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Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 05/11

Ricordiamo a soci e simpatizzanti l'assemblea generale di Dialoghi Europei di martedì 14 novembre, alle 17:30, presso la sede InCE di Via Genova 9, Trieste.
Un'occasione per conoscerci meglio, fare il punto sulle nostre attività e sentire le vostre opinioni. Qui troverete il vostro invito
 

A venti mesi dall’inizio dell’aggressione russa e nonostante il crescente numero di vittime, la guerra in Ucraina sembra essere entrata in una fase di stallo: se è miseramente fallito il tentativo putiniano di una Blitzkrieg, non sembra aver incontrato miglior sorte la lungamente preannunciata controffensiva di Kiev. Nel frattempo le diplomazie dei due paesi si muovono, ciascuna secondo i propri obiettivi e le proprie capacità. Per gli ucraini è ancora fondamentale assicurarsi sostegno (e forniture militari) da parte dell’occidente. Per la Russia, si tratta di sfruttare al meglio la ragnatela di legami con paesi terzi tessuta ancora in epoca sovietica. Tale ragnatela è già stata rivitalizzata nell’intento di neutralizzare gli effetti delle sanzioni, ma si sta ampliando con la proposta di intensificare le collaborazioni economiche, facendo leva su due elementi: assenza di condizionalità da parte russa (nessuna richiesta di rispetto dei principi democratici o di difesa dei diritti umani) e condivisione di valori morali e sociali “tradizionali” (strenuamente difesi in molte parti del mondo). I Balcani, con i quali Mosca ha sempre ritenuto di avere un rapporto privilegiato in virtù della comune appartenenza al mondo slavo e all’ortodossia, sono naturalmente oggetto di questo tipo di “attenzioni” russe. In un’intervista pubblicata sul portale European Western Balkans, Hanna Notte (membro anziano del Center for Strategic and International Studies di Washington) traccia con grande chiarezza un quadro particolareggiato della strategia adottata dalla Russia per estendere la propria sfera d’influenza: leggi.

 

Nel vocabolario Treccani, al lemma “fonderia” si fa ancora esclusivo riferimento alla lavorazione dei metalli (leggi). Da vari anni tuttavia il termine (calco dall’inglese foundry) è utilizzato anche per indicare impianti che forniscono servizi di approvvigionamento di semiconduttori e/o di confezionamento dei chip (la nomenclatura in uso nel settore è riportata dal sito Comeaprire.comleggi). Non è quindi un caso che il nuovo regolamento comunitario inteso a “rafforzare l’ecosistema europeo dei semiconduttori” (entrato in vigore il 21 settembre scorso e disponibile su EurLexleggi) citi oltre cinquanta volte la parola “fonderia”. Questo regolamento, la cui adozione non è stata molto mediatizzata vista anche la tecnicità di alcuni aspetti trattati, rappresenta in realtà un’iniziativa di rilievo assoluto per l’UE, al momento relegata agli ultimi posti nella classifica mondiale dei produttori di semiconduttori (dominata da Taiwan). Aiuta a comprendere la fondamentale importanza di questa iniziativa un articolo di Wired.itleggi. Sempre di carattere divulgativo è anche il testo apparso sul sito Agendadigitale.euleggi.

In presenza di conflitti che stanno causando migliaia di morti, può sembrare quasi blasfemo evocarne uno forse relegato per sempre ai libri di storia, come quello nordirlandese. Eppure l’“Accordo del Venerdì Santo” dell’aprile 1998 non sembra essere stato completamente introiettato da tutti i membri delle due comunità, offrendo così spazio a strumentali uscite polemiche da parte di alcune forze politiche. Riprendendo un suggerimento già ventilato in passato, il Ministro per l’Irlanda del Nord del Governo britannico, Steve Baker, ha sostenuto che un eventuale referendum sull’unificazione irlandese dovrebbe prevedere una maggioranza del 60 o del 70%, e non una maggioranza semplice del 50%+1 (ne ha scritto il Belfast Telegraphleggi). Gli ha subito risposto il vice-premier del Governo di Dublino, giudicando irricevibile la proposta, come riportato dalla BBC (leggi). Va detto che sebbene gli indipendentisti irlandesi di tanto in tanto lo invochino, al momento non è nemmeno immaginabile l’organizzazione di un tale referendum, come chiarito anche dal leader laburista Keir Starmer, grande favorito per le prossime elezioni nel Regno Unito (ha riferito in merito il sito breakingnews.ieleggi).

