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Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 04/02

"Vi ricordiamo l'appuntamento di martedì prossimo,  6 febbraio, alle 17:30 al Circolo della Stampa, nel quale ci chiederemo quale possa essere "una nuova fase dell'Unione europea", anche in vista delle elezioni del nuovo Parlamento europeo a giugno. Qui il vostro invito"

 


Quando nell’estate 2008 la Russia prese il controllo definitivo delle regioni georgiane dell’Abkhazia e dell’Ossezia meridionale, Vladimir Putin e George W. Bush erano entrambi a Pechino per assistere ai giochi olimpici. Con l’inizio del conflitto il primo rientrò a Mosca, mentre il Presidente americano non modificò il proprio programma, assistendo a gare e incontrando atleti statunitensi (ne riferì allora la NBCleggi). La differenza di comportamento si è simbolicamente riflessa nell’accettazione tutto sommato pacifica dell’occupazione de facto russa delle due piccole Repubbliche separatiste, con varie analisi apparse all’epoca pronte a riconoscere alcune buone ragioni di Mosca (lo “spirito dei tempi” di quell’anno 2008 è ben reso nell’ampia ricerca pubblicata dal Peace Research Institute di Francoforte: leggi). L’attacco all’Ucraina del 2022 ha smantellato molti di tali convincimenti (è stato un “punto di svolta” – forse più efficacemente in inglese, un “game changer” – come scrive il portale Internationale Politikleggi). Da questo punto di vista, l’accettazione della domanda d’adesione della Georgia all’UE nonostante gli enormi problemi del paese (oltre alla mancanza di controllo su una porzione del territorio, anche la scarsa condivisione di alcuni dei valori fondanti dell’Unione, come ricorda Orizzonti Politicileggi) può essere considerata una delle più decise mosse politico/strategiche nei confronti della Russia. Questo aspetto è ben sviluppato nell’articolo pubblicato un paio di mesi fa dal Carnegie Endowment for International Peace leggi.

 

Il sottotitolo di un articolo apparso il 21 dicembre scorso sul sito di Politico.eu e dedicato alla “rivoluzione verde”, si chiedeva se “la lotta contro il cambiamento climatico può sopravvivere al proprio successo” – leggi. Nel testo si osservava che “come ogni rivoluzione industriale del passato, anche questa produce perdenti”. I blocchi stradali e le manifestazioni eclatanti di agricoltori in tutta Europa sono il segnale inequivocabile che alcuni comparti della società iniziano a percepirsi come perdenti, vittime sacrificali di una trasformazione epocale dei modi di produrre e di vivere. E la reazione mette nel mirino il “Patto verde” europeo (leggi), come argomenta il sito La nuova bussola quotidiana (leggi). Eppure, secondo la vicepresidente dell’Associazione dei giovani rurali tedeschi Anne-Kathrin Meister (citata da un articolo pubblicato sul sito greatitalianfoodtrade.itleggi), “gli agricoltori non si oppongono alle riforme ambientali (…) ma hanno bisogno di maggiore sostegno perché le misure ambientali hanno un prezzo”. Su questi temi si sta approfondendo nell’UE la divisione tra forze politiche. Sembra in particolare che i partiti di destra siano pronti ad appoggiare incondizionatamente le proteste contro il Green Deal (come segnala Euronewsleggi). D’altra parte, va sottolineato come anche esponenti della destra conservatrice siano tra i firmatari di una lettera inviata alla Commissione europea per invitarla a fissare un ambizioso obiettivo di riduzione delle emissioni per il 2040. Ne ha riferito Politico.eu (leggi) e, in italiano, EUNews (leggi), che evidenzia come l’Italia non si sia associata all’iniziativa.

 

Periodicamente le cronache sulle migrazioni attraverso il Mediterraneo spostano la propria prospettiva geografica. Ci sono momenti in cui vengono privilegiati i luoghi di approdo in Europa, con attenzione agli sbarchi perigliosi o ai centri di accoglienza sovraffollati, altri in cui la situazione è osservata dalla sponda africana del Mediterraneo, dai porti di partenza dove i migranti si contendono un posto a bordo di barche e gommoni. Ultimamente sembra stia prevalendo il secondo approccio, anche perché alcune dinamiche sono effettivamente in atto nei due principali paesi da cui partono i migranti, Tunisia e Libia. L’accordo (ne parlò anche Al Jaazeraleggi) siglato in estate dal presidente tunisino Kaïs Saïed con la Commissione e il Governo italiano sta funzionando, nel senso che le autorità di Tunisi stanno effettivamente bloccando molte partenze (ne ha scritto il Sole24Oreleggi). Considerando tuttavia che la pressione migratoria complessiva non diminuisce, al calo del flusso dalla Tunisia si contrappone una ripresa di quello dalla Libia, come riferisce un articolo di Formiche.net: leggi.

