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Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 23/04, 3 anni dopo

Con questo numero, la rassegna stampa di Dialoghi Europei, curata dal "nostro" Paolo Gozzi, festeggia i suoi primi tre anni. La prima uscita infatti era avvenuta il 25 aprile 2020 (una data importante e fortemente simbolica). 
Questo numero in particolare allunga lo sguardo nello spazio (Georgia, Balcani occidentali) e nel tempo (vicende legate alla seconda guerra mondiale) per mantenere, e se possibile accrescere, l'interesse dei nostri lettori.
Continuate a seguirci!
 
La storia di Dialoghi europei e una rapida scorsa all’elenco dei principali eventi organizzati nel corso della sua pluridecennale attività, testimoniano l’attenzione che il nostro Centro studi ha sempre rivolto ai Balcani occidentali e al loro cammino di avvicinamento all’Unione europea. Molte volte, proprio nel corso di conferenze dedicate alla regione balcanica, è stata lamentata dai relatori la scarsa attenzione rivolta dai Governi italiani al processo di allargamento. Negli ultimi mesi qualcosa sembra si stia muovendo con diverse iniziative della Farnesina: se son rose, fioriranno. Nel frattempo, però, occorre fare i conti anche con l’atteggiamento assai poco costruttivo di vari Stati membri che, per motivi di politica interna, frappongono ostacoli (spesso pretestuosi) all’avanzamento del processo. Secondo Luisa Chiodi, direttrice dell’Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa, per superare lo stallo sarà indispensabile che in sede UE le decisioni relative alle tappe intermedie dei negoziati di allargamento vengano approvate a maggioranza qualificata. L’intervista a Chiodi, rilasciata a margine di un incontro, organizzato ad inizio aprile fra rappresentanti dei governi dei Balcani occidentali, delle istituzioni e delle società civili, è apparsa sul sito di Affariniternazionali.itleggi.
 

Nemo propheta in patria. Trieste ha dedicato ad Eugenio Colorni una via del tutto anodina, nel periferico rione di Borgo san Sergio. Anche se Colorni non era triestino di nascita, ha trascorso in città anni intensi e cruciali, fino all’arresto poco prima della promulgazione delle leggi razziali. Fu strenuo antifascista, decorato di medaglia d’oro al valor militare dopo la morte per mano di miliziani della banda Koch. Ma Colorni fu anche un convinto europeista. Visionario sodale di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, collaborò con loro alla stesura del Manifesto di Ventotene e ne fu anzi il primo divulgatore, sebbene oggi il suo nome non sia immediatamente associato al programma federalista europeo. All’avvicinarsi della data del 25 aprile, dedica un bell’articolo ad Eugenio Colorni il sito Articolo 21leggi. A parziale smentita del detto evangelico con cui è iniziato questo suggerimento di lettura, e ad onore del mondo culturale triestino, si segnala che alcuni anni fa la locale rivista online Il giornale di Rodafà aveva in realtà tracciato un interessante ritratto storico-biografico di Colorni: leggi

 

Nelle democrazie più avanzate e nei paesi in cui i valori democratici sono più profondamente radicati, è perenne lo scontro tra la spinta progressista ad allargare i diritti individuali e collettivi e la resistenza conservatrice intesa a contenere o addirittura ad invertire il senso di tale spinta. La linea di sutura tra questa due posizioni definisce, in un processo dinamico, i valori fondamentali sentiti come propri dai cittadini. Nell’Unione europea, tali valori fondamentali comprendono quello che è generalmente definito lo “stato di diritto”. È grave quindi quando un paese membro viola i principi dello stato di diritto europeo, perché in tal modo mette in dubbio le fondamenta del vivere civile nell’Unione. Finora sembrava che le violazioni fossero appannaggio quasi esclusivo di Polonia ed Ungheria, ma la deriva sta facendo proseliti: un rapporto redatto a seguito di una missione in Grecia del Parlamento europeo evidenzia problemi molto gravi di mancato rispetto dello stato di diritto anche da parte del governo di Atene. Ne ha riferito Euractiv.itleggi.

