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LA PARTITA PER I BALCANI SI PUÒ GIOCARE A TRIESTE

Per gentile concessione de "Il Piccolo"

Il summit di Tirana sembra aver prodotto i suoi frutti, ancor più che a livello UE, in termini di rinnovata attenzione dell’Italia per il suo vicinato ad Est, ricambiando finalmente l’attrazione, forse un tantino appannata ma mai del tutto sopita, che l'Italia, e in particolare Trieste, esercitano sui Balcani occidentali.

Le recentissime missioni a Belgrado e Pristina dei nostri ministri degli esteri e della difesa, Tajani e Crosetto, per tentare di ricomporre la cosiddetta “guerra delle targhe”, lo confermano, e la proposta di convocare proprio a Trieste, forse già a gennaio 2023, una grande conferenza sull’area balcanica, potrebbe marcare il cambio di passo da troppo tempo atteso (27 anni dopo gli accordi di Dayton e quasi 20 anni dal vertice di Salonicco). Ma stiamo attenti a non dare l’ennesima delusione, per l'incapacità di far seguire alle parole i fatti, cosa che è sempre stata la parte più difficile.  

Sono infatti già trascorsi più di cinque anni dal vertice di Trieste del 2017, quarto appuntamento del processo di Berlino, avviato dalla cancelliera tedesca Merkel nel 2014, che avrebbe dovuto rilanciare una concreta prospettiva europea per i Balcani occidentali. La concretezza dei temi affrontati in quell'occasione (immigrazione, terrorismo, economia, connettività) avevano fatto ben sperare e non c'è chi non veda come unire le forze per affrontare queste problematiche corrisponda perfettamente all’interesse e alle prospettive di sviluppo della nostra regione.   

Certo, l'attività di “capacity building” (cioè il rafforzamento delle competenze) nei sei paesi in questione è importante, per non dire fondamentale, ma non basta. Proprio lavorando a questi progetti, a nome del nostro governo, nei Paesi che poi sono diventati membri UE (per esempio Romania e Croazia), nell’ambito di programmi Phare-twinning della Commissione europea, ho potuto constatare che accompagnare i paesi in preadesione sotto l'aspetto tecnico-giuridico non è sufficiente. Così come non lo è dialogare soltanto con i governi.

Occorre arrivare alla società civile e soprattutto ai giovani, con azioni concrete capaci di frenare – e poi se possibile invertire- la tendenza allo spopolamento, dovuta all’esodo dei migliori cervelli, fornendo occasioni di formazione e scambio e costruendo un ambiente più favorevole nei loro paesi di origine. L'immigrazione- e la rotta balcanica in particolare -, se è certamente un tema sul tavolo, viene dopo quello dell'emigrazione!

E poi far dialogare in maniera sempre più stretta le università, i centri di ricerca e sviluppo tecnologico, come avevamo già fatto tra università di Alpe Adria e università dell'area danubiana per bypassare il disinteresse di Roma per la strategia europea per il Danubio.  Inoltre, occorre continuare nello sforzo di integrare le infrastrutture di trasporto dell'area balcanica tra di loro e con quelle europee, a cominciare dalla nostra regione che ne ricaverebbe grossi benefici.

E, se è vero che allargamento ad Est e riforme UE - In primis l'abbandono dell'unanimità, come metodo decisionale al Consiglio europeo – sono strettamente interdipendenti, occorre mettere mano con coraggio e lungimiranza a queste ultime perché il mantenimento dello status quo non diventi un facile alibi per continuare a tenere i Balcani occidentali fuori dalla porta. La nostra regione, e Trieste soprattutto, hanno di fronte l'ennesima occasione storica: dopo lo “spirito di Trieste” ci sarà un “modello Trieste”?

Giorgio Perini