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Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 12/11

Ricordiamo a soci e simpatizzanti l'assemblea generale di Dialoghi Europei di martedì 14 novembre, alle 17:30, presso la sede InCE di Via Genova 9, Trieste.
Un'occasione per conoscerci meglio, fare il punto sulle nostre attività e sentire le vostre opinioni. Qui troverete il vostro invito
 

Quello delle “potenze medie” (middle powers) è un concetto che si sta rapidamente imponendo nelle analisi geopolitiche, un genere rivitalizzato dal tramonto dell’ordine mondiale che bene o male si era instaurato dopo la caduta del Muro. “L’ordine post-guerra fredda è morto. Ma il nuovo ordine non è ancora nato.” È questo l’incipit di una ricerca dell’European Council on Foreign Relations (ECFR) dedicata proprio al ruolo delle potenze medie e in particolare al nuovo approccio che l’Europa dovrebbe adottare nei loro confronti: leggi. La ricerca sottolinea le differenze tra quelli che erano i rapporti tra paesi egemoni e i loro rispettivi alleati durante la guerra fredda, e l’autonomia d’azione e di posizionamento che molte potenze medie (India, Brasile, Arabia Saudita, Giappone, Kazakhstan, Sudafrica, Turchia, ecc.) ora rivendicano: anche “in regioni in cui gli USA e la Cina hanno molto investito al fine di costruire rapporti strategici – compresi il Medioriente, l’Africa e l’America latina – nessuno dei due può sostenere di avere un predominio inconfutabile”. Sul sito di Formiche.net è disponibile una breve sintesi della ricerca (leggi), che tuttavia non rende giustizia al lavoro pubblicato dall’ECFR.

 

Si possono comprendere gli sforzi del Governo italiano per minimizzare la portata dello scherzo telefonico dei comici russi che sono riusciti a “dialogare” con la Presidente del Consiglio fingendosi alti funzionari dell’Unione africana; bisogna riconoscere tuttavia che tali sforzi hanno avuto più successo in Italia che all’estero. Fin da subito l’episodio è stato catalogato come un brutto scherzo (mauvaise blague secondo il francese Le Pointleggi), ma è stato dopo la decisa presa di posizione del Capo dell’Ufficio di Presidenza ucraino, Andrij Jermak, in un’intervista a Politico (leggi) che la notizia ha assunto maggiore rilievo sui mezzi di comunicazione. Ne ha scritto tra gli altri il Washington Post (leggi), ma non ha mancato di occuparsene anche l’agenzia russa TASSleggi. Al di là della brutta figura diplomatica, il tema della “fatica bellica” (war fatigue) occidentale menzionato da Meloni sta comunque suscitando preoccupazione in Ucraina (ne riferisce il sito asiatico The Diplomatic Isightleggi), dove peraltro perplessità e visioni discordi vengono pubblicamente espresse ai massimi livelli del Governo e dell’esercito, come racconta la corrispondente della rete americana di radio indipendenti NPRleggi.

 

Da anni ormai è diventato normale analizzare quanto avviene in un paese, in un’area geografica e finanche in un continente, attraverso la lente dei tentativi egemonici delle maggiori potenze. Il caso più lampante è quello dell’Africa e più in particolare dell’Africa occidentale francofona. La presenza del Gruppo Wagner (se non in nome, di certo per conto del Cremlino) e quella meno appariscente ma economicamente significativa di Pechino (ne ha scritto l’estate scorsa il Riformistaleggi), è stata spesso rappresentata come una sfida diretta al tradizionale predominio degli interessi francesi e più generalmente occidentali. Il golpe in Niger del luglio scorso ha però segnato un mutamento di prospettiva. Per gli Stati Uniti, presenti nel paese con una grande base militare che non intendono abbandonare (si legga il dispaccio Reuters), il ruolo strategico di Niamey è troppo importante (ne scriveva monfointernazionale.org il 12 agosto 2023: leggi) per non intrattenere rapporti con chi detiene il potere. Così, con scorno della diplomazia francese, Parigi si trova in concorrenza anche con il proprio principale alleato: commenta questa situazione il sito bvoltaire.frleggi. Nel frattempo, il Niger sprofonda nella crisi economica, come scrive africanews.comleggi.

