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Rassegna stampa 20 febbraio

Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali 12/02 - 19/02

 

Alcuni mesi fa il Montenegro è stato vicino al collasso economico, essendosi trovato nell’impossibilità di rimborsare le rate di un prestito da un miliardo di dollari ottenuto dalla Cina nel 2014 e destinato a coprire i costi della costruzione di un’autostrada, costruzione affidata ad imprese cinesi. L’Unione europea, alla quale il Montenegro si era rivolto per aiuto, ha risposto che non poteva accollarsi debiti di Stati sovrani, ma ha di fatto agevolato la conclusione di un accordo con banche americane e francesi per togliere il paese balcanico dall’imbarazzo. L’esito positivo di questa vicenda aveva temporaneamente puntellato il traballante Governo di coalizione, ma con l’anno nuovo e senza apparenti motivi, proprio un partito della coalizione ha sfiduciato il Primo ministro Zdravko Krivokapić. Il resoconto di quanto successo si può leggere sul sito di EastJournal: (leggi).

 

Siccome in politica spesso la forma è sostanza, è interessante notare come i politici populisti di ogni latitudine si facciano un vanto di parlare un linguaggio ruvido, diretto, “popolare”, anche quando l’occasione suggerirebbe un tono istituzionale. È quanto ha fatto Viktor Orbán davanti al parlamento di Budapest pronunziando il suo “Discorso annuale sullo stato della nazione”. Tra l’esaltazione dell’operato del suo governo e gli attacchi spiccioli agli avversari politici, Orbán ha difeso il principio del “prima gli ungheresi” contro tutto e contro tutti, puntando l’indice in particolare contro l’UE, accusata di combattere “una jihad dello stato di diritto” (sic) che induce l’Ungheria a “mostrare forza, quindi al via con la Reconquista!” (re-sic). La sopravvenuta sentenza della Corte di giustizia che ha confermato la legittimità di un condizionamento degli aiuti comunitari al rispetto dello stato di diritto non può quindi aver fatto felice il leader ungherese. Il testo integrale del discorso di Orbán è stato pubblicato anche in italiano dall’Ufficio del Primo Ministro: (leggi).

 

Chissà se fu machiavellismo quello che indusse Alexis Tsipras nel 2015 a chiedere ai greci di respingere (con un referendum) l’accordo con i creditori del paese, per poi sottoscrivere lo stesso accordo solo pochi giorni dopo. Con tale mossa apparentemente contraddittoria riuscì a disinnescare la rivolta sociale, dandole una valvola di sfogo democratico, e a garantire alla Grecia i prestiti senza i quali lo Stato ellenico sarebbe letteralmente fallito. Tsipras fu accusato di cinismo e di tradimento e perse le elezioni nel 2019. La Grecia però ha evidentemente saputo far buon uso dei fondi ricevuti in circostanze tanto drammatiche perché è ora in grado di rimborsare al FMI, con due anni d’anticipo, l’ultima rata del debito contratto con la “troika”. La notizia è stata data dall’agenzia Reuters: (leggi).

 


Nell’ottobre 1973, per sostenere lo sforzo bellico di Siria ed Egitto che, in coincidenza con lo Yom Kippur, avevano attaccato Israele, i paesi arabi dell’OPEC aumentarono il prezzo del barile di greggio da tre a cinque e infine a dodici dollari: a prezzi attuali, da 14 a 23 a 50 €/barile circa. In Italia come altrove ci si rese conto dell’urgenza di una diversificazione delle fonti di approvvigionamento energetico e il gas sovietico divenne presto altrettanto importante del petrolio arabo. Da vent’anni ormai il gas non più sovietico, ma russo, resta un fattore chiave per le economie europee. La diversificazione degli anni ’70 ha funzionato per mezzo secolo. Ora la crisi ucraina ha evidenziato nuove criticità, come ben illustra l’articolo apparso sul sito dell’Istituto per gli studi di politica internazionale – ISPI: (leggi).

 

Da decenni ormai politici e commentatori sottolineano la crescente importanza che l’Africa è destinata a rivestire per lo sviluppo del mondo, ma da decenni non si riesce a formulare una strategia che aiuti davvero i paesi di quel continente a diventare artefici del proprio sviluppo. Il colonialismo ha lasciato ferite profonde, difficili da lenire e forse impossibili da curare. Immune dalle incertezze e dagli scrupoli degli ex colonizzatori, negli ultimi anni la Cina non ha esitato a prendersi la scena e ad investire massicciamente in tutta l’Africa. Ma i risultati non sono stati pari alle aspettative e Pechino sta riducendo il flusso di fondi. Forse è venuto davvero il momento per l’UE di ritagliarsi uno spazio proprio e dimostrare che una politica africana può esser applicata nel rispetto dei principi alla base dell’Unione. Ne parla un articolo di Politico.eu: (leggi).

 

Sembra perdersi in un passato remoto il tempo in cui l’Europarlamento si chiamava “Assemblea parlamentare” ed era composto da membri nominati dai Parlamenti degli Stati membri. Fu infatti solo nel 1979 che si tennero le prime elezioni a suffragio universale per eleggere i parlamentari europei. La novità dette ben presto frutti. Come ricorda l’articolo del presidente del Movimento europeo Pier Virgilio Dastoli sul sito Linkiesta.it, il primo Parlamento eletto elaborò un “Progetto di Trattato che istituisce l’Unione europea” tracciando un metodo che potrebbe essere ancor’oggi seguito per tener conto dei risultati della “Conferenza sul futuro dell’Europa”: (leggi).