News

Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 19/11

Alla fine del 2019, quando l’UE ha lanciato il pacchetto di misure di contrasto al cambiamento climatico e di sostegno alla transizione ecologica noto come Green Deal (illustrato sul sito del Consiglioleggi), il plauso era stato assai diffuso. L’obiettivo della neutralità climatica fissato per il 2050 era giudicato realistico, o almeno sufficientemente lontano da poter essere considerato tale. Con il passare del tempo, questa iniziativa virtuosa di Bruxelles, approvata unanimemente dagli Stati membri, ha iniziato ad incontrare crescenti riserve per la sua attuazione, come è stato evidenziato dal duro confronto in seno al Consiglio sulla messa al bando dei motori termici nel 2035 (ne ha riferito l’ANSAleggi). Mano a mano che la consapevolezza dell’esistenza di un problema di sostenibilità ambientale si diffonde nella popolazione, crescono ovviamente le implicazioni politiche dell’intera tematica. Come suggerisce una documentata ricerca pubblicata (in italiano) da LeGrandContinent (leggi), anche le destre (sebbene gratificate di molti consensi elettorali) sono attualmente in difficoltà nella gestione di questa politica, sfidate dalle frange nazionaliste e populiste pronte a sfruttare sentimenti di “scetticismo climatico (negare le origini umane) e/o […] relativismo climatico (ritenere che stiamo esagerando)”. Ne consegue, sempre secondo la ricerca, che “i partiti della destra tradizionale (liberali e conservatori) sono tentati di prendere le distanze dalle politiche di transizione, temendo la concorrenza dei populisti su questo tema divisivo”. C’è da temere che anche nei partiti della sinistra i sentimenti non siano troppo diversi.

 

Nel febbraio 2010 una sentenza della Corte costituzionale albanese dichiarò illegittimo un accordo sui confini marittimi stipulato dal Governo di Tirana con quello di Atene, con conseguente deterioramento dei rapporti tra le due capitali (se ne trova traccia a pag. 37 di un documento dell’epoca del Ministero della Difesa italiano: leggi). A tale sentenza fa riferimento un articolo in merito all’annuncio di Giorgia Meloni ed Edi Rama relativo alla realizzazione di un centro italiano per migranti in Albania, articolo pubblicato l’8 novembre su BalkanInsight (leggi) nel quale si sottolineano i molti dubbi suscitati da un accordo di cui ancora non si conoscono i dettagli. Lo stesso giorno BalkanInsight ha pubblicato anche la notizia che la Corte commerciale (Handelsgericht) di Vienna ha dato ragione ad un’associazione di assistenza ai migranti che aveva parlato di “Guantanamo austriaca” a proposito della realizzazione (con il contributo di fondi UE) di un centro di detenzione austriaco presso il campo profughi di Lipa, in Bosnia (leggi). Le  motivazioni della sentenza (il cui testo integrale è disponibile sul sito della Handelsgerichtleggi) sono state commentate anche sul sito della radio pubblica austriaca ORFleggi.

 

Uno dei più calorosi messaggi di felicitazioni per la recente vittoria alle elezioni slovacche è arrivato a Robert Fico dal Primo ministro ungherese Viktor Orbán, che ha sottolineato come “sia sempre bello lavorare con un patriota” (così ha riportato l’ANSAleggi). In effetti, dopo la sconfitta della destra reazionaria del PiS in Polonia, Orbán si era ritrovato isolato anche all’interno del Gruppo di Visegrád; ma la vittoria di un leader nazionalista e populista come Fico deve averlo rincuorato. Non è per niente scontato tuttavia che i due riescano veramente a collaborare, considerate le storiche dispute territoriali tra Slovacchia ed Ungheria (ben riassunte in un articolo apparso sul sito gmfus.org del German Marshall Fundleggi) e il fatto che anche a livello delle due popolazioni sopravvivano sentimenti irredentisti sconosciuti oggi in altre parti d’Europa. Per Fico, comunque, anche la situazione interna dovrà essere gestita con cautela: la necessità di allearsi con partiti di destra estrema per poter governare lo ha obbligato a nominare ministri vari personaggi già coinvolti in gravi scandali e già confrontati a procedure giudiziarie. Ne ha scritto EastJournalleggi.

