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Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 30/07

Segnaliamo ai nostri affezionati lettori che, causa pausa estiva, la prossima rassegna stampa sarà diffusa domenica 27 agosto

 

La recente bocciatura da parte delle forze di maggioranza del governo Meloni della proposta di direttiva comunitaria sull’armonizzazione della lotta alla corruzione (il testo è disponibile sul sito EURLexleggi) è balzata agli onori della cronaca perché il voto parlamentare è coinciso con il dibattito sull’abuso d’ufficio (si veda l’articolo di Today.itleggi; sull’argomento ha scritto anche il Presidente di Dialoghi europei Giorgio Perini sul Piccolo del 26 u.s.). L’iter del provvedimento comunitario è ancora lungo (dovrà essere approvato dal Parlamento europeo e dal Consiglio, con voto a maggioranza), ma la veemenza delle critiche della destra italiana non va trascurata. Se e quando la direttiva sarà varata, il suo contenuto avrà forza di legge in tutti gli Stati membri e a quel punto contestarla significherebbe contestare il primato del diritto europeo. È quanto sta facendo sistematicamente Varsavia, dove il partito al potere declina il proprio sovranismo anche sostenendo che le norme costituzionali nazionali devono prevalere su quelle dei Trattati dell’Unione. Per questo, la Commissione non ha esistano a citare in giudizio la Polonia, come riferisce Euractiv.itleggi.

 

Schiacciata tra l’emergenza climatica, la guerra in Ucraina e le elezioni spagnole, la notizia dell’aggravarsi della situazione nel Nagorno-Karabach ha fatto una breve apparizione sui siti dei giornali per poi scomparire rapidamente. Eppure, la decennale contrapposizione tra Armenia e Azerbaijan per il controllo delle enclave etnicamente armene in territorio azero rappresenta il classico esempio di conflitto congelato, pronto a riesplodere appena una delle parti coinvolte ritenga che ciò le possa procurare un vantaggio. Il problema è che in questo caso ad essere coinvolte non sono solo Armenia e Azerbaijan, ma anche Turchia e, soprattutto Russia, oltre evidentemente al vicino Iran. In tale contesto, l’UE ha cercato di proporsi come mediatrice, ma proprio quando una soluzione diplomatica sembrava possibile, tutto si è complicato. Il Ministro degli esteri russo Lavrov ha convocato a Mosca i leader dei due paesi, dando tuttavia l’impressione di non volersi esporre eccessivamente (si veda cosa ne ha scritto la Reutersleggi). Le implicazioni del perdurare del conflitto e i suoi riflessi anche per la politica interna dei paesi terzi coinvolti sono illustrati da un articolo di Formiche.netleggi

 

Alla fine del XIX secolo Rudyard Kipling parlò di “fardello dell’uomo bianco” per indicare quello che considerava un dovere dell’etnia che oggi viene definita “caucasica”: portare la “civiltà” ai popoli “barbari”. Regnava ancora la Regina Vittoria e l’impero britannico era allo zenit della potenza, ma solo cinquant’anni dopo il processo di decolonizzazione era già in pieno corso. Il sentimento paternalistico nei confronti delle ex colonie resesi indipendenti è perdurato tuttavia nel tempo. La storia dei rapporti tra la Comunità europea e i paesi africani ne è un esempio. È del 1963 la Convenzione di Yaoundé che ha associato molte nazioni di recente indipendenza con la CEE; poi via via negli anni il modello è stato replicato con nuovi accordi (fino allo stallo attuale imposto dal veto di Ungheria e Polonia - si veda il commento del Gruppo S&D del Parlamento europeoleggi). Anche il tentativo di dialogo con i paesi della costa sud del Mediterraneo, tanto caro al Governo italiano, rientra in questa tradizione negoziale. Per comprenderne le caratteristiche e difficoltà di fondo, ma anche alcuni degli innegabili pregiudizi, è utile l’excursus storico proposto da Geopolitica.infoleggi.

 

Se i motivi politici che hanno portato alla concessione all’Ucraina dello status di paese candidato all’adesione all’UE possono essere facilmente compresi, forse meno evidenti sono quelli che hanno indotto ad attribuire lo stesso status alla Moldavia. È chiaro che la situazione geopolitica del paese è complicata, che l’esistenza di una regione (la Transnistria) secessionista e controllata da Mosca costituisce motivo di preoccupazione e che ancor più preoccupante è la percentuale non trascurabile di russofili nel totale della popolazione. Resta il fatto che fino all’aggressione russa all’Ucraina nessuno a Chisinau o a Bruxelles avrebbe immaginato un’accelerazione della propsettiva di adesione. A tutt’oggi infatti i cittadini moldavi sembrano dubbiosi sulle prospettive di integrazione del loro paese nell’UE. Questo è almeno quanto traspare da due sondaggi effettuati per l’Eurobarometro ad inizio anno e nell’ultimo mese. I relativi dati statistici sono stati analizzati dall’Istituto Jaques Delors in un documento (in francese) disponibile qui.

 

La fine ingloriosa e la dissoluzione violenta della Yugoslavia avevano trovato la Comunità europea impreparata a gestire un avvenimento di tale portata. Il fatto che anche l’ONU avesse fallito non può certo essere citato a discolpa. L’iniziativa diplomatica decisiva fu quella statunitense, sostenuta dall’intervento della Nato: le bombe su Belgrado congelarono il conflitto tra serbi e kosovari e la conferenza di Dayton mise fine alla guerra in Bosnia. Negli anni che seguirono, il progetto di inclusione euro-atlantica dell’intera regione rappresentò la nuova occasione offerta all’UE per ritornare protagonista, ma a vent’anni dalla promessa di adesione formulata a Salonicco (la dichiarazione è disponibile sul sito del Consiglio: leggi) solo la Croazia è diventata uno Stato membro. Rattrista forse, ma non deve quindi sorprendere, che due ricercatori del Center for a New American Security (Centro bipartisan statunitense per gli studi in materia di difesa e sicurezza) suggeriscano che l’iniziativa nei Balcani occidentali passi nuovamente agli USA. Una volta che Washington avrà risolto i problemi sul terreno, l’Unione europea potrà subentrare per occuparsi degli aspetti “amministrativi”. L’articolo dei due ricercatori, pubblicato da Euractiv.com (leggi), induce a riflettere sui nuovi rapporti di forza che inevitabilmente si manifesteranno dopo la fine della guerra in Ucraina.  

 

Il progressivo slittamento verso destra dell’elettorato europeo nasconde in realtà un doppio fenomeno. Da un lato c’è una reazione che si potrebbe definire “conservatrice” nei confronti delle politiche fondamentalmente liberali che hanno segnato gli ultimi decenni, con significativi cambiamenti soprattutto sul terreno dei diritti delle persone, ma anche in campo economico (si pensi al “liberi tutti” rappresentato dalla globalizzazione). Dall’altro, la rivendicazione dell’egocentrismo e dell’egoismo come massime espressioni dell’individualismo, con conseguente slittamento su posizioni nazionalistiche, sovraniste e in taluni casi persino apertamente filo-fasciste o filo-naziste. Convivono quindi oggi in Europa due destre solo apparentemente affini: una conservatrice e moderatamente reazionaria, l’altra populista, autarchica ed estremista. Interessante la visione che ne ha, dall’altro lato dell’Atlantico, la CNN (leggi) che, come da tradizione per gli analisti di lingua inglese, presuppone una differenza di fondo tra paesi anglosassoni e paesi dell’Europa continentale.