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assegna stampa di testate nazionali e internazionali a cura di Paolo Gozzi - 09/06

Contestualmente alle elezioni europee, il 9 giugno in Belgio si vota anche per il rinnovo del parlamento federale e di quelli regionali e comunitari. Il paese ha un’architettura istituzionale assai frammentata e complessa, frutto di molte riforme attuate nel corso degli anni, sempre con intenti di maggiore decentralizzazione (una descrizione molto sintetica è sul sito Europa – leggi – mentre un’illustrazione più dettagliata è proposta dall’Università del Piemonte orientale – leggi). Proprio la progressiva riduzione delle competenze del potere centrale ha accresciuto il solco che divide (storicamente) le due principali comunità linguistiche, quella fiamminga (60%, tradizionalmente conservatrice) e quella francofona (40% ereditiera di una tradizione progressista). La forza acquisita negli ultimi anni dalla destra estrema (indipendentista) nelle Fiandre potrebbe preludere ad un ulteriore indebolimento delle strutture federali e finanche alla dissoluzione dello Stato unitario. Cercando di rispondere a sei domande-chiave, Politico.eu ha proposto una lettura sufficientemente chiara della posta in gioco: leggi.

 

Con l’attenzione focalizzata sulle guerre che si combattono ai confini dell’Unione europea, a molti è sfuggito il violento conflitto esploso su quello che è a tutti gli effetti un territorio della stessa Unione, seppure situato ai suoi antipodi. La rivolta scoppiata in Nuova Caledonia (territorio francese d’oltremare con uno statuto particolare ma comunque sotto la sovranità di Parigi – informa in proposito un articolo de il Postleggi) si configura come uno scontro di matrice post-coloniale, con la peculiarità di avvenire in una regione (1500 km ad est dell’Australia), “dove la Cina e gli Stati Uniti stanno cercando di consolidare o aumentare la propria influenza” (ibidem). La gravità della situazione ha indotto il Presidente francese Macron a recarsi personalmente nella capitale Nouméa, che dista oltre 24 ore di volo da Parigi. Il resoconto del viaggio fornito dall’Eliseo (leggi) è naturalmente positivo, ma dubbi sull’effettiva pacificazione del territorio sono espressi da osservatori terzi, come suggerisce un articolo apparso sul sito australiano Inside Story, il cui sottotitolo recita: Emmanuel Macron è volato dall’altra parte del mondo ma non è riuscito ad imprimere una svolta ad una crisi che sta danneggiando la diplomazia francese nel Pacifico (leggi). La posta in gioco strategica è stata ben illustrata dalla Reutersleggi.

 


Nei mesi scorsi, è spesso accaduto che le notizie sulle rivolte degli agricoltori di vari paesi europei abbiano oscurato persino quelle relative alle guerre. “Bruxelles sotto l’assedio dei trattori” titolava l’ANSA a fine febbraio (leggi). La protesta aveva “come obiettivo […] le istituzioni e le politiche comunitarie e in particolare l'agenda verde - il cosiddetto Green Deal - che dovrebbe portare alla neutralità climatica entro il 2050” – secondo quanto scriveva negli stessi giorni RAINews (leggi). In un anno elettorale, né la Commissione, né il Parlamento europeo e tanto meno gli Stati membri hanno voluto alienarsi il mondo agricolo e si sono affrettati a promettere una riforma della PAC. A metà marzo Euronews riferiva che la Commissione era addirittura pronta ad “eliminare i vincoli ambientali dell’agricoltura” (leggi). Così in tempi brevissimi si è giunti ad una (mini) riforma della PAC (ne ha fornito ragguagli Euractiv.comleggi), la cui notizia ha trovato tuttavia scarsa eco nei principali canali d’informazione, anche se è stata rilanciata da siti del settore, come Agricoltura.it (leggi). Come scritto però dal sito European Newsroom, “la resistenza contro le principali ambizioni verdi dell'UE non è finita” (leggi). Lo scontento del mondo agricolo permane e il 4 giugno i trattori sono tornati a manifestare a Bruxelles e alla frontiera franco-spagnola (vi ha dato rilievo l’Agenparlleggi).

