News

Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 14/05

Se le elezioni del 14 maggio in Turchia stanno attirando l’interesse della stampa italiana e di molti altri paesi, ben poco si scrive e si commenta in merito al voto cui saranno chiamati i cittadini greci solo una settimana dopo. Dalla nascita dei due moderni stati greco e turco, la rivalità tra Atene ed Ankara è stata un tratto costante della politica della regione. Membri entrambi della NATO, le loro scaramucce sono sempre rimaste caratterizzate più da un velleitarismo per uso interno che da vera bellicosità. Oggi, mentre la Turchia si è conquistata un ruolo sulla scena mondiale, la Grecia sta ancora soffrendo i postumi della grave crisi economico-finanziaria dello scorso decennio e le sue fragilità continuano ad essere osservate con non poco scetticismo. Debito pubblico ingentissimo, disoccupazione giovanile, inflazione, costo degli alloggi, migranti sono i problemi ormai strutturali cui si dovrà confrontare anche il prossimo governo greco (e che coincidono con i problemi italiani). Una sintesi dei principali aspetti delle elezioni del 21 maggio sono riportati in un articolo (in inglese) di France24leggiEuronews.com ha invece riportato, in italiano, la notizia dell’esclusione dallo scrutinio dell’estrema destra del “Partito Nazionale dei greci”: leggi.

 

La cerimonia di incoronazione di Carlo III ha offuscato per giorni tutte le altre notizie provenienti dal Regno Unito. È così sfuggito a molti l’esito di un importante voto amministrativo che ha interessato, il 4 maggio scorso, l’Inghilterra e che ha visto il partito conservatore perdere molti seggi a vantaggio dei laburisti e dei liberal-democratici (nonché dei verdi). Da varie settimane ormai, i sondaggi riferiti ad un ipotetico voto politico nazionale (previsto in realtà solo per fine 2024 o inizio 2025) danno i laburisti in vantaggio di circa 20 punti percentuali sui Tories del Primo ministro Sunak e la tornata locale ha confermato tali dati. A parte il tono scontato di trionfo nelle dichiarazioni immediate dei vincitori, va segnalata una certa prudenza di fondo che suggerisce la consapevolezza di quanto l’esito delle prossime elezioni nazionali sia tutt’altro che scontato. Anzi, in un mondo politico che sente come intimamente proprio il sistema maggioritario puro, per cui chi vince anche di un solo voto governa, si sta facendo strada il timore che il prossimo Governo debba essere di coalizione. In Italia, tra i pochi giornali che hanno scritto delle elezioni inglesi figura il Sole24Oreleggi. Un’attenta analisi del voto e delle prospettive che apre è disponibile sul sito della BBCleggi.

 

Primo ministro belga per quasi dieci anni (1999-2008), candidato (sfortunato) alla successione di Romano Prodi alla presidenza della Commissione (2004), Guy Verhofstadt è uno dei deputati europei più convintamente europeisti e federalisti. Pur non essendo più politicamente molto attivo nel suo paese, in Belgio è ancora ricordato come un personaggio pubblico dal linguaggio franco e diretto, refrattario alle alchimie degli incontri riservati. Anche al Parlamento europeo ha apertamente sostenuto le proprie idee appoggiando da sempre l’ideale di un’Europa sempre più unita. In occasione del 9 maggio, giornata dell’Europa, ha pubblicato un articolo su Euractiv (leggi la versione italiana), nel quale ribadisce il proprio credo ed avanza alcune proposte concrete sulle quali sarà necessario si sviluppi anche un dibattito tra i candidati alle elezioni del PE del prossimo anno. 

