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Green dialogues - Materie prime e problematiche geopolitiche

di Mario Sica

Il prezzo del litio, utilizzato nella produzione di batterie per veicoli elettrici, è triplicato negli ultimi 12 mesi, quello del cobalto è quadruplicato sempre nello stesso periodo ed andamenti similari si sono avuti per altri materiali quali ad esempio il polisilicio, utilizzato nei pannelli fotovoltaici, ed altri materiali identificati come “terre rare” (ad esempio indio e gallio), materiali chiave poco presenti in natura ma indispensabili in diversi componenti elettronici installati nelle più avanzate tecnologie dei nostri computer o dei cellulari. 

Cosa sta accadendo?

In realtà è abbastanza “semplice” capire questo trend: la domanda per l’approvvigionamento di questi materiali strategici proveniente dalle aziende impegnate nella produzione di componenti e sistemi per la digitalizzazione e per la decarbonizzazione unita allo stallo della domanda del 2020 (quando il mondo si è quasi fermato a causa del COVID e delle incertezze relative), sta spingendo i prezzi a livelli inattesi. 

Un allarme è stato lanciato dall’Agenzia internazionale per l’Energia: il raggiungimento per il 2040 degli obiettivi dell'accordo di Parigi sul clima farà crescere di quattro volte la richiesta di minerali rari mentre le previsioni dicono che la richiesta di batterie per le auto elettriche farà schizzare la domanda di litio a oltre un milione di tonnellate nel 2025.

Ma cosa significa per noi tutto questo?

La Cina possiede oggi il 60 % della capacità mondiale di produzione di batterie, prevalentemente basate sull’utilizzo del litio.

I più sofisticati semiconduttori, indispensabili nei cellulari e nei computer di ultima generazione, come anche nelle auto, sempre più connesse e dotate di sistemi di controllo di tutte le funzioni (dall’ABS ai sistemi di guida automatica, attualmente in fase di sviluppo) sono costruiti prevalentemente a Taiwan (quindi di nuovo un'area al centro della politica cinese, con tutte le ricadute geopolitiche che la particolare situazione dell'isola ha determinato nel corso dei decenni).

E poi lo stagno (utilizzato nelle microsaldature nel settore elettronico), il rodio (una terra rara indispensabile per i collegamenti elettronici e per le marmitte catalitiche), il neodimio, utilizzato nella produzione di supermagneti, e poi manganese, zinco, rame e tanti altri materiali.

Le riserve sono concentrate geograficamente in pochi paesi e la corsa per garantirsi l’approvvigionamento di questi minerali ha profonde implicazioni di natura geopolitica. La Cina, in particolare, è stata capace di acquisire una posizione dominante lungo l’intera filiera produttiva grazie al suo peculiare modello di sviluppo. In casa estraggono rame, litio e terre rare mentre altri materiali chiave li ottengono da altri paesi dove posseggono miniere o accordi commerciali (il nickel nelle Filippine ed in Indonesia, il cobalto nel Congo) e poi li trasformano direttamente nella madre patria.

Oggi quindi assistiamo ad uno scenario caratterizzato da un rialzo dei prezzi e una crescente competizione politica e strategica tra gli Stati, spinta dalla necessità di assicurarsi un approvvigionamento stabile e continuo di metalli e minerali necessari alla doppia trasformazione, quella energetica e quella digitale.

In questa doppia trasformazione, numerosi metalli rari – dalle terre rare al cobalto ed al litio – acquistano sempre più rilevanza, ponendo nuove problematiche e considerazioni energetiche, industriali e strategiche. Questi metalli sono componenti vitali – e spesso difficilmente sostituibili – in numerosi prodotti, da quelli tecnologici (cellulari, monitor), a quelli necessari per la transizione energetica (turbine eoliche, pannelli fotovoltaici e macchine elettriche) fino al settore militare (laser, radar). Visto il loro ruolo essenziale nelle tecnologie chiave per i prossimi decenni, la capacità di assicurarsi la fornitura continua di metalli rari è dunque diventata una priorità strategica ed industriale e andrà a definire lo scenario geopolitico dei prossimi anni.

Infatti, negli ultimi anni, il consenso globale riguardo alla lotta al cambiamento climatico è cresciuto sensibilmente, diventando una delle maggiori priorità per i governi e il settore privato. A ciò si affianca anche una crescente ambizione e competizione tra le grandi economie mondiali, in primis Unione Europea, USA e Cina. Difatti la doppia trasformazione è anche l’occasione per queste economie di guadagnare, preservare e ampliare i vantaggi competitivi in settori chiave al fine di posizionarsi come leader dell’economia dei prossimi decenni.

