News

Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 08/06/25

Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali
a cura di Paolo Gozzi
 
Già alcune settimane orsono, la Rassegna stampa di Dialoghi europei aveva portato all’attenzione dei suoi lettori il tema del crescente interesse per l’Artico da parte delle grandi potenze dell’emisfero settentrionale (la Rassegna in questione è sempre disponibile sul sito di Dialoghileggi).

Come successo nel caso delle terre rare, di cui pochi conoscevano finanche l’esistenza, ma che quasi all’improvviso sono diventate argomento di dibattito quotidiano, qualcosa di simile si sta producendo con riguardo agli interessi che ruotano attorno alla porzione più settentrionale del globo.
Dopo che per anni la regione artica è stata oggetto di una significativa cooperazione scientifica, gli interessi dei paesi coinvolti hanno iniziato a divergere, fino alla crisi seguita alla rottura con la Russia dopo l’attacco all’Ucraina (ha descritto questo percorso un articolo dell’Osservatorio articoleggi).

Ma evidentemente la situazione era matura perché la cooperazione lasciasse il posto ad un aperto confronto: un’analisi ampia e dettagliata si trova sul sito del Centro studi Italia-Canada (leggi).

Oggi, anche se non si è (ancora?) giunti a conflitti aperti, l’impressione è che gli attriti siano destinati ad aumentare.

Un bel reportage della BBC dalla Norvegia dà la misura delle tensioni che si vivono sulle sponde dell’Artico europeo (leggi), dove minaccioso è tanto l’atteggiamento russo quanto quello cinese. (La Cina si considera “un “paese quasi artico” – leggi cosa ne ha scritto Formiche.net.)
La contrapposizione sino-russa è esaminata in una breve ma puntuale ricerca della Stiftung Wissenschaft und Politikleggi.
 
Parole chiave: Artico; Russia; Cina
In Destra e sinistra. Ragioni e significati di una distinzione politica (1994), Norberto Bobbio suggerì quale criterio per la differenziazione tra destra e sinistra il modo di porsi rispetto all’ideale di eguaglianza tra i viventi.
Secondo l’analisi del saggio di Bobbio proposta dalla Treccani (leggi), “la destra prende atto dell’esistenza di diseguaglianze e può giungere a valutarle positivamente”.

Tale considerazione trova conferma empirica nelle teorizzazioni delle forze populiste che postulano, ad esempio, discriminazioni di ogni tipo tra popolazione autoctona e migranti.
Fece scalpore nel 2014 (ma forse ne farebbe di meno oggi) una proposta della Lega in Lombardia che ipotizzava “quindici anni di residenza in Regione prima di poter accedere a tutti i contributi economici messi a disposizione per i cittadini” (riportato da Il Giornaleleggi).

Similmente, la chiusura autarchica del sovranismo assume spesso il carattere di un’esaltazione della sovranità nazionale di uno stato, che fatalmente cozza con la quella di altri.
Papa Francesco nel 2019 affermò con l’abituale schiettezza che “il sovranismo è un’esagerazione che finisce male sempre: porta alle guerre” (leggi su Vatican News).

Ma nell’attuale fase storica, è apparso in modo eclatante come il sovranismo si affermi a scapito della cooperazione internazionale, in particolare di quella costruita nel corso degli anni sotto l’ombrello del diritto internazionale.
Dedica alla questione un bell’articolo il Centro Studi di Politica Internazionale CeSPI (leggi); vi si sostiene tra l’altro che “diversi fra gli Stati dotati di potenza economico-militare […] mostrano infatti di credere che la forza di cui dispongono consenta loro di affrancarsi da qualunque preoccupazione relativa a ciò che sia permesso o meno dal diritto. In altre parole, nella percezione di tali Stati, tutto è di fatto permesso quando è nel loro particolare interesse”.
 
Parole Chiave: Diritto Internazionale; Sovranismo
Il primo atto legislativo adottato dalla Comunità economica europea nel 1958 è stato volto a fissare il regime linguistico dell’Istituzione creata con il Trattato di Roma e allora composta da sei Stati membri.
Si tratta del Regolamento 1/1958 (leggi su EURLex), il cui articolo 1 statuisce che “Le lingue ufficiali e le lingue di lavoro delle istituzioni della Comunità sono la lingua francese, la lingua italiana, la lingua olandese e la lingua tedesca”.

Ad ogni i successivo ampliamento di quella che nel frattempo è diventata l’Unione europea a 27 membri, il Regolamento 1/1958 è stato emendato ed attualmente elenca 24 lingue ufficiali (leggi la versione consolidata attualmente in vigore, sempre su EURLex).