 

Condizionati dal modo fondamentalmente cartesiano di interpretare il mondo, in occidente siamo portati a guardare al progetto cinese della “nuova via della seta” come a qualcosa di ben definito nei contorni e nella strategia di realizzazione. A ben osservare però si deve constatare che l’impianto complessivo è molto articolato, fatto di molteplici iniziative condotte in modo autonomo. Di “nuova via della seta” si parla infatti con riguardo alle infrastrutture dei trasporti in Asia centrale, ma anche nei Balcani, di ingenti investimenti in Africa, ma anche in alcuni porti europei, e così via. Ci sono poi le iniziative più apertamente politiche come i memorandum siglati con alcuni singoli paesi (come l’Italia), o la costituzione di gruppi di cooperazione macroregionale. Rientra tra questi ultimi il “gruppo di cooperazione economica 16+1” attraverso il quale Pechino ha puntato ad un’azione coordinata con paesi dell’Europa centro-orientale (un’interessante ricerca in merito fu pubblicata nel 2016 dall’European Council on Foreign Affairsleggi). Oggi però la percezione della Cina è mutata. Già nel 2019 la Commissione l’aveva definita un “rivale sistemico” (il testo della Comunicazione è scaricabile dal sito della Commissione). Non sorprende quindi che il Ministro degli esteri della Repubblica ceca, uno dei paesi che fin dall’inizio aveva aderito al Gruppo 16+1 (ora 14+1 a causa di precedenti defezioni), abbia decretato che il Gruppo stesso è “defunto”, come riportato da Politico.euleggi

 

Giorgia Meloni e Matteo Salvini non hanno mai nascosto la loro simpatia per le posizioni assunte dal cosiddetto “Gruppo di Visegrád” (Repubblica ceca, Polonia, Slovacchia ed Ungheria – V4), in particolare le rivendicazioni nazionaliste nei confronti dell’Unione europea. Proprio ora però che le fortune elettorali arridono a Meloni e Salvani e a tanti altri politici di destra che guardavano con interesse al V4, quest’ultimo sembra in situazione catatonica dopo le posizioni totalmente divergenti assunte da Polonia ed Ungheria nei confronti del sostegno all’Ucraina. E per il futuro non sembra che le prospettive siano positive per il Gruppo. In autunno, infatti, la Polonia andrà alle urne e il risultato appare, almeno in questa fase, alquanto incerto. Il partito Diritto e Giustizia di Jarosław Kaczyński potrebbe essere costretto a cercare alleanze per governare e non si può nemmeno escludere che le forze liberali prevalgano. In ogni caso, come ben spiega un articolo di Eastjournal, le tensioni con il leader ungherese Orbán sarebbero comunque destinate ad aumentare, indebolendo ulteriormente la solidarietà all’interno del V4: leggi.

 

In Germania la CDU e la CSU, sebbene abbiano sempre cooperato ed agito a livello federale (ed europeo) quasi come fossero un solo partito, hanno in realtà mantenuto linee politiche autonome. In particolare, la bavarese CSU è sempre stata su posizioni conservatrici molto più marcate rispetto alla consorella CDU. Non deve sorprendere quindi che l’attuale Presidente del Partito popolare europeo Manfred Weber, la cui intera carriera politica si è svolta all’interno della CSU, sembri farsi promotore di un avvicinamento tra il PPE e il Partito dei Conservatori e dei Riformisti Europei, guidato da Giorgia Meloni. Se tale avvicinamento dovesse sfociare in una futura alleanza nella prossima legislatura del Parlamento europeo, assisteremmo ad un evento storico in quanto verrebbe meno la tradizionale cooperazione tra i due principali gruppi, quello dei popolari e quello dei socialisti e democratici (S&D). Quanto concreta sia questa ipotesi è evidenziato anche dalla presa di posizione della capogruppo S&D Iratxe García Pérez secondo la quale, come riporta Euractiv.it, la “cooperazione con il PPE non è più possibile” (leggi). Resta il fatto che anche queste dichiarazioni rientrano ormai nella campagna lanciata in vista delle elezioni europee del 2024 e della quale parla anche un articolo di EUNewsleggi.