 

La maggior parte dei vecchi dizionari, cartacei o elettronici, non riporta ancora le accezioni del lemma “fluido” oggi diffusamente utilizzato con riguardo alla percezione dell’identità sessuale delle persone. Spiegano bene, per contro, il significato più tradizionale del termine, nei sensi propri e figurati. Tra questi ultimi, ad esempio, il dizionario online Treccani suggerisce “instabile, mutevole, poco definito” (vedi). L’aggettivo “fluido” risulta quindi perfetto per illustrare l’attuale situazione in Georgia. Primo paese ad essere vittima, nel 2008, del neoimperialismo russo, che l’ha di fatto privato di due vaste regioni del suo territorio, la Georgia da allora ha una situazione interna in costante fibrillazione, con scontri elettorali durissimi, rivolte di piazza, ammiccamenti a Mosca, fino alla recente domanda di adesione all’UE – domanda per il momento rimasta in sospeso, vista l’assoluta necessità che vengano prima attuate profonde riforme istituzionali. La Georgia resta nondimeno strategica per l’intera regione caucasica e per i rapporti (futuri) tra l’Unione europea e la Russia. Un compendio della realtà georgiana di oggi e della sua “fluidità” è proposto da orizzontipolitici.itleggi. Le preoccupazioni americane in proposito sono state ben illustrate in un articolo di Francis Fukuyama su Foreign Affairsleggi.

 

Ammiratori e detrattori convergono nel considerare Aleksandar Vučić uno dei più abili e scaltri leader dei Balcani occidentali. Sta ora giocando una partita politica e diplomatica ad altissimo rischio avendo sì avviato un dialogo diretto col premier kosovaro Kurti, ma tenendosi le mani libere con lo stratagemma dell’aver accettato verbalmente un accordo mediato dall’UE, senza essersi tuttavia impegnato con una firma formale. (Si veda cosa ne aveva scritto a marzo il sito Aspenia onlinequi.) Resta il fatto che la Serbia è indiscutibilmente il paese chiave per qualsiasi prospettiva di integrazione di tutti i Balcani occidentali nell’Unione europea, non solo per il peso politico, ma anche per quello economico. Su quest’ultimo aspetto si concentra l’analisi proposta dal sito lavoce.infoleggi.

 

In occasione del venticinquesimo anniversario della firma degli accordi del “venerdì santo” che hanno messo fine a tanti anni di scontri sanguinosi tra indipendentisti e unionisti (qui il resoconto delle celebrazioni della BBC), il presidente statunitense Biden ha effettuato un lungo viaggio in Irlanda, paese dal quale suoi lontani antenati erano emigrati verso l’America. Il viaggio è stato suddiviso in due parti: una breve ed istituzionale nell’Irlanda del Nord, l’altra molto più lunga e con un marcato taglio privato, nella Repubblica d’Irlanda. A Dublino Biden ha preso la parola davanti al Parlamento, ma anche in quella occasione non ha mancato di fare vari riferimenti ai suoi ascendenti irlandesi e all’amore che prova per il paese degli avi. Talmente sbilanciato è apparso il viaggio, che critiche sono state mosse al Presidente, accusato di aver mascherato da visita di stato una nostalgica vacanza sentimentale. L’accusa traspare anche in un lungo e tutto sommato benevolo articolo apparso su Politico.euleggi.

 

Tra i vari contenziosi tra Serbia e Croazia, strascico di una guerra recente e di contrapposizioni ancestrali, spicca il giudizio storico-politico sul campo di concentramento e sterminio di Jasenovac, nel quale gli Ustascia dello Stato Indipendente di Croazia (1941-45) eliminarono decine di migliaia di serbi, rom ed ebrei. (In merito alla disputa si veda un articolo di alcuni anni fa sul sito dell’Osservatorio Balcani Caucaso e la più fattuale descrizione proposta dalla Holocaust Encyclopedia dello United States Holocaust Memorial Museum.) Il campo fu liberato esattamente 78 anni fa (22 aprile 1945) e in concomitanza con l’anniversario il sito Balkaninsight ha ospitato un articolo del ricercatore danese Emil Kjerte che si sofferma non tanto sulla vicenda in sé, quanto sugli aspetti umani e le ragioni che hanno spinto pacifici cittadini a trasformarsi quasi inavvertitamente in crudeli carnefici: leggi.