News

Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 20/11

Molto si è detto e scritto (e questa rassegna stampa ne ha regolarmente riferito) circa i tentativi cinesi, riusciti o meno, di acquistare quote anche ingenti di strutture logistiche portuali in Europa. La gran parte delle analisi attraverso le quali si è cercato di capire la strategia di Pechino in questo settore si sono concentrate sulle sinergie commerciali che i vari investimenti avrebbero potuto generare. Un interessante articolo del Wall Street Journal offre tuttavia un’altra ipotesi di lettura non necessariamente alternativa, ma di certo complementare. Garantendosi un accesso preferenziale a strutture portuali situate in punti strategici non solo d’Europa ma dell’intero globo, la Cina può incrementare i propri traffici mercantili, ma può anche assicurarsi basi di appoggio per la propria marina militare: leggi.

 

Bisogna riconoscere che è sorprendente come nei Balcani occidentali la popolazione sostenga ancora massicciamente la prospettiva di adesione all’UE (vedi qui). Certo, da qualche anno la percentuale dei favorevoli è in declino, ma va ricordato che la promessa di un futuro nell’Unione europea è stata formulata quasi venti anni fa (vedi qui). L’aggressione russa all’Ucraina ha ora forse rimesso in moto il processo, o quanto meno è servita a riportare in primo piano la riflessione su come giungere finalmente ad un’integrazione della regione balcanica. Il senso di urgenza è diventato palese e le prese di posizione si moltiplicano. Una di queste è venuta dalla Presidente della Camera della Repubblica Ceca (attualmente presidente di turno del Consiglio dell’Unione), intervenuta alla Conferenza degli organi parlamentari specializzati negli affari dell'Unione dei Parlamenti dell’UE, come riferito da Euractiv.itleggi. In vista di tale Conferenza, i servizi della Camera e del Senato italiani hanno predisposto un’interessantissima documentazione, accessibile qui.

 

Qualsiasi osservatore indipendente, esperto di cose europee, non avrebbe difficoltà a riconoscere che un’intensa collaborazione italo-francese nell’ambito dell’UE arrecherebbe enormi vantaggi ad entrambi i paesi. Invece ci ritroviamo con schermaglie, rivalse e ritorsioni reciproche che avvelenano il clima dei rapporti bilaterali. Un’importante distinzione va tuttavia fatta tra le dispute ampiamente mediatizzate e il lavoro sotto traccia condotto quotidianamente dalle amministrazioni nazionali ed europee. I temi di comune interesse sono infatti troppo numerosi e troppo importanti dal punto di vista economico perché restino vittime delle beghe politiche. Un esempio è dato dalla notizia dell’incontro tra l’eurodeputato ed ex ministro dell’Agricoltura italiano De Castro e l’attuale ministro dell’Agricoltura francese Fesneau. Il tema sul tavolo era il nuovo regime concernente le Indicazioni geografiche, il cui valore economico è enorme sia per Roma che per Parigi. Ne ha scritto l’agenzia Agricolae.euleggi. La proposta di nuovo regolamento europeo in materia è consultabile qui.

 

C’è probabilmente un riflesso condizionato italiano (ma condiviso da altri paesi dell’Europa meridionale) che risente della denominazione romana del Mediterraneo come Mare nostrum. Se è “nostro”, possiamo ben decidere chi può attraversarlo e chi no. Forse per questo è ricominciata, con notevole successo, l’azione di molti politici italiani e di altri paesi europei volta ad indirizzare l’attenzione dell’opinione pubblica verso il Mediterraneo e le barche che lo solcano. Purtroppo focalizzarsi sul Mediterraneo è sprecare risorse per guardare il dito senza vedere la luna. La radice del problema è evidentemente molto più a sud; persino più a sud dei campi di concentramento libici. È ad esempio in Mali, dove i paesi occidentali stanno abbandonando il paese a sé stesso e ai miliziani russi della Wagner. Dopo il disimpegno francese (vedi qui), anche i britannici lasciano, come racconta il sito di Africarivista.itleggi.

 

Con la fine della guerra fredda, crebbe la speranza di incrementare gli scambi tra l’Europa occidentale e i paesi che si stavano affrancando dal giogo sovietico. Tra le varie iniziative assunte a livello internazionale vi fu la stesura di una “Carta dell’energia” volta a stabilire condizioni trasparenti per gli investitori e a facilitare il transito di materie prime energetiche. Nel 1991 fu firmato un Trattato internazionale che si richiamava a tale Carta (vedi qui). All’epoca non ci si occupava evidentemente dell’incidenza dell’uso di combustibili fossili sul cambiamento climatico, ma quando tale preoccupazione è emersa con forza, si è constatato che il Trattato poteva rappresentare un ostacolo alla transizione verso politiche eco-sostenibili. Per tale motivo molti paesi stanno cercando di uscire dal Trattato, seguendo l’esempio dell’Italia, ritiratasi nel 2016. Ne parla il sito di giornalismo investigativo Investigate Europeleggi.

 

Il Presidente serbo Aleksandar Vučić è un europeista “alternativo”, nel senso che un giorno afferma la volontà di guidare il suo paese nell’UE, ma il giorno seguente professa l’imperitura fratellanza tra la Serbia e la Russia. In tempi normali, niente vieterebbe di aderire all’Unione mantenendo rapporti di amicizia con una grande nazione come la Russia; tanto più che, in tempi, normali, tutti gli Stati membri dell’UE sarebbero ben lieti di poter mantenere rapporti di amicizia con Mosca. Ma purtroppo i tempi non sono normali ed è inevitabile che Bruxelles guardi con preoccupazione alle immagini del leader del più importante paese dei Balcani occidentali, candidato all’adesione, che ostenta gli abiti tradizionali ceceni ricevuti in dono dall’inviato del sodale di Putin Razman Kadyrov. La foto di Vučić con giacca e colbacco ceceni è posta a corredo di un articolo pubblicato dal sito di informazioni sui Balcani N1, affiliato alla CNN: leggi.