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Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 12/03

La Conferenza sul futuro dell’Europa è stata per certi versi il tipico esempio di iniziativa nei confronti della quale tutti esprimono il massimo sostegno finché i lavori sono in corso e magari anche fino all’approvazione di un documento finale, ma che sotto sotto molti sperano venga archiviata senza conseguenze. Nel caso specifico tuttavia, se una tale speranza albergava in alcune cancellerie e persino in alcuni uffici delle Istituzioni di Bruxelles, gli interessati dovranno probabilmente ricredersi perché c’è ancora chi lavora per evitare l’oblio delle proposte formulate dalla Conferenza (qui la Relazione finale). Finora il più attivo nel cercare di dare un seguito concreto ai suggerimenti espressi è stato il Parlamento europeo, che già nel giugno dello scorso anno aveva approvato una risoluzione in merito alla convocazione di una Convenzione per la revisione dei Trattati (vedi). Niente si è ancora concretizzato, ma le parole dell’eurodeputata Gabriele Bischoff, vicepresidente della Commissione per gli affari costituzionali del PE, intervistata da Euractiv, lasciano intendere che il processo di riforma non è interrotto. L’ampia intervista è disponibile qui.

 

Mentre sono numerosi i sondaggi effettuati nei sei paesi dei Balcani occidentali (WB6) che ambiscono aderire all’UE per valutare se i cittadini sono favorevoli o contrari a tale adesione, più raro è imbattersi in indagini che esaminino l’opinione dei cittadini dell’Unione in merito all’allargamento a tali paesi (un ricerca della Fondation Jean Jaurès, limitata però alla Francia, è disponibile qui). Purtroppo, in tutti i casi i pareri espressi dalle persone interrogate sembrano essere condizionati da considerazioni emotive più che da valutazioni ponderate. Spetterebbe alle Istituzioni, nazionali e comunitarie, far comprendere quanti e quali vantaggi deriverebbero da un’integrazione dei WB6 nell’UE. Ne beneficerebbe ad esempio la politica ambientale, più che altre indifferente all’esistenza di confini. In vista anche della conferenza di Dialoghi europei dedicata al processo di integrazione della Macedonia del Nord e dell’Albania nell’UE, per la quale riceverete l'invito a  brevissimo (si terrà martedì 21 marzo) segnaliamo un articolo pubblicato sul sito dell’Osservatorio Balcani-Caucaso sulla grave crisi idrica del lago di Prespa (sul quale si affacciano sia tali due paesi, sia la Grecia), che mette in luce l’assoluta necessità di interventi transfrontalieri per la difesa ambientale: leggi.

 


L’Inflation Reduction Act (IRA), la legge voluta dal Presidente Biden per favorire la produzione ecosostenibile negli USA grazie a sovvenzioni finanziate per quasi 400 miliardi di dollari, ha suscitato commenti, preoccupazioni, nonché le quasi immancabili dispute intra-EU sulla risposta da dare all’iniziativa americana (si veda un articolo di Italia Oggi dell’autunno scorso). Mano a mano che passa il tempo e più accurata è l’analisi del pacchetto di misure dell’IRA, i timori sembrano tuttavia attenuarsi. Uno studio (accessibile qui) dell’istituto di ricerche economiche Bruegel ha evidenziato come in realtà il volume di sovvenzioni ed aiuti messi a disposizione dall’Unione europea già supera quello dei fondi stanziati dagli Stati Uniti. E, nonostante varie aziende europee stiano seriamente valutando investimenti oltreoceano per accedere ai benefici che sono là disponibili, un articolo pubblicato da Energiaoltre.it segnala che “tra i leader europei si diffonde sempre più la convinzione che un nuovo pacchetto di aiuti non sarebbe la risposta giusta all’IRA americana” (leggi). 

 

Parafrasando con mitezza la celebre frase di Mao circa la rivoluzione che “non è un pranzo di gala”, si può senz’altro dire che anche i preparativi per adesione di un paese all’Unione europea non sono una passeggiata. Lo sforzo richiesto è enorme, a partire dalla trasposizione nel diritto nazionale delle migliaia di misure in vigore a livello comunitario: un lavoro immane per le amministrazioni dei ministeri competenti, nonché per i Parlamenti che devono esaminare ed approvare la nuova legislazione – senza contare l’adeguamento dell’apparato ispettivo e giudiziario, chiamati ad accertare l’effettiva applicazione delle norme e, rispettivamente, a stabilirne la corretta attuazione. Al di là di tutto questo c’è ovviamente la necessità di adeguarsi ai valori e principi fondamentali dell’UE: democrazia, stato di diritto, lotta alla corruzione. Proprio quest’ultima sembra rappresentare un po’ dappertutto un problema non da poco. La storia raccontata da Balkaninsight circa un intreccio corruttivo tra Armenia e Macedonia del Nord ne è un esempio lampante: leggi

 

La contrapposizione tra Recep Tayyip Erdoğan e Fethullah Gülen, in genere poco nota a chi non si occupi specificamente di Turchia, non raggiunge forse i livelli epici del confronto tra Macbeth e Banquo nella tragedia di Shakespeare, ma di certo ha qualcosa di teatrale. Agli inizi degli anni 2000, Gülen, importante figura dell’islamismo turco, è stato alleato fondamentale per l’ascesa al potere di Erdoğan. Poi i rapporti si sono guastati. Per la propaganda di Ankara Gülen è diventato il nemico numero uno della Repubblica turca fino ad essere accusato dell’organizzazione del fallito colpo di Stato del 2016. Gülen, autoesiliato negli Stati Uniti, ha creato nel mondo una vasta rete di scuole private di ispirazione islamista moderata, tra l’altro in Afghanistan. Ma l’Afghanistan è un paese in cui Erdoğan intende svolgere un ruolo e le scuole di Gülen vanno chiuse. Il Presidente turco tentò di raggiungere questo risultato cinque anni fa (me scrisse il Guardianleggi); ora con i talebani al potere l’obiettivo sembra raggiunto, come riporta Radio Free Europeleggi.

 


Se una delle principali dispute che portarono allo scisma d’Oriente del 1054 fu quella riguardante il primato del papa, “successore di Pietro”, sull’intera cristianità, nei secoli seguenti all’interno dell’Ortodossia il “primato” conferito al Patriarca delle chiese autocefale si consolidò sensibilmente. La conseguenza diretta furono gli anatemi spesso lanciati proprio dal Patriarca di una Chiesa quando una sua parte decideva di rendersi autonoma. Considerato inoltre lo stretto legame esistente tra ciascuna chiesa ortodossa e le autorità dello Stato in cui è insediata, è evidente che ogni proclamazione di autocefalia produca fratture anche dal punto di vista politico. Non poteva che essere così anche con la scelta della Chiesa ortodossa ucraina di separarsi da Mosca nel 2018, fatto che ha provocato la furia del Patriarca di Mosca e lo ha indotto a schierarsi fin dalla prima ora a favore dell’”operazione speciale” di Vladimir Putin contro l’Ucraina. Della portata di questa divisione tra Mosca e Kiev parla un articolo pubblicato sul sito della Stampaleggi.