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12 AGOSTO, GIORNATA INTERNAZIONALE DELLA GIOVENTÙ, MA NESSUNO SE N'È ACCORTO!

È dall'anno 2000 che Il 12 agosto si celebra (ma forse sarebbe più corretto dire “si dovrebbe celebrare”) la “Giornata Internazionale della Gioventù”, proclamata dall’assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1999. Per di più proprio il 2022 è stato proclamato dall’UE “Anno Europeo dei Giovani (per un futuro più verde, inclusivo e digitale)” e non è un caso, visto che il programma europeo per la ripresa economica dalla pandemia da Covid19, da ben 750 miliardi di euro, si chiama “Next Generation EU”.

Eppure il 12 agosto è ormai passato e non mi sembra di aver visto una sola riga su questo argomento sui principali quotidiani italiani, né di aver sentito una parola dai nostri politici, tutti presi dal tema delle alleanze elettorali, dei seggi in Parlamento e da un inizio di campagna elettorale che spesso trascende nell’offesa personale. Non si tratta naturalmente di corteggiare i giovani per ottenerne i voti ma di riconoscerne e valorizzarne il ruolo, per evitare che soprattutto quelli più dotati scelgano di spostarsi in paesi dove trovano più opportunità e meritocrazia.

Il tema naturalmente non è limitato al nostro paese, né alla sola UE, anzi. Per esempio a dar voce ai giovani della regione dei Balcani occidentali, proprio in occasione della Giornata Internazionale della Gioventù, ha pensato il BIRN (Balkan Investigative Reporting Network),  rete di organizzazioni non governative per la promozione della libertà di espressione, dei diritti umani e dei valori democratici, come è stato riportato dal sito “Balkan Insight”. Vale la pena di citare qualcuna delle testimonianze raccolte da BIRN da giovani di Kosovo, Albania, Serbia, Macedonia del Nord, Bosnia ed Erzegovina, Montenegro (ma anche di Bulgaria e Grecia, già membri UE), per l’equilibrio che traspare: “nascere qui significa nascere con l’onere del passato addosso, che però rappresenta anche il presente. È questo perché i nostri leader hanno dimenticato il significato di parole come cooperazione e riconciliazione” (dalla Serbia). Oppure “Vivere in Kosovo è come dipingere un tramonto attraverso la finestra di una prigione.  Vediamo l'occidente ma non ci è consentito toccarlo”. Ma anche in Bulgaria (uno degli ultimi paesi ad essere entrati nell'UE) i giovani in larga misura ritengono di non essere messi “in condizione di sviluppare i loro progetti di vita in armonia con la loro visione del mondo”.  Ecco perché una percentuale che si aggira sul 67% dei giovani di quell'area vede, come unica prospettiva per il proprio futuro, quella di espatriare.

È il fenomeno del cosiddetto “brain drain”, particolarmente grave nei Balcani occidentali, anche se scarsamente percepito dall’opinione pubblica e dai relativi governi. Ma sarebbe un grave errore considerarci esenti da questa problematica che, anche se con connotazioni per fortuna diverse, riguarda anche i nostri giovani, a Trieste più che altrove. La dimensione giusta per affrontarla è quella europea, e la nostra città e la nostra regione potrebbero e dovrebbero affrontarla guardando anche ai Balcani occidentali e al ruolo che i giovani potrebbero svolgere in quei paesi nell’assimilazione dei valori della convivenza democratica e nell’acquisizione degli standard richiesti dal processo di integrazione nell'UE. Programmi scambio e soggiorni di studio/lavoro, ampiamente collaudati dell’UE (24 milioni di giovani europei hanno già fatto questa esperienza) possono contribuire a creare un nuovo clima nella società civile più di qualsiasi iniziativa ufficiale a livello dei governi dei singoli paesi candidati.

Ecco perché auspico un’attenzione particolare per questa tematica da parte dei candidati del nostro territorio alle imminenti elezioni politiche e a maggior ragione l'anno prossimo per le regionali e quello successivo per le europee. Guai se non facessimo tutto quanto in nostro potere per non privarci del contributo dei nostri giovani migliori e, allo stesso tempo, per non deludere quei giovani nei Balcani occidentali che, nonostante il clima particolarmente pesante di questi mesi, soprattutto in quell'area, hanno dichiarato che “soprattutto non vogliono perdere la speranza in un futuro migliore (nei loro stessi paesi)”.

Giorgio Perini

 

Foto: UNFPA Tajikistan