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Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 06/11

Quando Mario Draghi definì “dittatore” Recep Tayyip Erdoğan, molte sopracciglia si sollevarono, sia per la gravità dell’affermazione, sia per la caratura del bersaglio. Solo il prestigio acquisito durante i lunghi anni di carriera istituzionale di chi pronunciò tale epiteto permise una rapida archiviazione dell’episodio a livello diplomatico. D’altra parte nessuno contesta il fatto che la Turchia sia un paese democratico e che Erdoğan sia stato eletto con un voto popolare formalmente corretto. Troppo spesso si dimentica tuttavia che la democrazia non è solo l’individuazione di una maggioranza, ma soprattutto la tutela delle minoranze. Ritorna alla mente e non sorprende più la definizione di Draghi nel leggere il trattamento riservato pochi giorni fa ad una decina di giornalisti kurdi, arrestati senza che fossero loro contestate accuse specifiche, come riportato in inglese sul sito della European Federation of Journalists (leggi) e, più succintamente in italiano, sul portale di Italia seraleggi.

 

La notizia dell’accordo concluso tra Israele e Libano sulla definizione del confine marittimo tra i due paesi è comparsa qua e là su vari organi di stampa, ma non ha in genere ricevuto l’attenzione che si riserva agli eventi straordinari. Perché è indubbio che il raggiungimento di un accordo sulle frontiere marittime tra due paesi formalmente in guerra ed incapaci di tracciare un confine terrestre reciprocamente riconosciuto non è cosa di poco conto. Se poi si aggiunge che i due paesi in questione sono Israele e Libano, allora la straordinarietà del momento diventa evidente. Potere del denaro e dell’economia si dirà; e soprattutto potere del gas, in un’epoca che sembra averne fatto il proprio feticcio. In realtà gli intrecci politico-diplomatici che hanno fatto da cornice alla stipula dell’accordo son forse più importanti di quelli energetico-economici. Per questo può essere utile l’approfondimento proposto da EastJournalleggi.
 

 

Che la questione dei confini marittimi nel Mediterraneo orientale sia diventata estremamente importante è dimostrato anche dal crescere delle tensioni tra Turchia e Grecia proprio a causa di decisioni unilaterali relative all’estensione delle acque territoriali. In questo caso il dissidio si innesta sulla storica diatriba tra Ankara ed Atene, acutizzatasi dopo la firma nel 2019 di un memorandum d’intesa turco-libico concernente proprio i confini marittimi. Le riserve di idrocarburi presenti sotto il fondo marino delle zone interessate costituiscono solo una delle ragioni per cui lo scontro sta diventando sempre più aspro. Per il momento siamo ancora a livello puramente verbale, ma le provocazioni reciproche stanno salendo di tono: e nel 2023 Turchia, Grecia e Cipro andranno alle urne. L’intricata situazione geopolitica è ben illustrata da un articolo di Politico.euleggi.
 

 

Le criticità del Mediterraneo non si limitano agli aspetti concernenti la demarcazione delle acque di pertinenza dei paesi che vi si affacciano. C’è il problema del riscaldamento delle sue acque e quello dell’inquinamento da plastiche (e non solo). Ma c’è anche il deperimento delle riserve ittiche, con conseguenze disastrose per il comparto della pesca, da sempre risorsa economica fondamentale per le popolazioni delle fasce costiere. L’Unione europea da molti anni cerca di attuare una politica della pesca che contemperi la sopravvivenza del settore economico, con il mantenimento degli stock ittici e con la salvaguardia dell’ambiente. La sfida tuttavia è ancora aperta, e l’attuale crisi energetica non fa che aggravarla. Ne dà testimonianza un articolo apparso sul sito di Lifegate.it, corredato da due approfondimenti relativi agli aspetti più specificamente ambientali: leggi.

 

Nei primi dieci mesi del 2022 il numero di tunisini sbarcati sulle coste italiane ha raggiunto livelli molto alti, fino a rappresentare il 20% del totale degli arrivi di migranti. A fronte di una situazione economica del paese molto deteriorata, il Presidente Kaïs Saïed (eletto come indipendente nel 2019) ha adottato un approccio sempre più dirigista ed autoritario. Nell’estate di quest’anno ha fatto adottare una nuova Carta costituzionale approvata con un referendum popolare, ma criticata dalla società civile. Questa stessa società civile ha ora lanciato una campagna contro la nuova legge elettorale voluta sempre dal Presidente in vista delle elezioni legislative del prossimo 17 dicembre e che metterebbe a serio rischio le possibilità di partecipazione alla vita pubblica di donne e giovani. Riferisce in merito la rivista francescana Terrasantaleggi.

Infine, a chiusura di questa rassegna settimanale e in vista della conferenza organizzata da Dialoghi europei l’8 novembre prossimo su “Balcani occidentali e crisi russo-ucraina: integrazione nell’UE più vicina o più lontana?”, si ricorda a chi fosse interessato a conoscere la più recente posizione in materia delle autorità europee che l’intera documentazione relativa al cosiddetto “pacchetto allargamento 2022” è disponibile (parzialmente in italiano) accedendo a questa pagina.