 

Secondo il sociologo tedesco Theodor Geiger, citato da un articolo apparso sul sito Open Polis (leggi), la “nazione” corrisponde ad “un’unità sociale che trascende i vincoli puramente giuridici dello stato”. Giorgia Meloni, coerentemente con il proprio retroterra politico-culturale, è sempre stata molto attenta ad utilizzare il termine “nazione” anziché il più prosaico “paese”, suffragando in un certo senso il suo (legittimo) sentimento nazionalista. In Italia, la sovrapposizione quasi assoluta tra i confini dello Stato e quelli della nazione ci consente di analizzare la scelta lessicale per quello che è. Non così purtroppo in altri paesi, dove il nazionalismo cresce su ben altro terreno. Vladimir Putin ha dapprima rivendicato la sovranità territoriale sulle terre abitate da russi e poi ha agito di conseguenza (“Nel cuore e nelle menti del popolo, la Crimea è sempre stata parte integrante della Russia” sono state le sue parole il 18 marzo 2018, come riportato dal sito ufficiale del Cremlino: leggi). Ora l’estrema destra magiara rivendica – senza ipocrisia ma anche senza pudore – le terre ucraine in cui vive una minoranza ungherese: beninteso nel caso di vittoria russa! Lo scrive Europa Today (leggi).

 

Un vecchio articolo del Chicago Tribune pubblicato a fine 1992, mentre la guerra infuriava nell’ex-Iugoslavia (leggi), ben testimonia come all’epoca l’economia dei Balcani (tanto quella ufficiale, quanto quella sommersa) fosse incardinata sull’uso del marco tedesco. In Kosovo tale uso fu formalizzato appena raggiunta la “pacificazione” e avviata la Missione di Amministrazione ad interim delle Nazioni Unite in Kosovo – UNMIK, prevista dalla risoluzione 1244 (1999) del Consiglio di sicurezza dell’ONU (leggi). La decisione di UNMIK (leggi) di adottare il Deutsche Mark come valuta a corso legale in Kosovo avvenne previa semplice “informazione” della Bundesbank (come precisato in un bollettino economico della Commissione del 2006: leggi). Analogamente, UNMIK sostituì il marco con l’euro semplicemente “informando” la BCE (ibidem), anche se quest’ultima in realtà contribuì significativamente alla transizione (come si evince da un intervento ad una conferenza organizzata nel 2005 dalla Banca di Albanialeggi). I kosovari serbi hanno sempre rifiutato questo approccio e continuato ad usare il dinaro di Belgrado, ma le autorità di Pristina intendono mettere fine a questa “disomogeneità” ed imporre l’uso esclusivo dell’euro, come ha ampiamente riferito anche Il Piccolo. La decisione aggrava la situazione nella regione e preoccupa la comunità internazionale, come riportato dall’ANSAleggi.

 

L’articolo 15 del Trattato sull’UE, relativo al Consiglio europeo e al suo Presidente (leggi da EURLex), è redatto in termini sufficientemente generici da offrire a quest’ultimo la possibilità di imprimere, nell’esercizio delle proprie funzioni, precisi indirizzi alle politiche dell’Unione. Poi ovviamente molto dipende dalla statura politica dell’uomo o della donna chiamati a svolgere tali funzioni. Il liberale belga Charles Michel, ex Primo ministro del suo paese (come già il padre, cosa a suo tempo segnalata in negativo sul sito liberale francese Contrepointsleggi) che dal 1° dicembre 2019 ricopre la carica di Presidente del Consiglio europeo, non lascierà un segno imperituro nella storia dell’Istituzione. Semmai se ne ricorderà la gaffe al limite della maleducazione, quando rimase seduto accanto ad Erdoğan mentre ad Ursula von der Leyen era stata negata una sedia (si giustificò poi goffamente, come riportato dall’AGIleggi). E di certo non verrà scordato l’annuncio della decisione di dimetteresi per partecipare alle prossime elezioni europee (questo scrisse EUNewsleggi), smentita pochi giorni dopo con una clamorosa “inversione di marcia”, come riportato da Euractiv.it (leggi). Alla vigilia del vertice straordinario del 1° febbraio che lo stesso Michel ha convocato, il sito Politico.eu (ben introdotto negli ambienti di Bruxelles) ha pubblicato un articolo impietoso: leggi.