Senza dire che la concentrazione di estrazione e produzione di questi materiali in un numero limitato di paesi lontani potrebbe peggiorare in maniera significativa la situazione occupazionale europea: un recente studio prevede che nel solo settore automobilistico, grazie alla sostituzione dell’alimentazione delle auto a favore delle batterie elettriche l’Europa potrebbe perdere tra 1,5 e 1,8 milioni di lavoratori del settore automotive, oggi orgoglio del vecchio continente dove l’Italia occupa una preminente leadership.

Cosa può essere fatto per attenuare e/o mitigare i problemi e, soprattutto, migliorare la situazione attuale?

Molte sono le azioni che sono intraviste dagli specialisti del settore e dagli esperti e strateghi dell’economia: tra queste possibilità se ne indicano alcune che sono le più rilevanti:

  • sviluppare giacimenti esistenti ed oggi non sfruttati (o solo in maniera parziale) nonché cercare nuovi giacimenti in nazioni fuori dalla Cina, ad esempio in Africa, continente che è abbastanza inesplorato ma che potrebbe riservare interessanti potenzialità, oppure in Groenlandia dove l’aumento delle temperature a livello globale sta facendo emergere nuove terre che potenzialmente possono essere ricche di materie prime (si ipotizza che vi siamo il 10-12 % delle risorse mondiali e Trump lo scorso anno aveva già dichiarato di volersene impossessare);

  • costruire una politica estera comune europea per ottenere le concessioni di estrazione dei materiali che non possediamo per poi sviluppare in Europa una attività di trasformazione dei materiali strategici;

  • rafforzare l’Alleanza Europea per le Materie Prime (l’ERMA, creata nell’autunno del 2020) con l'obiettivo di riunire l'industria, gli Stati membri, le regioni e la società civile per ridurre la dipendenza dell'Europa dall'approvvigionamento di materie prime critiche provenienti da paesi terzi;

  • sostenere l’EBA (European Battery Alliance), nata su forte spinta di Francia e Germania (ma ampliata a 7 paesi europei incluso l’Italia) per creare un'intera catena del valore delle batterie in Ue e non dipendere più da Cina, Corea del Sud e Stati Uniti. L’EBA, dotata di oltre 3 miliardi di Euro di finanziamenti ha generato circa 70 progetti industriali suddivisi in quattro aree, in modo da coprire interamente la catena del valore: l’estrazione di materie prime e l’uso di materiali avanzati, lo sviluppo di nuove celle e moduli, la gestione efficiente delle batterie e l’ottimizzazione dei tempi di ricarica, nonché il revamping e il riciclo delle batterie a fine vita;

  • sviluppare nuove tecnologie con utilizzo di materiali alternativi a quelli attuali ed auspicabilmente a basso costo o non dipendenti dalla Cina: batterie al sodio o al grafene oppure all’alluminio quali alternative al litio ed al tempo stesso con capacità di accumulo superiori;

  • potenziare le attività di riciclo delle materie prime: abbiamo saputo farlo con carta ed alluminio ma dobbiamo imparare anche a farlo con i materiali elettronici e le batterie che, quando sono parzialmente esaurite e che possono essere recuperate, vengono abbandonate ed inviate in Cina per il loro riutilizzo, pagando anche per il trasporto. Ma non solo: ad esempio, esiste una azienda italiana, la Magaldi SpA, che attraverso un processo innovativo nei termovalorizzatori, contribuisce al recupero di materie prime pregiate dai rifiuti urbani che bruciano, estraendo metalli quali rame, alluminio, zinco, piombo, palladio, metalli rari e creando così il concetto di “miniera urbana”.

E’ ovvio che tutte queste indicazioni sopra elencate non sono semplici da realizzare e richiedono, soprattutto, azioni immediate (il tempo può essere un fattore critico – ci vogliono in media 15 anni tra la identificazione di una miniera fino all’estrazione dei primi quantitativi di materiale - ed ogni ritardo gioca a nostro sfavore) e massima determinazione nel capovolgere la situazione a proprio favore; solo così facendo sarà possibile invertire la rotta ed affrontare il futuro in maniera più rosea equilibrando al tempo stesso il rapporto con l’attuale (quasi) egemonia cinese.