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Rassegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 26/02

Pochi giorni fa, Dialoghi europei ha organizzato una conferenza sul percorso di adesione all’UE di Serbia e Montenegro (la registrazione è disponibile qui). Uno degli aspetti emersi negli interventi di vari relatori è la grande capacità del Presidente serbo Aleksandar Vučić di destreggiarsi tra i suoi diversi interlocutori (all’interno e sul piano internazionale) senza paura di apparire contraddittorio, sostenendo a giorni alterni tesi apparentemente antitetiche. È probabile che Vučić abbia acquisito questa abilità fin dai tempi in cui era Ministro dell’informazione sotto la presidenza di Slobodan Milošević, abilissimo a perseguire i propri fini dietro uno schermo di apparente affidabilità. È di questi giorni una ricerca della Henry Jackson Society (qui la versione integrale) sulle radici del prevalente atteggiamento pro-russo in Serbia (e Ungheria) che ben illustra come Aleksandar Vučić sia capace di presentarsi come il convinto assertore della volontà serba di aderire all’UE, esaltando al contempo l’incrollabile amicizia con la Russia. Un’analisi dei risultati della ricerca è proposta da Linkiestaleggi

 

L’aggressione brutale di un paese vicino, l’annessione manu militari di parte del suo territorio, la mirata distruzione delle sue infrastrutture civili sono alcune delle situazioni che rendono (purtroppo) spuntati gli appelli di chi auspica un’immediata sospensione delle forniture di armi all’Ucraina per indurla ad avviare una trattativa di pace con la Russia. Eppure, ad un anno dall’inizio del conflitto, mentre s’incendia ulteriormente la retorica guerresca dei protagonisti, bisogna sperare che qualcosa effettivamente intervenga a bloccare la pazzia della guerra. In ogni caso, anche se si addivenisse ad un effettivo cessate il fuoco, le insidie della trattativa sarebbero molte. Come spiega un articolo del politologo tedesco Andreas Umland, pubblicato dall’Istituto Affari Internazionali (leggi), uno degli scogli più significativi da superare concerne la necessità di intervenire sui testi delle Costituzioni russa ed ucraina (o almeno su una delle due) in quanto entrambe stabiliscono, per il proprio paese, il possesso e l’inviolabilità delle regioni contese.

 

Per il momento, la prossima riunione della Comunità politica europea (CPE) è programmata a Chisinau, capitale della Moldavia, per il 1° giugno prossimo (qui l’annuncio). Lanciata l’anno scorso da Emmanuel Macron come un nuovo foro all’interno del quale tutti i paesi europei avrebbero potuto confrontarsi e cooperare al fine di migliorare la sicurezza, la stabilità e la prosperità del continente, la CPE ha già celebrato ad ottobre 2022 la sua prima riunione plenaria a Praga. Nonostante la partecipazione di molti capi di Stato e di Governo e la molteplicità dei temi dibattuti in tale occasione (qui un ampio resoconto dal sito del Parlamento europeo), non è ancora emerso con chiarezza quali siano le reali finalità e potenzialità di questo nuovo consesso che non ha (e forse mai avrà) una vera struttura istituzionale. Il Centro Studi di Politica Internazionale - CESPI ha pubblicato una riflessione sulle conseguenze che la CPE potrebbe avere sul processo di integrazione dei Balcani occidentali nell’UE (leggi).

 

Dopo che, sempre Macron, nel 2019 ne aveva dichiarato la “morte cerebrale” (qui quello che diceva Le Figaro in proposito), è ora unanimemente accettato che la NATO abbia riacquistato importanza e centralità quale conseguenza della guerra in l’Ucraina. Dal Segretario generale Stoltenberg a tanti leader politici dei paesi membri vengono quotidianamente dichiarazioni che sottolineano la solidità e l’unità d’intenti dell’Alleanza. A ben guardare tuttavia tale unità non sembra proprio granitica. Non solo la Turchia (che ha il secondo più grande esercito NATO) gioca una partita in proprio giungendo addirittura a minacciare il veto sull’adesione di Svezia e Finlandia, ma anche l’Ungheria di Orbán si smarca in modo netto dagli alleati. Come spiega un articolo del Financial Times (leggi), questi ultimi sono anzi sempre più preoccupati dal controllo personalmente esercitato dal Presidente ungherese sull’esercito e sulla produzione di armamenti.

 

Più volte è stata qui proposta la lettura di articoli relativi al mondo del lavoro e alla sua profonda e rapida trasformazione. Se molti giornali indulgono ancora nel riportare episodi paradossali di imprenditori che non trovano addetti e di giovani che accettano condizioni capestro pur di lavorare, meno spesso vengono citate le pur numerose analisi che si sforzano di interpretare fenomeni come l’esplosione delle dimissioni volontarie, il “nomadismo” di lavoratori specializzati, quello di chi invece non ha alcuna conoscenza o competenza, o quello digitale (si veda ad esempio lo studio dedicato a quest’ultimo sul sito dell’Associazione Lavorosì - leggi). Di certo le situazioni estreme non mancano. In Lussemburgo, dove il 70% del mezzo milione circa di occupati non è lussemburghese, entro il 2030 dovranno essere reclutati altri 265.000 nuovi addetti: da reperire ovviamente all’estero. Ne ha scritto il sito della radio-televisione lussemburghese RTL (leggi). La notizia è stata ripresa in italiano da Euractiv.it (leggi).

 

 

Dopo il primo turno delle elezioni presidenziali a Cipro, avevamo segnalato in questa rassegna stampa come il ballottaggio sarebbe stato tra il candidato conservatore Christodoulides e quello di centrosinistra Mavroyiannis. La vittoria del primo non è stata una sorpresa, anche se Mavroyannis ha ottenuto un buon risultato con oltre il 48% dei voti. I grandi problemi della politica internazionale offuscano naturalmente situazioni giudicate “minori”; sarebbe tuttavia un errore non soffermarsi di tanto in tanto ad esaminare alcune di tali situazioni, di cui quella cipriota può esser considerata emblematica. È quanto fa il sito Terzogiornale.it (della Fondazione per la critica sociale di Firenze) con un interessante articolo che, partendo dal risultato elettorale, getta uno sguardo sulla complessa realtà dell’isola di Cipro: leggi.  

 

Tra le tantissime pubblicazioni che hanno contrassegnato l’anniversario dell’entrata delle truppe russe in Ucraina, segnaliamo infine una raccolta di brevi testi in inglese (360 parole ciascuno) che esaminano quali potranno essere le conseguenze di un conflitto che si protrae nel tempo per la Russia, l’Ucraina e la Bielorussia. La raccolta, che spazia dagli aspetti militari a quelli politici e a quelli sociali, è disponibile sul sito della Stiftung Wissenschaft und Politikleggi.