Le implicazioni finanziarie di un tale regime linguistico sono rilevanti (tutti gli atti normativi devono essere redatti e pubblicati in tutte le lingue ufficiali; nelle riunioni istituzionali l’interpretazione deve consentire a tutti di esprimersi nella propria lingua; i cittadini hanno il diritto di comunicare in una qualsiasi delle 24 lingue ufficiali con le istituzioni europee, che devono rispondere nella stessa lingua), ma la valenza “ideologica” del multilinguismo prevale su qualsiasi considerazione economica: su Europa.eu è ben illustrata l’impostazione dell’UE in materia: leggi.

Si comprende quindi il significato politico della richiesta formulata da Madrid due anni fa, volta a far riconoscere come lingue ufficiali dell’UE le tre lingue minoritarie più parlate in Spagna: il basco, il catalano e il galiziano. La mossa era stata funzionale al premier Sánchez per ottenere l’appoggio degli indipendentisti catalani (ne ha scritto EUReporterleggi).

A livello europeo un tale cambiamento richiede tuttavia l’accordo unanime dei 27 Stati membri. Durante la riunione dei Ministri degli Esteri del 27 maggio scorso “man mano che il dibattito procedeva, è apparso evidente che le riserve presenti in sala erano sufficienti a impedire il consenso” (come ha scritto Euronewsleggi).

Per il momento almeno l’UE continuerà quindi a funzionare con “sole” ventiquattro lingue ufficiali.
 
Parole chiave: Multilinguismo, Unione europea; Spagna
Il paradosso dell’isola di Corfù, che l’estate scorsa, pur essendo nella regione più piovosa della Grecia, è stata confrontata ad una grave crisi idrica, è citato in un articolo di ToVima.com (leggi) in cui si dà conto di una prossima iniziativa della Commissione europea intesa a contrastare la crescente scarsità di acqua nell’Unione.

Secondo un articolo del Financial Times (non disponibile in libera lettura), “Bruxelles inviterà i Paesi dell’UE a ridurre il consumo di acqua di almeno il 10% entro il 2030, poiché il blocco si trova ad affrontare siccità sempre più lunghe e diffuse. Il piano […] segna la prima volta in cui la Commissione fisserà un obiettivo di efficienza idrica, indicando una crescente preoccupazione per la contrazione delle riserve accumulate nelle falde acquifere dell’UE”.

Già ad inizio maggio il Parlamento europeo aveva reclamato “un’azione più incisiva dell’UE sulla resilienza idrica” (leggi il comunicato stampa sul sito del PE) ed ora, entro l’estate, la Commissione presenterà la propria proposta operativa.

Va detto che se la fissazione di obiettivi tangibili di riduzione del consumo di acqua (“Sebbene l’obiettivo del 10% non sia vincolante, la Commissione sta incoraggiando gli Stati membri a fissare obiettivi nazionali e a raccogliere dati più affidabili” secondo quanto riferito dal sito di informazioni Caliberleggi) sarebbe una novità, il tema della crisi idrica costituisce da tempo materia di preoccupazione per le Istituzioni comunitarie: il portale dell’Europarlamento dedicato alla “Politica idrica europea” costituisce un’importante fonte di dati ed informazioni in materia (leggi).
 
Parole chiave: Crisi idrica; Commissione; Parlamento europeo
La contrapposizione tra città e campagna sembra essere una costante della storia umana. Scriveva Gramsci parlando dell’Italia risorgimentale che “esiste, tra tutti i gruppi sociali, una unità ideologica urbana contro la campagna […]. Reciprocamente esiste una avversione «generica» ma non perciò meno tenace e appassionata della campagna contro la città, contro tutta la città, tutti i gruppi che la costituiscono” (leggi sul sito ItalianiEuropei).

Ha pagato lo scotto di questa contrapposizione il candidato centrista all’elezione presidenziale polacca e sindaco di Varsavia Rafał Trzaskowski, risultato vincitore nei principali centri urbani, ma finalmente sconfitto dall’arci-tradizionalista Karol Nawrocki che ha raccolto gran parte dei suffragi delle vaste aree rurali del paese, profondamente cattoliche e conservatrici. Una convincente analisi del voto è proposta da BalkanInsight (leggi); vi si sottolinea tra l’altro come l’esito in gran parte inaspettato di questa consultazione elettorale potrà avere conseguenze sia sulla coalizione governativa centrista del Primo ministro Donald Tusk, sia sul futuro del partito della destra Diritto e Giustizia guidato da Jarosław Kaczyński e ora confrontato alla crescita dell’ancor più estremista e reazionario Konfederacja.

La vittoria di Nawrocki, oltre ad aver fatto esultare Viktor Orbán (“Colpo di scena!” ha scritto HungaryTodayleggi), ha suscitato interesse anche negli Stati Uniti. Un dettagliato resoconto è apparso sul sito del think-tank (di tendenza moderata) Jamestown Foundationleggi.

Sul conservatore Washington Explorer invece maggiore spazio è stato dedicato ai buoni rapporti del neo-Presidente con funzionari dell’Amministrazione Trump (leggi).
 
Parole chiave: Polonia; Elezioni presidenziali; Destra