 

L’uscita dalla pandemia, i riflessi economici della guerra in Ucraina, l’alta inflazione che ha contagiato il mondo intero hanno innescato un sentimento di autodifesa autarchica manifestatosi a livelli diversi in moltissimi paesi. Un esempio macroscopico è quello dell’Inflation Reduction Act (IRA) voluto da Joe Biden e che, dietro un titolo anodino, ha introdotto norme fortemente protezionistiche nei confronti dei partner commerciali degli Stati Uniti. (Una valutazione dei primi mesi di applicazione dell’IRA, presentata al Congresso nel settembre scorso, è disponibile sul sito della Heritage Foundationleggi.) L’UE ha cercato di reagire all’iniziativa americana, ma, come osservato in una pubblicazione dell’Università cattolica del Sacro Cuore (leggi), “una riposta europea unitaria non è semplice da definire perché gli interessi dei diversi paesi sono molto divergenti”. Lo dimostra anche l’azione solitaria della Germania per una riduzione dei costi dell’energia per le aziende nazionali (le misure adottate sono descritte sul sito Cleanenergywire.orgleggi). Nonostante queste decisioni unilaterali, si deve comunque segnalare che tra gli attori economici si cerca anche di definire una strategia comune, come suggerisce la dichiarazione congiunta delle organizzazioni padronali di Italia, Francia e Germania a margine di un incontro di fine settembre (riportata da Confindustrialeggi). Intanto però il divario strutturale tra Europa e Stati Uniti si sta ampliando, come segnalano dagli imprenditori francesi che si appellano all’UE; la notizia è riportata da Euractiv.itleggi.

 

Dialoghi europei si ripropone di celebrare degnamente, nella prossima primavera, la ricorrenza dell’ottantesimo dalla morte di Eugenio Colorni, triestino d’adozione che collaborò alla stesura del “Manifesto di Ventotene” con Ernesto Rossi ed Altiero Spinelli (lo spessore politico e culturale di Colorni è ben evidenziato nel Dizionario biografico degli italiani Treccanileggi) . Trent’anni fa, gli ideali propugnati da Ventotene sembrarono riprendere un qualche slancio con il Trattato di Maastricht, entrato in vigore il 1° novembre 1993, che, chiudendo la fase della Comunità economica europea, introdusse l’Unione europea. Nonostante ciò, i federalisti più convinti espressero un giudizio assai tiepido in merito al Trattato – ne dissertò ampiamente (1992) Pier Virgilio Dastoli, già assistente di Spinelli, in un articolo disponibile sul sito del Movimento europeoleggi. È indubbio, tuttavia, che proprio grazie a Maastricht l’Europa ha avviato una trasformazione profonda dei suoi obiettivi e del suo funzionamento (una sintesi schematica dei contenuti del Trattato è disponibile su EURLexleggi). Nel trentennale dell’entrata in vigore, il sito dell’Università Bocconi, Via Sarfatti 25, ha interrogato Mario Monti e Sylvie Goulard, già assistente di Romano Prodi alla Commissione, in merito alle ambizioni e alle realizzazioni del Trattato di Maastricht (leggi).

 

Tra le considerazioni espresse dal sen. Monti nel colloquio di cui alla segnalazione precedente, trova spazio anche una breve analisi delle prospettive di allargamento dell’UE, in particolare con riferimento ad Ucraina e Moldova. Ricordando che l’Unione europea non è un “club informale”, l’ex Presidente del Consiglio si dice perplesso per il fatto che si stia “contemplando un nuovo allargamento (…) senza una strategia chiara per l’introduzione di una politica estera e di difesa comune”. Nel suo “pacchetto allargamento 2023” (disponibile integralmente – solo in inglese per il momento – su EURLex : leggi) la Commissione esprime al contrario l’opinione che proprio il momento attuale offra un’opportunità unica ai paesi candidati per accelerare il processo di adesione (“All enlargement countries now have a historic window of opportunity to strongly bind their future to the European Union”). Difficile trovare tuttavia analisti che condividano questo ottimismo. Più facile invece leggere commenti venati di scetticismo, dove si arriva addirittura ad affermare che forse la Commissione ha fatto “un atto più che altro pubblicitario”, come dichiara Sergio Fabbrini, direttore del dipartimento di Scienze Politiche della Luiss, in un’intervista a Formiche.netleggi.