 

Purtroppo l’unica fonte ad accesso libero sulla rete dell’articolo di Alessandro De Nicola pubblicato nel supplemento Affari&Finanza di Repubblica del 6 novembre sembra essere quella dell’account X (ex Twitter) dello stesso autore: e non è di lettura particolarmente agevole: vedi qui. Il contenuto del testo è tuttavia molto interessante e mette in luce alcuni aspetti dell’azione dell’UE che raramente sono portati all’attenzione dell’opinione pubblica, esposta invece molto spesso a gretti messaggi antieuropei. Da sempre l’Unione europea, nata sulle macerie – in senso letterale e figurato – della Seconda guerra mondiale, ha puntato sul “soft power” per costruire una rete di alleanze e collaborazioni internazionali. Ora, come scrive De Nicola, l’UE sta di fatto esercitando tale potere definendo regole e standard comportamentali che inevitabilmente influenzeranno le scelte degli altri attori internazionali. Un discorso analogo è proposto da Andrea Colli della Bocconi, sul sito di quest’ultima (Via Sarfatti 25): leggi. Di soft power come “marchio di fabbrica” dell’Unione parla invece Vita, portale del terzo settore: leggi.

 

Ursula von der Leyen si è recata in Montenegro il 31 ottobre scorso, proprio in coincidenza con l’investitura di Milojko Spajić quale Primo ministro di un Governo composto da forze che definire eterogenee è poco (rendono bene l’idea gli articoli de il Post – leggi – e di Euronews – leggi). La Presidente della Commissione ha avuto parole di plauso e di incoraggiamento per il Montenegro, ricordando che “ormai da tempo […] è il paese dei Balcani occidentali più avanzato nel cammino verso l’adesione all’Unione europea”. Nel suo discorso (disponibile sul sito della Commissioneleggi) von der Leyen non ha tuttavia nemmeno accennato a un problema che in realtà incombe (ignorato) sul futuro dell’adesione: l’adozione unilaterale (fin dal 2002) dell’euro da parte di Podgorica. Secondo i Trattati, sono solo gli Stati membri che possono adottare la moneta unica, dopo due anni di verifica della convergenza economico-monetaria. Il processo è stato ben illustrato da Jürgen Stark, membro dell’esecutivo della BCE, nel 2008 (il suo discorso è disponibile sul sito della BCEleggi). È difficile a questo stadio dei negoziati immaginare quale potrà essere la soluzione individuata per ovviare a questa “incongruenza”, anche perché ormai l’uso dell’euro è ben consolidato nel paese (e così da anni, come dimostra un articolo della Reuters del 2007: leggi).

 

Risale al periodo successivo alle elezioni del Parlamento europeo del 2019 la decisione del Gruppo parlamentare liberale ALDE (Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l'Europa) di sciogliersi e fondare un nuovo Gruppo (Renew Europe) assieme agli eletti di En Marche, il partito del Presidente francese Macron (l’annuncio era stato dato dalla stessa ALDE: leggi). L’adozione di una nuova denominazione venne imposta da En Marche, che non voleva che il termine “liberale” apparisse nel nome del Gruppo. Da allora i deputati di Renew Europe hanno rappresentato la terza forza in seno al PE e sono stati quelli il cui voto è confluito più di sovente nella maggioranza. La coesione interna del Gruppo non è tuttavia mai stata esemplare, e in molti casi alcuni membri hanno votato in disaccordo. La situazione sembra aggravarsi nella prospettiva delle elezioni della prossima primavera, con una contrapposizione che assume anche un carattere nazionale, viste in particolare le posizioni dei deputati della FDP tedesca, decisi a rivendicare scelte politiche “liberali” anche senza che il termine figuri nel nome del Gruppo. Riferisce in merito Euractiv.comleggi. L’articolo in italiano (purtroppo tradotto in modo approssimativo) è disponibile su Euractiv.itleggi.