 

Nel riportare la notizia che la Tailandia “si è aggiunta alla lunga coda di quindici paesi che intendono aderire ai BRICS”, il sito (americano) di informazione geopolitiche sull’Asia e il Pacifico The Diplomat suggerisce che i BRICS siano percepiti “come una comunità del Sud Globale che rivaleggia con l'influenza politica ed economica globale dell’Occidente” (leggi). Non concorda con questa (parziale) sovrapposizione tra BRICS e Sud Globale un articolo dell’ISPI (leggi), secondo il quale del Sud Globale “fanno parte paesi fra i più ricchi e scarsamente popolati ed economie a medio-basso reddito dalla demografia esplosiva. Non c’è un fronte né un’ideologia che li unisca. Nemmeno i Brics al quale molti aderiscono, ne chiarisce la posizione: la gran parte di loro ha obiettivi diversi da Russia e Cina”. Interessante notare, a questo proposito, la posizione cinese, quale risulta da un articolo del China Daily (HK). Se il titolo mette in rilievo la (presunta) coesione del Sud Globale, il testo fa trasparire le mire di Pechino: “diventare membro dei BRICS aumenterà il ruolo della Tailandia sulla scena mondiale e ne accrescerà le opportunità di prendere parte alla definizione delle politiche economiche internazionali e di creare un nuovo ordine mondiale” (leggi).

 

Fin dall’inizio dell’attacco all’Ucraina da parte dei russi, Estonia, Lettonia e Lituania sono state tra i più convinti sostenitori della necessità di impedire che Mosca uscisse vincitrice dal conflitto. La presenza di significative minoranze russofone suscita il timore che Putin metta in atto le sue minacce (riportate anche dall’ANSAleggi). La consistenza di tali minoranze è, almeno in parte, il risultato dell’afflusso di russi durante gli anni dell’URSS (sul sito di Minority Rights il caso della Lettonia – leggi – e dell’Estonia – leggi), quando i tre paesi baltici erano integrati non solo nella struttura politico-economica sovietica, bensì anche in quella infrastrutturale. La rete ferroviaria, ad esempio, era (ed è tuttora) del tipo russo a scartamento largo (1520 mm), diverso da quello standard europeo (1435 mm): 85 mm che rappresentano un enorme ostacolo all’operabilità dei treni da e per il resto dell’UE. Per questo motivo assume grande importanza il progetto Rail Baltica (descritto sul sito dedicato: leggi) che mira a realizzare un collegamento veloce tra le tre capitali della regione e tra queste e l’intera rete europea, abbandonando lo standard russo. L’avvio dei lavori in Estonia è stato l’oggetto di un articolo di Euractiv.it (leggi).

 

Il 31 maggio, nelle Considerazioni finali della relazione annuale 2023 della Banca d’Italia, il Governatore Fabio Panetta ha sottolineato che “Dalla fine del 2022 l’economia dell’area dell’euro ha subito una prolungata stagnazione (…) Le difficoltà hanno riguardato soprattutto l’economia tedesca” (il testo completo è sul sito di Bankitalia: leggi). Una tale affermazione sarebbe stata inimmaginabile ancora in un passato recente, quando la Germania era la “locomotiva d’Europa”: nel 2010, Seeking Alpha, uno dei più importanti siti di informazioni finanziarie, usava proprio tale espressione e suggeriva di investire nel paese (leggi). Secondo le Considerazioni del Governatore Panetta, ora invece l’economia tedesca “ha sofferto in misura accentuata dei rincari energetici e dell’incerto andamento dell’economia cinese”. Una riflessione articolata su quanto successo alla locomotiva d’Europa è stata proposta da Forbes nell’aprile scorso: leggi. Qualche segno di ripresa è nondimeno apparso ed è stato prontamente segnalato dalla più recente nota congiunturale del Ministero dell’economia (leggi). Comunque, anche in Germania lo Stato si ritrova con quell’esigenza di “far cassa” che ben conosciamo in Italia. Se da un lato cominciano a circolare proposte di mettere fine alla gratuità della circolazione sulle autostrade tedesche (ne scrive Die Welt: leggi), di certo pedaggi saranno introdotti per gli autocarri dal 1° luglio prossimo (come riportato dal sito Italia-Trasporti – leggi).