 
 

Assai pochi lo conoscevano in Grecia, ancor meno all’estero. L’elezione di Stefanos Kasselakis a leader di Syriza dopo le dimissioni di Alexis Tsipras è stata una sorpresa assoluta. Sarà interessante seguire il percorso politico che intraprenderà il trentacinquenne greco-americano scelto dagli iscritti di Syriza. Armatore milionario con base in Florida e un passato in Goldman Sachs, sembra che la sua iniziativa più di “sinistra” sia stata finora la partecipazione come volontario alla campagna presidenziale di Joe Biden. Della vittoria di Kasselakis ha scritto l’Agenzia AGIleggi. Al di là delle valutazioni sulla scelta di un quasi sconosciuto quale leader del principale partito di opposizione greco, quello che questa nomina sembra confermare è che l’elettorato di sinistra (in Grecia, ma verosimilmente in quasi tutte le democrazie occidentali) non sente più come identitari gli storici riferimenti al socialismo, alla socialdemocrazia o al riformismo, ma, in attesa di una ridefinizione di una proposta progressista, è pronto ad affidarsi a chi sappia almeno promettere la difesa dei diritti civili e sociali. Si interroga su quali saranno le ricadute per la sinistra greca dell’elezione di Kasselakis un bell’articolo di BalkanInsightleggi.

 

La grande manifestazione di Istanbul a sostegno di Gaza del 28 ottobre scorso, durante la quale Recep Tayyip Erdoğan ha ripetutamente accusato Israele di crimini di guerra, arringando centinaia di migliaia di persone (di “folla oceanica” ha parlato l’Agenzia Novaleggi), ha parzialmente distolto l’attenzione dalle celebrazioni del 100° anniversario della Repubblica turca. Così almeno è sembrato scorrendo le notizie sui siti d’informazione occidentali, ma naturalmente in Turchia i preparativi per la ricorrenza erano stati imponenti e i festeggiamenti non sono mancati. L’occasione era infatti importantissima per Erdoğan che, pur avendo fondamentalmente stravolto alcune impostazioni cardine della Cumhuriyeti (Repubblica) voluta da Mustafa Kemal Atatürk (in particolare il laicismo, ma non solo), vuole accreditarsi davanti alla storia come erede del “Padre della Patria” e fondatore della “Nuova Turchia”. Una breve ma tutt’altro che superficiale analisi della ricorrenza è proposta da EastJournalleggi. Per chi poi fosse interessato ad un rapido excursus sulle principali vicende che hanno segnato i cent’anni di esistenza della Repubblica turca, si segnala un articolo del Guardian (leggi), corredato di molte fotografie d’epoca.

 

Il gruppo dei socialisti e democratici (S&D) al Parlamento europeo si è affrettato a sospendere i propri membri slovacchi (ne ha riferito Euractiv.itleggi) appena i loro partiti di appartenenza, lo Smer di Robert Fico e lo Hlas di Peter Pellegrini, hanno annunciato la decisione di formare un governo, sotto la guida dello stesso Fico, in coalizione con il Partito nazionale slovacco (Slovenská Národná Strana – SNS) nazionalista e filorusso. Questa formazione politica, sebbene costituitasi solo nel 1989, è l’erede ideale dell’omonima forza clerico-fascista che alla fine degli anni Trenta guidò, quale partito unico, governi filonazisti e collaborazionisti. Non si sa ancora quanto il SNS sarà in grado di influenzare l’azione del nuovo esecutivo, ma già la campagna elettorale di Robert Fico era stata incentrata su rivendicazioni nazionalistiche ed anti-Ue, nonché sul netto rifiuto di continuare a sostenere militarmente l’Ucraina (ne scriveva prima delle elezioni l’agenzia Reutersleggi). Chi vede molto positivamente la svolta politica slovacca è l’ungherese Victor Orbán che, isolato dopo la vittoria di Tusk in Polonia, sa ora di avere un alleato a Bratislava. L’articolo di Hungary Today (leggi), portale di notizie fedele alla linea del governo di Budapest, ben illustra i sentimenti ungheresi.