approccio meno aggressivo, soprattutto considerando la gravità della situazione economica della Turchia (di cui ha scritto, tra i molti, anche il Wall Street Italialeggi). Nella possibilità di avviare qualche forma di dialogo bilaterale sembra sperare Kyriakos Mitsotakis,  anche lui riconfermato nella sua funzione di Primo ministro in Grecia, per allentare le tensioni tra le due sponde del mare Egeo (è quanto auspica il quotidiano moderato Kathimerinileggi). Ma alcune voci suggeriscono che anche la questione di Cipro potrebbe riaprirsi, come afferma un articolo (leggi) di Turkish Minute, sito gestito da giornalisti turchi fuggiti dal paese per poter svolgere liberamente il loro lavoro.